Le recenti vicende che hanno riguardato le pratiche ostruzionistiche del Senato statunitense impongono una rinnovata riflessione sulle implicazioni delle caratteristiche istituzionali della forma di governo presidenziale.
Il principio della separazione rigida dei poteri governa il sistema politico statunitense in concorso con quei meccanismi cd. di checks and balances tra i supremi organi costituzionali che consentono ai poteri, in rapporto di indipendenza tra loro, di dialogare, permettendo il funzionamento dell’assetto istituzionale in ossequio allo spirito dei Padri Fondatori.
Come notava il Leopoldo Elia nel suo volume del 1961 su “Forma di Governo e Potere Legislativo negli Stati Uniti d’America”, è “ la separazione delle istituzioni a consentire la partecipazione del Congresso all’elaborazione della linea politica”, riprendendo la celebre definizione di Neustadt per cui quello americano è un “government of separated institutions sharing powers”.
La perennial struggle, così definita dal premio Pulitzer Walter Lippmann, tra Presidente e Congresso nella vita costituzionale degli Stati Uniti si è recentemente risolta in una significativa modifica regolamentare, destinata a dispiegare i propri effetti sul finora travagliato secondo mandato presidenziale di Barack Obama.
Com’è noto la sez. 2, clausola 2 dell’art. I I della Costituzione degli Stati Uniti conferisce al Presidente il potere di nomina degli alti funzionari dell’amministrazione federale. Tale potere è bilanciato dalla previsione del voto di approvazione del Senato, necessario affinché le nomine effettuate dal Presidente acquistino efficacia (potere di advice and consent).
L’attuale regime di “divided Government”, risultato delle ultime consultazioni elettorali, vede al momento la Camera dei Rappresentanti controllata da una maggioranza repubblicana mentre il Senato è sotto l’influenza dei democratici con soli 53 voti a cui si aggiungono quelli di due senatori indipendenti. La maggioranza qualificata (3/5) richiesta al Senato per il superamento delle pratiche ostruzionistiche messe in atto dall’opposizione ha reso in questi mesi indispensabile il raggiungimento di un accordo con la minoranza repubblicana, accordo quanto mai di difficile raggiungimento.
Considerando il ruolo assegnato dalla Costituzione al Senato per il bilanciamento dei poteri tra Legislativo ed Esecutivo, è palese la rilevanza che assumono le questioni relative alle pratiche di filibuster al Senato per il buon andamento del secondo mandato dell’amministrazione Obama.
Da quanto appena descritto si evince come sia particolarmente arduo per il Presidente, all’interno di tale contesto, incassare il consent del Senato sulle nomine o veder passare un provvedimento particolarmente caro all’amministrazione, sebbene tale organo sia controllato dal suo partito di provenienza.
Allo scopo di porre un freno al ricorso scellerato dei senatori repubblicani alle pratiche di filibuster si è proceduto nel novembre 2013 ad intervenire sul regolamento del Senato, modificando la maggioranza richiesta per votare la mozione di chiusura e limitare il dibattito parlamentare.
Prima di passare a esaminare nel dettaglio le vicende che hanno determinato la modifica regolamentare, occorre tuttavia compiere un preliminare sforzo definitorio. Del termine “filibuster” infatti non v’è traccia né nella Costituzione, né nelle regole procedurali del Senato. Generalmente per ostruzionismo si intendono tutte le tattiche finalizzate a bloccare un provvedimento impedendone la votazione da parte dell’assemblea. La definizione offerta dal Black’s Law Dictionary “A dilatory tactic, esp. prolonged and often irrelevant speechmaking, employed in an attempt to obstruct legislative action” consente di diradare le nebbie interpretative. A questo scopo contribuisce senz’altro anche il recente studio del politologo statunitense George Koeger, il quale propone una definizione particolarmente interessante del fenomeno, descrivendolo come “legislative behavior (or the threat of such a behavior) intended to delay a collective decision for strategic gain”.
L’ostruzionismo è considerato a ragione dalla maggior parte della dottrina come uno degli elementi procedurali più caratteristici del Senato statunitense.
Durante la presidenza di Woodrow Wilson la seconda camera del Congresso ha conosciuto significativi cambiamenti, il più rilevante dei quali è senz’altro rappresentato dalla ratifica del XVII emendamento (1913) che prescrive l’elezione diretta dei Senatori da parte del corpo elettorale ed interviene a modificare l’art.1 sez. I II della Costituzione. Tuttavia, al fine della presente trattazione, occorre menzionare la limitazione della pratica del “filibuster” attraverso il ricorso alla mozione di chiusura “cloture vote” , previsione introdotta sempre nel corso della Presidenza Wilson. Oggi, il termine filibuster è utilizzato più frequentemente con riferimento all’esercizio da parte dei senatori del proprio diritto a dibattere, che trova riconoscimento nella Rule XIX del Senato. La regola fondamentale che governa il dibattito nell’Aula del Senato è, infatti, proprio il paragrafo 1(a) della Rule XIX, in base al quale “When a Senator desires to speak, he shall rise and address the Presiding Officer, and shall not proceed until he is recognized, and the Presiding Officer shall recognize the Senator who shall first address him. No Senator shall interrupt another Senator in debate without his consent, and to obtain such consent he shall first address the Presiding Officer, and no Senator shall speak more than twice upon any one question in debate on the same legislative day without leave of the Senate, which shall be determined without debate”. In base alla Rule XIX, salvo che non siano in vigore eventuali limiti speciali, i senatori a cui sia stata data la parola dal Presiding officer , possono parlare per tutto il tempo che desiderano. Consuetudine vuole che i senatori non possano essere costretti a restituire la parola all’aula, o essere interrotti, senza il loro espresso consenso. Esistono, tuttavia, delle eccezioni laddove nel corso del dibattito vengano violate le norme di decoro, o, qualora venga presentata una cloture motion. La norma non pone alcun limite alla durata dei singoli interventi o al numero dei senatori che può intervenire su una questione pendente dinanzi all’Aula.
Il Senato statunitense non prevede una disciplina specifica per la limitazione dell’ostruzionismo. La mancanza di disposizioni espressamente dedicate, che limitino il diritto dei senatori di mettere in atto tali pratiche nell’ambito dell’iter legislativo, ha consentito e favorito nel tempo un ricorso massiccio al filibuster. La sola disposizione del regolamento del Senato che consente all’organo, attraverso il voto , di concludere il dibattito e di portare dunque a conclusione i lavori parlamentari è il paragrafo 2 della Rule XXII, conosciuta come la cloture rule. […]