La lezione di Benedetto XVI
Sommario:1-Premessa.2-L’ Università e le università ( 2.1-L’istruzione superiore e i suoi cambiamenti; 2.2-Il caso romano ). 3-Fede,scienza e Università;4-Conclusioni.
di
Fulco Lanchester
1-Premessa-Signore e Signori , buon pomeriggio a nome della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza” e benvenuti a questa riflessione su Fede , ragione e Università.
Mio compito è quello di spiegare in maniera sintetica perché siamo riuniti nella Sala delle Lauree della nostra Facoltà e qual è l’argomento della riunione e chi vi partecipa.
L’antefatto è noto. Questa riunione è stata stimolata dalla mancata visita del Papa a “La Sapienza” e dalle polemiche che ne sono scaturite, con ricadute mediatiche e politiche rilevanti .
La questione relativa alla opportunità della visita del Sommo Pontefice e di una Sua lezione in coincidenza con la inaugurazione dell’anno accademico non è all’ordine del giorno . Nella recente storia universitaria romana il Papa ha visitato ed ha presenziato a cerimonie in vari Atenei statali romani , tra cui “La Sapienza” . Nel 1991 è venuto – a “La Sapienza” Giovanni Paolo II [ GPII] per il Forum dei Rettori dell’Università europee ; lo stesso ha effettuato una visita pastorale a Tor Vergata nel 1999 ed ha inaugurato nel 2002 il X anno accademico dell’Università di Roma Tre. Sempre GPII ha accettato la laurea h.c. in Giurisprudenza de La Sapienza nel 2003 presso la Sala Nervi in Vaticano .
Ci si chiederà perché quest’anno la visita del 17 alla nostra Università sia stata annullata . La risposta è che gli avvenimenti devono essere visti nel loro contesto e che i responsabili di ciò che avvenuto sono numerosi e non solo recuperabili all’interno del nostro Ateneo .
Per quanto ci riguarda, posso dire che l’invito non è stato pensato ed attuato in maniera opportuna dal punto di vista dei modi e dei tempi anche per l’effettuazione di “errori materiali” (mi riferisco alla esplicita ammissione dell’esistenza degli stessi nella e-mail rettorale della scorsa settimana), capaci in determinate situazioni esiziali.
Ma al di là degli inequivocabili errori interni, la responsabilità dello scandalo deriva anche dal contesto esterno (cittadino e nazionale), che vive una situazione confusa, e dai mezzi di comunicazione di massa, che – da una certa data in poi – hanno fatto in modo che l’evento mediatico fosse gonfiato a dismisura e fosse orientato a fini essenzialmente polemici .
E’ stata così strumentalizzata – sfruttando la voglia di apparire – una Comunità come quella de “La Sapienza” che ha molti problemi e che è rappresentativa delle difficoltà dell’intera università italiana, ma con le peculiarità della specifica area romana.
La mancata presenza del Papa il 17 gennaio scorso ed i riflessi politici interni ed anche internazionali degli avvenimenti (il Sommo Pontefice non è soltanto il Vescovo di Roma, ma anche un Capo di Stato sovrano) hanno però acuito l’esigenza di riflettere sul discorso che lo stesso avrebbe dovuto pronunciare a “La Sapienza” e che è stato letto nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico .
Nel corso del nostro Consiglio di Facoltà , il luogo principe in cui ufficializzare i problemi, ho fatto presente che il modo in cui una Comunità culturale interagisce e reagisce non è tanto l’appello o la dimostrazione, ma la riflessione e la discussione motivata all’interno del luogo di lavoro in cui operano giornalmente docenti, studenti e personale amministrativo . Ciò che è capitato il mese scorso, eterodiretto dai mezzi di comunicazione di massa, è stato invece, ancora una volta, l’espropriazione della funzione dell’Università come centro di elaborazione critica, con il rischio della riproposizione non di normali elementi di dissenso dal punto di vista scientifico e valoriale, ma di storici steccati che sono solo negativi .
Penso, dunque, che la lezione di Benedetto XVI [BXVI] ( allocuzione per l’Osservatore romano ) meriti una riflessione adeguata a tutto campo e questo pomeriggio noi ne discuteremo con :
Vittorio Possenti ,ordinario di Filosofia politica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’Foscari di Venezia;
Mario Caravale,ordinario di Storia del diritto italiano nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”;
Teresa Serra, ordinario di Filosofia politica nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Oggi pomeriggio rifletteremo- insomma- non soltanto sul rapporto fede- ragione, anche alla luce del precedente intervento che proprio BXVI ha tenuto nella Sua Università di Regensburg, ma soprattutto sulla triade fede, ragione ed università .
