Stato di diritto e rafforzamento della democrazia nella Jugosfera:
Forme di governo, sistemi elettorali e partecipazione della società civile nella cosiddetta Jugosfera
di
Fulco Lanchester
Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato(I catt.) nell’Università di Roma “La Sapienza”
Sommario:1-Introduzione; 2-L’importanza delle denominazioni; 3-Il problema generale del processo di democratizzazione;4-Il peso del passato; 5-La crisi della seconda Jugoslavia , la sua implosione e l’azione esogena; 6- I risultati: generalità;7-Le acquisizioni istituzionali ;8-Valutazioni sul processo 9-Conclusioni
1-Premessa- Il titolo di questo convegno fa riferimento sia allo Stato di diritto che al “rafforzamento della democrazia” nella cosiddetta Jugosfera. Sulla denominazione dell’area farò qualche accenno tra poco. Mi preme, però, dire subito che, negli ordinamenti contemporanei, lo Stato di diritto si identifica con la forma di Stato costituzionale di democrazia pluralista, dove con questa espressione si intenda un assetto valoriale e normativo di pratiche effettive, basate sulla volontà del demos politico (tendenzialmente sovrapposto a quello sociale) e sul rispetto dei diritti fondamentali individuali e collettivi attraverso la garanzia della giurisdizione .
Nel mio intervento mi occuperò in maniera sintetica della situazione degli ordinamenti dell’area della ex-Jugoslavia per quanto riguarda i temi relativi al processo di instaurazione di istituzioni democratiche e di consolidamento delle stesse nel periodo post-1990. In generale concentrerò la mia attenzione sullo sviluppo che le istituzioni più connesse al regime politico hanno subito nell’ultimo ventennio, verificando quale sia stato il ruolo ed il successo dell’azione di affiancamento conformazione attuato dalle istituzioni europee sulla base dello Stability Pact for South Eastern Europe dopo il 1999.
Senza anticipare le conclusioni , sosterrò che negli ultimi venti anni vi sono state luci ed ombre nel processo di adeguamento e di consolidamento delle istituzioni degli ordinamenti della ex-Jugoslavia agli standards di democraticità richiesti dall’Unione europea sulla base di una dinamica derivante dalle rispettive condizioni originarie dei contesti e dai tempi e dai modi in cui dal 1990 in poi i paesi dell’area hanno iniziato il processo di transizione democratica. L’indubbia omogeneizzazione istituzionale e dei comportamenti ha visto sforzi comuni che fanno ben sperare per il consolidamento democratico, favorendo- nonostante le differenze esistenti- le aspirazioni e gli sforzi dei soggetti coinvolti e della stessa Unione europea.
2-L’importanza delle denominazioni- Inizio dalla denominazione dell’area, di cui al nostro incontro. Le dizioni Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni, Jugoslavia, Balcani occidentali , Jugosfera individuano quattro differenti fasi di riflessioni teoriche e pratiche su una specifica area geopolitica. Se il significato storico-politico del termine Balcani ha avuto una vicenda incrementale dall’800 ad oggi, abbracciando prima la Grecia e poi tutta la cosiddetta penisola balcanica, Sabrina P. Ramet ha parlato, a sua volta, di tre Yugoslavie (Ramet,2006).La prima – al di là dell’ufficialità della denominazione – copre durante il periodo 1918-1941 della monarchia Karađorđević l’area del regno dei serbi , dei croati e degli sloveni; la seconda il regime di socialismo reale tra il 1945 e il 1991; la terza ,infine, l’ordinamento serbo-montenegrino dal 1992 al 2003, fino a quando lo stesso, dopo la cacciata di Milosevich, si trasformò ufficialmente in Serbia- Montenegro.
L’espressione “Balcani occidentali” è, invece, invalsa nel periodo di collasso dell’ordinamento yugoslavo, delimitando –però- l’attenzione solo su una parte della ex-Jugoslavia (escludendo a volte la Croazia e quasi sempre la Slovenia) e sull’Albania. L’espressione geopolitica Western Balkans indicava ed indica, in sostanza, il recupero problematico di parte della “Turchia-europea” ovvero dell’area che era stata a suo tempo sotto il dominio dell’impero ottomano, escludendo significativamente alcuni ordinamenti che non avevano fatto parte di quell’esperienza. Ne venivano lasciati fuori, appunto, sotto il profilo storico-culturale la Slovenia come ordinamento facente parte della Cisleitania, ovvero il territorio ad ovest del fiume Leitha inserito nell’impero d´Austria propriamente detto, e la Croazia , facente invece parte della Transleitania inserita nel Regno d’Ungheria.
