Oggi l’economia ha una dimensione globale e predominante rispetto a quella ordinamentale degli Stati nazionali, che paiono incapaci di uscire da una crisi iniziata ormai un ventennio fa. Gli operatori dei mercati finanziari sono infatti in grado di spostare ingenti capitali investendo in titoli di debito pubblico, segnando così non solo la stabilità politica ma anche quella economica e sociale di intere nazioni; al contrario, gli Stati possono incidere solo in parte, tramite le politiche che adottano, sulle scelte degli investitori, le quali dipendono spesso anche da analisi macroeconomiche regionali. In tale contesto di trasformazione si sono sviluppate dapprima delle aree di integrazione regionale e in seguito istituzioni come il WTO o il G6 (oggi G20), che hanno fatto parlare alcuni osservatori di una nuova governance globale in cui la sovranità è ripartita tra diversi soggetti e livelli. Negli anni più recenti ha assunto una nuova rilevanza anche il livello locale, in un processo di “glocalizzazione” (teorizzato da Zygmunt Bauman) che non fa venir meno il ruolo dello Stato ma lo trasforma, come punto di coordinamento verso l’alto e verso il basso. Un nuovo ordine che presenta però tratti ancora indefiniti, o, piuttosto, un nuovo “disordine” in cui si potrebbero delineare scenari inquietanti (la sostituzione del potere democraticamente legittimato con un ordine economico/tecnocratico); elementi questi che rendono l’analisi di Raffiotta particolarmente interessante per chi voglia inquadrare meglio il percorso evolutivo del governo dell’economia e i suoi possibili sviluppi e risvolti, anche da un punto di vista costituzionale. L’analisi parte dalla seguente domanda: se gli Stati membri dell’Ue, come tutti gli altri ordinamenti nazionali, stanno perdendo la loro funzione di chiusura nel governare l’economia, può l’Ue essere il nuovo vertice di chiusura? La ricerca indaga dunque diacronicamente le trasformazioni che hanno interessato il governo dell’economia a livello europeo partendo da tre case studies (lo Stato regionale italiano, la Repubblica federale di Germania e lo Stato autonomico spagnolo), tutti Stati le cui costituzioni tentano di governare l’economia distribuendo le competenze legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali. In tali ordinamenti, da un lato la crisi economica e i processi avvenuti a livello europeo hanno rafforzato il ruolo dello Stato centrale rispetto ai livelli inferiori; dall’altro lato essi si sono indeboliti verso l’esterno. Gli ordinamenti analizzati sono infatti accomunati dall’aver introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione, in una fuga della politica verso la tecnica e verso la prevalenza della dimensione economica su quella statale. L’autore nota come, mentre le costituzioni economiche indagate, per differenti ragioni derivanti dai rispettivi processi costituenti, non esprimevano fin dall’inizio un chiaro modello economico, l’ordinamento comunitario nasce proprio da un modello economico ben delineato, fondato sulla libertà di circolazione (di merci, persone, servizi e capitali), sulla disciplina della concorrenza e sulla limitazione degli aiuti di Stato alle imprese; sarà per l’appunto l’affermazione di tale modello economico a consentire all’ordinamento europeo di espandersi in altri campi, come quello dei diritti fondamentali, attraendo a sé funzioni degli Stati nazionali. […]
Valentina Tonti, Recensione a E. Raffiotta, Il governo multilivello dell’economia. Studio sulle trasformazioni dello stato costituzionale in Europa, Bologna, Bononia University Press, 2013, pp. 344
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