Lo faremo sulla base di un’analisi che necessariamente tiene conto della prospettiva storica sia sotto il profilo concettuale che su quello istituzionale e porremo come centro di gravità della discussione l’Università come luogo di formazione culturale, che dovrebbe generare, in un fattivo equilibrio fra didattica e ricerca , non soltanto professionisti ed operatori, ma individui capaci a rispondere alle domande fondamentali per la persona umana sia dal punto di vista materiale che spirituale.
Il tentativo è quello di discutere soprattutto i punti di frizione e di chiarirli, perché -se la soluzione è difficile o anche impossibile- compito di istituzioni di alta cultura è almeno quello di cercare di spiegare le differenti posizioni nell’ambito di un pluralismo che sia anche esempio di convivenza e di convergenza in un metodo.
2-L’ Università e le università –2.1-L’istruzione superiore e i suoi cambiamenti- Dalla lezione di BXVI si evidenzia la profonda consapevolezza che tra fede e scienza esiste, nell’università nata nell’ambito dello Stato moderno e contemporaneo, una cesura che certo non sussisteva nel mondo medievale . La prima cosa,dunque, da approfondire è cosa sia l’Università e se sotto questa dizione non vi siano differenti istituzioni storiche, la cui natura deve essere precisata opportunamente. L’Università è, infatti, un’istituzione storicamente situata e nasce nell’ambito della cosiddetta Res publica Christiana, per poi subire una serie di mutazioni con la formazione dello Stato nazionale, da un lato, e con la rivoluzione scientifica dal XVII secolo in poi, dall’altro . Con l’avvento della istruzione di massa ed i fenomeni della destrutturazione dello Stato nazionale accentrato di tipo europeo lo stesso modello di Università humboldiana , costituitasi in modo tipico in Germania all’inizio del XIX secolo e a cui fa riferimento implicito BXVI nella lezione di Regensburg, è venuto a modificarsi in maniera intensa. Le università come luoghi di elaborazione di alta cultura non sono più laddove esistono istituzioni che portano quel nome e non sono più tipicamente sotto l’esclusivo controllo pubblico . I fenomeni di licealizzazione dell’istruzione superiore evidenziano la perdita delle caratteristiche universitarie dei luoghi tradizionali di formazione e la necessità di sforzi particolari per evitare che i docenti ed i discenti divengano solo dei riproduttori e dei meri recettori di nozioni parziali . La moltiplicazione delle sedi e la riduzione dei fondi pubblici fa, inoltre, sì che le università con la U maiuscola siano poche e sparse nello spazio della globalizzazione e dell’internazionalizzazione in un apparente riproposizione di alcune dinamiche medievali originarie (ad es. la mobilità di docenti e discenti) . In realtà lo statuto dell’Università contemporanea è profondamente differente da quello primitivo sia dal punto di vista morale che da quello materiale.
A me sembra quindi che sia opportuno partire proprio dal riconoscimento di quella che i tedeschi chiamerebbero la consapevolezza della propria situazione di senso all’interno di un determinato contesto. In questo specifico ambito l’esigenza di una Kritische Universität non costituisce dunque solo uno slogan della contestazione sessantottina , ma una indispensabile richiesta di adeguare la formazione del sapere in maniera più adatta alla forma di società esistente senza privale di radici l’istruzione superiore [ “Unter den Talaren – Muff von 1000 Jahren”(sotto la toga ,ammuffisce da mille anni )].
2.2-Il caso romano-Direi di più . Non si tratta soltanto di avere la consapevolezza dello sviluppo generale dell’istituzione universitaria e delle sue funzioni cangianti nelle società contemporanee, ma è necessario anche verificare la situazione delle singole istituzioni nazionali e locali . Come ha ricordato lo stesso BXVI , “La Sapienza” è nata con la Bolla di Bonifacio VIII nel 1303, ma – dopo numerose e non lineari vicende- nel 1870 essa è passata sotto il controllo dell’autorità statale, divenendo l’Università laica della capitale del Regno d’Italia. A mio avviso , non si ricorda mai abbastanza come- ai tempi degli storici steccati – tra il 1871 e il 1876 abbia operato a Roma l’Istituto Vaticano che radunava i docenti che non avevano giurato fedeltà alle istituzioni del nuovo Stato e come lo stesso sia stato sciolto attraverso un atto legislativo .
La Sapienza, su cui molto investirono le classi dirigenti del periodo liberale e fascista , è stata -successivamente – per molti anni non solo il luogo privilegiato di aggregazione del pensiero laico e scientista della capitale e del Regno, ma ancora oggi – dopo la formazione di due altre università statali negli anni 80 e 90 – è l’unica sede di alcune Facoltà scientifiche dell’area universitaria romana . In un simile quadro non soltanto “La Sapienza” rappresenta l’esplicitazione di tutte le contraddizioni dell’Università di massa ( per le sue gigantesche dimensioni e la mancanza di un intervento razionale di riforma da parte del ceto politico) , ma essa si inserisce in un quadro regionale ed urbano che esalta le sue caratteristiche miste di istituzione di ricerca di élite e di teaching university .
