Il risultato delle elezioni di novembre restituisce l’immagine di un’America divisa. Che l’esito della consultazione avrebbe lasciato comunque una ampia parte dell’elettorato insoddisfatto era chiaro sin dall’inizio della campagna elettorale, probabilmente la più violenta della storia americana. Inaspettata è giunta, tuttavia, la vittoria a valanga di Donald Trump, candidato sgradito al suo stesso partito, che, con il suo stile divisivo, ha saputo interpretare il malessere di un Paese in cui in questi anni le contraddizioni sociali ed economiche si sono drammaticamente acuite.
L’analisi del voto statunitense potrebbe essere sintetizzata dalla constatazione della sollevazione degli elettori di entrambi i partiti contro un sistema ritenuto corrotto e affetto da autoreferenzialismo, ai cui candidati hanno preferito outsider dagli orientamenti spiccatamente radicali. Per dirla con il politologo americano Francis Fukuyama “The real story of this election is that after several decades, American democracy is finally responding to the rise of inequality and the economic stagnation experienced by most of the population” 1. Trump, dunque, come reazione della democrazia americana alla crisi di quella stessa democrazia. Queste elezioni segnano, tra l’altro, anche il definitivo declino dei partiti americani tradizionali, travolti dall’ondata del populismo, risultato di anni di inazione e di indifferenza alle profonde ferite che hanno lacerato il tessuto sociale del Paese. L’osservatore occasionale dell’ordinamento statunitense coglie nell’elezione di un candidato controverso come Donald Trump solo una parte della lezione che ancora una volta questo Paese consegna alla storia. Le elezioni presidenziali di questo autunno sono un monito per le classi dirigenti, anche europee, ad imprimere un cambio di passo nella lettura dei fenomeni sociali se non vogliono essere spazzate via dai diversi Trump nazionali.
L’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti è stata molto discussa e non manca di suscitare, a pochi giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca, accesi dibattiti e proteste. A risultare indigesti non sono soltanto alcuni aspetti strettamente connessi alla persona del neo Presidente eletto, ma anche il peculiare processo di elezione del Presidente e le anomalie che questo presenta.
Donald Trump è il Presidente eletto con il minor consenso popolare della storia degli Stati Uniti, segnata da altri quattro casi in cui il candidato risultato vincente non aveva ottenuto la maggioranza nel voto popolare. Tre si sono verificati nel XIX secolo, in occasione delle elezioni del 18242, del 18763 e del 1888. Le prime due misero in luce i punti deboli del sistema elettorale conducendo il Paese, in entrambi i casi, verso gravi crisi costituzionali e sull’orlo della guerra civile. In anni più recenti, si ricorda l’elezione del 2000 quando George W. Bush strappò di mano ad Al Gore Jr. la vittoria, assicurandosi il voto dell’ Electoral College ma non quello popolare. La vicenda, che fu anche l’occasione per un celebre intervento della Corte Suprema in materia elettorale, continua ad esercitare una certa influenza sul dibattito politico americano.[…]