Il testo di Alessandro Somma “Quando l’Europa tradì se stessa”, che è uno dei libri più stimolanti sulla materia usciti in questo periodo, si compone, dal mio punto di vista, di tre tipi di osservazioni: condivisibili, non condivisibili, da chiarire in termini di sviluppo.
Anzitutto quelle condivisibili, a partire da una solida tensione federalista europea, su cui non mi soffermo puntualmente dandole positivamente per acquisite, se non tornandoci in conclusione. Il fine quindi è comune, anche se l’autore ed io abbiamo vari dissensi sui mezzi.
Ora passerei a quelle non condivisibili, che vado ora a commentare per ordine.
Per prima cosa non mi ha mai convinto per intero la teoria, riproposta nel volume a pag. VII, che l’Urss e le cosiddette democrazie popolari avrebbero avuto comunque un effetto positivo sulle democrazie liberali perché le avrebbero spinte ad avere una sensibilità sociale. Qui è opportuno distinguere bene tra forze politiche e Stati. Per le prime la sensibilità è endogena, nasce da una crisi dello Stato liberale oligarchico, dalla sua incapacità di integrazione di larghe fasce di popolazione. Questo accade ben prima del consolidarsi dei regimi politici delle cosiddette democrazie popolari. Le forze politiche di matrice socialdemocratica e popolare hanno tale sensibilità nel proprio Dna, non la attingono da fuori e l’hanno declinata dentro al costituzionalismo liberale, fuori da scorciatoie illusorie. Ovviamente, però, se ci spostiamo in termini di realismo politico sul livello degli Stati retti da democrazie liberali la tesi può essere considerata giusta, quella concorrenza ha aiutato a valorizzare il patrimonio genetico di quelle forze, delle loro componenti più aperte alle riforme sociali.
Stefano Ceccanti, Per una critica del bel testo di Alessandro Somma: consensi e dissensi
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