E’ sintomatico che oggi si parli,invece, di Jugosfera , ovvero di un’area corrispondente alla cosiddetta ex-Jugoslavia , sottolineandone – a circa venti anni dalla implosione dell’unità federale – la rinascita come centro di interrelazioni economiche e culturali. Il giornalista Tim Judah, che ha pubblicizzato per primo di Jugosfera (v. Economist, September 16th 2010), lo ha fatto sulla base di dati economico-strutturali, che- alla base della stabilizzazione dell’area – favoriscono la ripresa di una collaborazione indispensabile per il benessere comune. La dizione ha dalla sua il fatto che il settore esclude l’area albanese (l’Albania e- al di là di ogni possibile polemica- il Kossovo), mantenendo l’unità degli slavi del sud, pur nelle ovvie differenziazioni, che la storia ha comportato.
La Jugosfera individua,dunque, la tendenza da parte di ceto politico, classe dirigente e cittadini delle nuove entità statuali a recuperare elementi di collaborazione, pur non dimenticando che negli anni ’90 l’area è stata teatro di conflitti convenzionali e di una guerra civile con tratti marcati di pulizia etnica feroce .
Dopo venti anni dall’inizio del processo di decostruzione della former Jugoslavia pare dunque ci sia la possibilità di superare le barriere che erano state poste davanti ai cittadini dalla istituzione di nuove entità sovrane e questo avviene non soltanto sulla base di uno sforzo endogeno , ma anche sulla base di un impegno esogeno che oramai è monopolizzato sostanzialmente dalla UE.. Dal punto di vista psicologico ci si trova,infatti, davanti all’esigenza dei più giovani di conoscere ex-novo una realtà, che i cittadini più anziani- a loro volta- ricordano e desiderano riannodare. Da quello strutturale il tessuto dell’antica federazione costituisce una base preziosa per lo sviluppo economico dei singoli ordinamenti dell’area. In questo quadro bisogna dire che l’Europa non ha fatto ancora tutto, ma sicuramente molto (Pridham,2005). Lo riconoscono anche istituzioni come la Rand Foundation (2008), sottolineando soprattutto l’impegno finanziario ed umano che è stato profuso in quello che rischiava di divenire un buco nero nella costruzione europea.
3–Il problema generale del processo di democratizzazione -Bisogna riconoscere che, se l’Europa si è impegnata attraverso una politica di incentivi che potrebbero essere definiti come tarati sul principio “premio – punizione”, è anche vero che anche molto è stato fatto dai soggetti dell’area, che hanno risposto in maniera opportuna alle sollecitazioni.
Gli studi sulla diffusione esterna e/o l´influenza della democrazia sono numerosissimi e risalenti nel tempo . Ad es. Reinhardt Bendix per il XIX secolo aveva messo in evidenza l’importanza, da un lato, dell’intervento esterno e , dall’altro, di quello interno delle élites (Bendix,1980) . Più recentemente Niall Ferguson ha sottolineato la differenza tra la posizione statunitense e quella inglese in materia(Ferguson,2003). L’esportazione ideologica delle istituzioni democratiche è stata una caratteristica nordamericana sin dal XIX secolo da Cuba alle Filippine al secondo dopoguerra sino alle campagne di Bush. I britannici hanno più utilizzato il divide et impera , ma nel caso indiano hanno fatto vedere come l’affiancamento del modello originale potesse portare ad una recezione anche attuale, se collegata con una cultura politica e istituzioni amministrative sufficienti .
Dopo l’ubriacatura del primo periodo degli anni 90 la percezione della differenza tra democratizzazione e State building ha fatto si che lo stesso Francis Fukuyama, ma anche Fareed Zacharia, abbiano evidenziato l’importanza dello Stato e dell’amministrazione in ordinamenti in cui si introduce un nuovo principio di legittimazione(Fukuyama,2005;Zacharia,2003). D’altro canto la teoria e la ricerca costituzionalistica e politologica rilevano in maniera precisa che l’instaurazione di un ordinamento democratico si connette anche con il grado di omogeneità sociale e politica del contesto di riferimento(mi riferisco a classici come Lowell,Mortati,Schmitt), mentre le cosiddette transizioni costituzionali vengono condizionate sia da questi fattori che da elementi esterni(Linz-Stepan,2000;De Vergottini,1998;Morlino,2003). C’è ovviamente chi rileva con forza l´influenza del fattore internazionale come fattore omogeneizzante d’area. Pridham (2000;2005) ha sottolineato con forza come le élites tecnocratico- modernizzanti del sud-Europa siano state influenzate dal contesto geopolitico ai fini della transizione. Altri ha ricordato ancor più di recente (Magen-Morlino,2009) come i fattori possano essere plurimi:dall’intervento impositivo attraverso le forze armate,alle incentivazioni (positive o negative),alla socializzazione e alla emulazione.