Di qui -a mio avviso- bisogna partire per comprendere anche il tema generale che ci impegna stasera.
3-Fede,scienza e Università- A Regensburg (Università in cui sono stato professore visitatore durante gli anni Novanta) BXVI aveva parlato nel 2006 di fede e ragione, affrontando il classico tema dei rapporti tra scienze della natura e scienze storico – sociali e operando una critica della ragione moderna dal suo interno . In quell’occasione l’antico professore di Teologia aveva ribadito l’importanza della sua materia all’interno dell’università e del vasto dialogo delle scienze. In sostanza BXVI aveva riproposto la tesi che, nella divisione del lavoro scientifico , le scienze naturali sviluppassero la problematica del come , mentre a filosofia e teologia veniva affidato il compito di spiegare il perché. Nella lezione romana ,pur continuando l’elaborazione su questo punto, BXVI affronta il tema del lavoro scientifico nell’ambito dell’Università in rapporto con il crescente processo di laicizzazione.
E’ questo un problema che ha radici secolari e chi ripercorra la storia della stessa pastorale ecclesiale nelle università conosce lo sforzo della Chiesa di essere presenti in questi luoghi, così come la consapevolezza della difficoltà del rapporto con la scienza contemporanea .
Nel discorso tenuto a “La Sapienza” al forum dei rettori delle Università europee del 1991 proprio GPII aveva sottolineato il rapporto originario Chiesa – Università, ma anche le difficoltà dello stesso con “il fenomeno dell’allontanamento della cultura dalla fede”. Nella temperie del crollo dei regimi comunisti e nella speranza che i fenomeni di democratizzazione e di unificazione europea comportavano GPII sottolineava, però, come vi fosse un processo di convergenza in atto tra cultura e Chiesa, basata sull’umanizzazione della scienza da un lato e sulla riattivazione da parte della Chiesa del dialogo con la cultura. Il papa polacco evidenziava che non di sola tecnica vive l’uomo e che l’università aveva “ la specifica responsabilità di stimolare la riflessione circa l’aspetto etico della ricerca teorica e applicata “.
Dieci anni dopo circa sempre GPII, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico di Roma Tre, sostenne che “compito essenziale dell’Università è quello di essere palestra nella ricerca di verità “, da quelle più semplici a quelle più essenziali. In quell’occasione egli aveva preso in considerazione il rapporto tra unità e diversità degli esseri umani nella storicità delle culture, per cui cultura e dialogo religioso divenivano elementi di pluralismo e di colloquio. In questa prospettiva GPII dichiarò che la Chiesa offriva il contributo del Vangelo e quindi una concezione del mondo di tipo numenico (ovverossia ispirata dalla divinità) .
Mi sono soffermato anche sui discorsi di GPII, perché il modo in cui la dottrina della fede è da lui posta all’attenzione del pubblico mi sembra differente da quella dell’attuale Pontefice . Si badi bene la sostanza delle loro posizioni non diverge ( anzi vi è una strettissima continuità fra le stesse) , ma il modo con cui esse sono affrontate, che è importante in una società basata sulla comunicazione, appare differente, così come il mutamento del contesto storico-sociale tra cui inserisco anche l’atteggiamento della gerarchia ecclesiale .
Qui possiamo ritornare a collegarci con la lezione dello scorso gennaio di BXVI, che da par suo si è chiesto -da un lato- quale sia la natura e la missione del papato, dall’altro quale sia la natura e la missione dell’Università.
In questa duplice prospettiva, in primo luogo per BXVI il Papa sarebbe divenuto “sempre più anche una voce della ragione etica dell’umanità”, in quanto rappresentante di una sapienzialità storicamente fondata . Di fronte alla ragione astorica il papato rappresenterebbe, dunque, “un tesoro di conoscenze e di esperienze etiche“ importanti per tutta l’umanità.
In secondo luogo, sempre per BXVI la missione dell’Università non sarebbe solo quella di conoscere teoricamente, ma di conoscere la verità . Nella lezione del Pontefice si tratterebbe di superare la tristizia della scienza come semplice sapere per pervenire alla conoscenza della verità come conoscenza del bene. E la verità assoluta- egli ci conferma- non può essere raggiunta attraverso gli strumenti scientifici, né attraverso il numero (tipico delle concezioni aritmetico – democratiche), perché la stessa può essere solo rivelata.
Nella recente Enciclica Spe salvi facti sumus BXVI ha osservato anche che nella Bibbia fede e speranza a volte sembrano interscambiabili e che la fede è speranza, per cui i cristiani hanno un futuro . Infatti “chi ha speranza vive diversamente “ , poiché la fede è “stare saldi in ciò che si spera, essere convinti di ciò che non si vede” . In questa dimensione la ragione domina veramente solo attraverso il discernimento del bene e del male, in maniera che il progresso tecnico deve essere necessariamente accompagnato da un progresso della formazione etica .
