Il mio intervento vuol essere una riflessione che, certamente eccentrica rispetto al coro di voci dei costituzionalisti, nasce dalle sollecitazioni che derivano dal tema del convegno che mi permette di mettere insieme la lezione di Mortati con la crisi della democrazia e quindi anche con il tema della resistenza. E dirò, anche, che da questo punto di vista, più che guardare all’insieme della visione mortatiana, forse faccio tesoro di alcuni ‘atomi teorici’ che traggo da Mortati e che spero di sviluppare sulla linea di alcune indicazioni di Mortati stesso.
Ho riletto la breve nota sul convegno che appare nel dépliant realizzato dal prof. Lanchester e resto convinta che occorra guardare al tema della resistenza tenendo presente appunto la tensione tra costituzione formale e i soggetti politicamente rilevanti all’interno delle dinamiche di integrazione e globalizzazione, da intendersi in senso ampio, in un periodo in cui in si è realizzata una società plurale nella quale si dà un onnicentrismo che difficilmente può trovare mediazioni in grado di dar vita a un sistema.
Direi che la posizione di Mortati riguardo al diritto di resistenza si gioca sempre tra due aspetti in qualche modo tra di loro quasi inconciliabili. Il primo lo si trova nel famoso emendamento Mortati presentato alla Costituente che suona: “È diritto e dovere dei cittadini, singoli e associati, la resistenza che si rende necessaria a reprimere la violazione dei diritti individuali e delle libertà democratiche da parte della pubblica autorità”. Il secondo lo troviamo ancora negli Atti dell’Assemblea costituente: “il diritto di resistenza riveste carattere metagiuridico e mancano nel congegno costituzionale i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima”. Il famoso articolo 50 del Progetto della costituzione, mai approvato, così recitava. “Quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”. Si trattava di un diritto non vago, ma preciso, di resistenza contro atti dei pubblici poteri che violassero “le libertà e i diritti garantiti dalla presente costituzione”. Quindi un diritto a fini di conservazione della costituzione.
Ma Mortati, nella seduta del 5 dicembre 1946, fece un ragionamento netto che si basava sul fatto che ormai era stato inserito all’interno del testo costituzionale un sistema di garanzie volto a tutelare i diritti dei cittadini di fronte agli abusi dei supremi organi della Repubblica, e sarebbe stato il ricorso a questo sistema di garanzie positivo – e non certo l’esercizio del diritto di resistenza – a tutelare i cittadini dagli abusi del potere costituito. In tal modo il diritto di resistenza, pur riconosciuto da Mortati in via di principio, veniva in qualche modo ad essere ridimensionato, se non addirittura vanificato come diritto, proprio per la consapevolezza della difficoltà di accertare nei casi specifici la sua legittimità, restando solo come possibilità dipendente dalle dinamiche sociali. […]