Nell’area della Jugosfera, ma in generale nei Balcani occidentali tutti questi strumenti sono stati utilizzati negli ultimi vent’anni ed in particolare negli ultimi dieci. Si tratta di un periodo limitato, ma rilevante in cui si è ristretto il processo di democratizzazione dell’area. Se, infatti, si considerano temporalmente le tre differenti ondate di democratizzazione descritte da Huntington(1998:I ondata : dal 1848 al 1922;II-ondata:dal 1945 al 1962;III – ondata : dal 1974 al 1994), l’area di nostro interesse ne è stata investita solo di recente
4-Il peso del passato- Alle spalle della transizione democratica degli anni 90 del secolo scorso la Jugosfera non aveva,infatti, avuto in alcun modo un’esperienza democratica in senso stretto. In ciò si può dire stia la differenza con altri ordinamenti europei dell’Europa centro – orientale. La rivoluzione francese e le riforme imposte durante il periodo napoleonico avevano avuto influenza nelle cosiddette province illiriche ed in particolare in Slovenia ed in Croazia, ma- nonostante alcune ventate nel 1848- fino alle soglie del XX secolo la situazione dell’area non era decollata sia sotto il profilo dei diritti politici che sotto quello delle cosiddette libertà civili (v. doc.Trifunovska,1994). Nel 1903 vi era stata una attenuazione del regime di dominazione ungherese in Croazia, mentre la Serbia si era aperta ad un regime rappresentativo prima della annessione ufficiale della Bosnia – Erzegovina all’Austria nel 1908, dello scoppio delle guerre balcaniche e, poi, del primo conflitto mondiale. La prima carta costituzionale del nuovo Stato unitario postbellico ( detta di S. Vito), imposta nel 1921 da Nikola Pašić, era centralistica e serbocentrica, contraddicendo sostanzialmente la cosiddetta dichiarazione di Corfù del 1917 con cui il comitato degli slavi del sud si era accordata con i rappresentanti del governo serbo per dare vita al futuro regno unitario( cosa che avvenne nel dicembre del 1918).
L’assassinio in pieno Parlamento di Stjepan Radić, leader del partito contadino croato nel giugno del 1928, condusse dal gennaio successivo ad un regime autoritario condotto dal monarca ed alla introduzione della dizione di Regno di Jugoslavia. La legge sul potere reale e l’amministrazione suprema dello Stato del 6 gennaio 1929 prefigurò sostanzialmente la Costituzione del 1931,che prevedeva in teoria una forma di governo monarchico costituzionale rappresentativa(A.Giannini,1931).
L’uccisione di Re Alessandro a Marsiglia nel 1934 da parte di elementi radicali ustascia e del VMRO non risolse i problemi di un ordinamento autoritario , né vi riuscì il compromesso del 1939 in favore dell’autonomismo croato( il noto accordo Cvetkovic- Macek),che istituì il Banato di Croazia. La firma del patto tripartito,il colpo di Stato successivo e la conseguente invasione nazifascista diede luogo all’attività Movimento di liberazione nazionale, condotto dal luglio 1941 dal Partito comunista,il quale prospettò una soluzione federale dello stato nel settembre 1943,proclamando poi una repubblica federale popolare nel novembre 1945.
La vicenda costituzionale della repubblica titina fu caratterizzata dalla Costituzione del 1946, dalla legge costituzionale del 1953 ( che modificò in parte il testo precedente sulla base dei principi autogestionari,con cui veniva giustificata la rottura del 1947 con l’URSS(Kardelj,1953)),dalla Costituzione del 1963 e poi la Costituzione del febbraio del 1974(Biscaretti di Ruffia,1969;1988,1991)
5-La crisi della seconda Jugoslavia , la sua implosione e l’azione esogena- Non mi soffermo sull’intenso dibattito istituzionale che dagli anni ‘50 caratterizzò l’ordinamento jugoslavo e sugli elementi di crisi che le riforme di liberalizzazione economica inserirono nella struttura in sviluppo del paese durante la seconda metà degli anni ‘60. E’ certo che le tensioni tra aree più o meno sviluppate all’interno di un contesto europeo in movimento fecero riapparire in maniera progressiva le fratture che la declinante esperienza titina aveva compresso, o meglio congelato. Con la morte di Tito nel 1980 e la crisi economica le tendenze nazionalistiche proruppero in maniera sempre più accentuata fino al collasso della compagine federale.