In una simile prospettiva ritengo venga, però, rimarcata da BXVI in maniera evidente la distanza tra l’università della Res publica christiana e l’università moderna e contemporanea in trasformazione. La spaccatura tra scientismo e religione , che richiama il silete theologi in munere alieno di Alberico Gentili, è ben caratterizzato da quanto disse , in maniera icastica, GPII a conclusione del Colloquio internazionale dedicato al tema “Illuminismo oggi” (Castelgandolfo ,agosto 1996). L’illuminismo come fenomeno culturale è stato “un movimento di dissenso rispetto alla fede cristiana”. Tuttavia la stessa parola illuminismo poteva essere – a detta di GPII- intesa come illuminazione ,”dono di luce dall’alto “, assumendo connotazione teologica positiva .
4.Conclusioni- Il contrasto tra ragione immanentistica e numenica non potrebbe- dunque- essere più clamoroso, anche se in questo momento lo sto estremizzando a fini dialettici . Prima di tutto perché lo statuto metodologico della scienza basato sulla ragione scientifica non può essere collegato ad alcuna rivelazione, ma di fronte all’indimostrato ed indimostrabile il ricercatore come tale deve stare in silenzio, osservando che il problema non è scientifico e fuoriesce dal controllo della ragione ordinaria per percorrere le vie della fede e della speranza . In secondo luogo perché l’Università pubblica è un luogo di pluralismo in cui la verità non scientifica appartiene al privato dei singoli e viene opportunamente garantita nel foro interno ed associativo , ma non può avere riflessi istituzionali .
Nell’ambito delle società contemporanee caratterizzate dal pluralismo le concezioni numeniche costituiscono ragione non pubblica e lasciano il posto alla partecipazione politica egualitaria attraverso le procedure di votazione o altre forme ragionevoli di eliminazione del contrasto . Nella presente fase storico- sociale BXVI sembra considerare la debolezza dei soggetti che trasmettono e rappresentano le domande della collettività (partiti e gruppi di interesse) sulla base di una tradizionale sfiducia nella Vertretung degli interessi materiali e nella sublimazione di una Repräsentation non parziale, capace di fornire un contributo alla verità della giusta convivenza. Sul piano politico una simile impostazione rischia di riproporre una concezione gerarchizzata e piramidale, in contrasto con le caratteristiche di società pluralistiche e complesse, ed un intervento agonistico della gerarchia ecclesiale in società fortemente secolarizzate .
Una simile conclusione sembrerebbe sbarrare la possibilità di ogni dialogo. Si tratta però solo di un’affermazione dell’esistenza di piani differenziati sul piano individuale e collettivo in cui ciascuno di noi cerca di dare un senso alla propria finitezza terrena : da un lato ,sulla base della ragione naturale, si definisce ciò che è comprensibile razionalmente e ciò che invece non lo è, dall’altro si accetta o si non accetta l’esistenza tavole valoriali date. Tuttavia l’area di comprensione tra le differenti posizioni è molto più vasta di quanto non si creda e non soltanto dal punto di vista del singolo individuo , che cerca una spiegazione,un indirizzo e un sostegno .
La mia impressione è che ragione immanentistica e ragione numenica, limate dalla sapienzialità storica che aiuta a situarci , possano trovare un punto di convergenza proprio nella dignità della persona umana ed un luogo di approfondimento e di incontro tra posizioni necessariamente diverse nelle istituzioni di alta cultura, di cui fanno parte le università. La centralità della persona umana e le istituzioni di alta cultura costituiscono ,dunque, un punto di incontro per evitare che rinascano storici steccati, che tanto male hanno fatto nel passato alle società coinvolte.
Nelle società contemporanee la fede è un problema individuale che non deve incidere sul ragionamento scientifico, ma può orientare le scelte del singolo e dei gruppi nell’ambito di un pluralismo rispettoso delle convinzioni dell’altro e soprattutto può convergere con l’umanesimo della ragione scientifica e con la stessa posizione dei non credenti . La convivenza nelle società complesse, caratterizzate dall’autodeterminazione del singolo all’interno del gruppo , è un processo lungo e faticoso, frutto di un’opera diuturna, che richiede impegno e dedizione e la rinunzia al metodo agonistico . In particolare nell’Università pubblica ( che molto spesso appare come il centro del conflitto ) analisi critica, discussione e diritto al dissenso sono e devono rimanere i pilastri della convivenza comune . Lo scopo di questo dibattito vuole essere la riaffermazione di un principio che garantisce ciascuno di noi e la stessa ricerca.