Che il problema indipendentista catalano meritasse maggiore considerazione da parte del Governo statale e uno straordinario sforzo di dialogo e compromesso politico tra gli attori coinvolti, era già stato da tempo e più parti osservato. Così come era stato osservato, da una parte della dottrina, che dalla risoluzione di tale problema dipendesse non soltanto il futuro dell’unità nazionale ma anche quello “de la propia democracia española como forma civilizada de convivencia de una sociedad pluralista” [R. Blanco Valdés, “Encuesta sobre la cuestión catalana”, in Teoria y realidad constitucional, n. 37, 2016, p. 81]. L’assenza di dialogo, la giurisdizionalizzazione estrema del conflitto, la radicalità, e talvolta l’incostituzionalità, delle rivendicazioni indipendentiste per l’esercizio del c.d. derecho a decidir, hanno portato a una vera e propria degenerazione del conflitto politico-costituzionale tra Madrid e Barcellona. Le vicende di questi ultimi mesi hanno dimostrato emblematicamente la gravità della situazione, che sta assumendo sempre di più la forma di uno scontro aperto tra le istituzioni statali e catalane, con evidenti riflessi sulla solidità democratica dell’ordinamento spagnolo.
La strada dell’unilateralismo è stata ufficialmente intrapresa il 9 giugno dal Governo catalano di Carles Puigdemont, con l’annuncio della celebrazione, il 1° ottobre, del referendum di autodeterminazione avente ad oggetto il seguente quesito: ¿Quiere que Catalunya sea un Estado independiente con forma de república?. Ennesimo guanto di sfida lanciato a Madrid, che ha replicato duramente all’annuncio, negando l’esistenza di qualsiasi possibilità di celebrare un referendum di autodeterminazione del tutto “incostituzionale” nell’ordinamento spagnolo. […]