Con il 1989 e l’ingresso del pluralismo politico ed economico la Jugoslavia si scongelò appunto, decomponendosi. Il processo di transizione dal regime di socialismo reale a partito unico verso il pluralismo democratico venne caratterizzato dalla differente posizione geopolitica e dalla tradizione dei componenti della federazione. I passi sono noti e li ricordo solo sommariamente. Nell’aprile 1990 si tennero le prime elezioni multipartitiche sia in Slovenia che in Croazia. Il 2 luglio dello stesso anno la Assemblea parlamentare slovena approvò la dichiarazione di sovranità ,mentre il 5 l’Assemblea serba decise di sciogliere l’assemblea kossovara che aveva preso una decisione analoga e che la ribadirà in settembre in forma clandestina. Il 31 luglio l’Assemblea bosniaca approvò emendamenti al testo costituzionale vigente relativi alla democraticità e alla composizione plurietnica dell’ordinamento. In agosto venne modificata in senso pluralistico la Costituzione serba , mentre si tenne un referendum sull’autonomia dei serbi di Croazia,che verrà proclamata il 1 ottobre. Nei mesi di novembre e dicembre si tennero elezioni multipartitiche in Macedonia Bosnia Erzegovina e Serbia. Il 25 giugno 1991 dichiararono l´indipendenza la Slovenia, guidata dal leader del Partito Comunista Sloveno Milan Kučan, la Croazia, guidata dal segretario dell´ HDZ Franjo Tudjman e, nel settembre, la Macedonia. Il 5 aprile 1992 il Presidente bosniaco Izetbegovic, appoggiato da parte della comunità internazionale, proclamò l´indipendenza della Bosnia-Erzegovina a seguito di un referendum incostituzionale boicottato dalla popolazione serba e dopo aver ignorato a gennaio l´obbligo di cedere la presidenza al leader serbo (nella Repubblica Socialista Federata di Bosnia ed Erzegovina era istituita la presidenza a turno). A quel punto le due Repubbliche Socialiste rimaste, la Serbia e il Montenegro, diedero vita il 27 aprile alla Repubblica Federale di Jugoslavia, mettendo fine all´esperienza socialista. La dissoluzione della Jugoslavia sfociò quindi nelle guerre jugoslave che porteranno alla morte di 250 000 persone e alla pulizia etnica nel paese con centinaia di migliaia di persone cacciate dalle loro terre ( Pirjevec,2001).
La Slovenia fu la prima ad aprire il conflitto e a richiuderlo. Sarà anche la prima a raggiungere l’Europa ed eccellenti risultati di stabilizzazione. Il nodo gordiano interetnico coinvolse -poi- Croazia, Serbia e Bosnia-Herzegovina. Prima l’esercito federale poi i singoli componenti si contrapposero in armi , riducendo l’area in un campo di battaglia. Dopo il 1999 e l’intervento Nato contro la Serbia si aprì il periodo ufficiale dello Stability Pact for South Eastern Europe 1999-2008 , che ha seguito i circa dieci anni di decostruzione e di ricerca di nuovo assetto nell’area .
La Jugosfera , di cui ci stiamo occupando oggi, nasce processualmente in quel momento di massima tensione attraverso l’opera di stabilizzazione esogena sulla base di un processo di adesione condizionato al raggiungimento di una serie di condizioni dal punto di vista istituzionale, economico e funzionale. Sin dalla dichiarazione di Colonia(1999) gli obiettivi del Patto di Stabilizzazione furono la prevenzione ed il blocco delle tensioni e delle crisi come prerequisito per l’ottenimento della stabilità;il raggiungimento di processi politici democratici maturi, basati su libere e leali elezioni ,basate sul dominio della legge e sul pieno rispetto dei diritti umani e le libertà fondamentali; la creazione di relazioni di buon vicinato nella regione; la preservazione delle caratteristiche multietniche e multinazionali della regione e la protezione delle le minoranze; lo stabilimento di una economia di mercato; la promozione della cooperazione economica regionale e dei contatti con i cittadini ; la lotta contro il crimine organizzato ,corruzione,terrorismo ; la prevenzione degli spostamenti di popolazione dovuti al conflitto bellico,alle persecuzioni e ai problemi migratori generati dalla povertà ;assicurando la sicurezza e il libero ritorno di tutti i rifugiati nelle loro originarie residenze;creando le condizioni di una complete integrazione politica,economica e di sicurezza.
6-I risultati:-generalità- Non mi attardo a parlare dei tema dello sviluppo delle istituzioni parlamentari di cui si occuperà ex professo Alessandro Palanza e mi chiedo, a circa 11 anni dall’inizio del processo di ricostruzione politico-istituzionale dell’area quali siano i risultati per quanto riguarda il processo di democratizzazione, suddiviso nella transizione alla liberal-democrazia e nel consolidamento della stessa soprattutto dal punto di vista istituzionale. La risposta, sempre mettendo le mani avanti per la sinteticità dell’analisi, è che oggi formalmente nella Jugosfera esiste un maggiore omogeneità per i principi dichiarati e per le istituzioni recepite, ma una evidente difformità nelle condizioni e nelle politiche effettivamente praticate.
Sotto il profilo esistenziale e senza tenere conto delle conseguenze umane e giuridiche di quanto è accaduto , la prima osservazione operabile è che,nell’ultimo ventennio, alcuni ordinamenti sono divenuti più omogenei dal punto di vista etnico-religioso. La Slovenia invero lo era già in origine(oggi ha addirittura più rifugiati di quanto non ne avesse prima, mentre come membro dell’UE è anche soggetta a fenomeni immigratori), ma senza alcun dubbio anche Croazia e Serbia sono oggi più compatte, così come il Montenegro. Chi ha,invece, mantenuto un alto livello di eterogeneità per la presenza di minoranze sono invece Bosnia Herzegovina. e Macedonia. Gli indicatori di omogeneità etnico – religiosa lo confermano, così come quelli di omogeneità politica, dove la presenza di fratture etnico – religiose comporta la persistenza di forti difficoltà. La Macedonia ha dovuto subire anche attacchi esterni ( con l’ esclusione reiterata da parte greca per vicende relative alla denominazione e le tendenze implicitamente espansionistiche albanesi, che l’intesa con l’entità kossopvara ha attenuato), ma è soprattutto l’eterogeneità bosniaca ad evidenziare la problematicità della democratizzazione dell’ordinamento in questione . In sostanza in Bosnia Herzegovina la semplificazione si è risolta in una cantonalizzazione della zona croato – bosniacca con la chiusura delle due differenti comunità all’interno di singole aree (se si esclude Sarajevo), mentre l’entità serba è rigidamente conformata nell’area della Repubblica Srpska, con pulsioni secessioniste incrementate dall’esito della vicenda kossovara .
Un’analisi delle scelte di tipo costituzionale non può prescindere da questi dati di fatto costitutivi senza il rischio di essere accusata di formalismo. Se si utilizza un indice di istituzionalizzazione dei testi costituzionali secondo la variabile temporale suggerita negli anni sessanta da Huntington(1968), nell’area in questione -al di là degli emendamenti successivamente introdotti, si evidenzia come Croazia,Slovenia e Macedonia abbiano adottato testi costituzionali sulla base di decisioni endogene nel triennio 1990-1992, mentre la Bosnia – Erzegovina ha recepito un testo costituzionale imposto dagli accordi di Dayton. Serbia e Montenegro, sulla base del ritardo subito nel processo di transizione democratica, hanno operato le definitive scelte costituzionali nel biennio 2006-2007(per una prima valutazione v. Nikolic,2002).
In materia la Comunità internazionale ed in particolare le istituzioni europee hanno- come si diceva- contribuito a monitorare e a migliorare il prodotto costituzionale, ma è evidente che la costruzione di un assetto di democrazia liberale non appare soltanto caratterizzato dal contesto in cui si muovono le istituzioni di vertice , ma implica l’adeguamento di tutto il sistema istituzionale ai nuovi principi. Risulta quindi insufficiente innovare il principio di legittimità e i rami alti dell’ordinamento se non si modificano anche i rami bassi e le radici profonde del sistema. In questa prospettiva innovare – anche con la supervisione dell’UE o di Fondazioni ad hoc- il tipo di Stato e la forma di governo e la legislazione elettorale pone poi il problema della coerenza tra i vari livelli istituzionali, opera questa particolarmente faticosa e lunga.
7-Le acquisizioni istituzionali- In questa specifica prospettiva, sotto il profilo del tipo di Stato(ovvero del rapporto tra centro e periferia) , se si esclude la Bosnia Herzegovina , le scelte operate nella Jugosfera sono state sostanzialmente omogenee e di unitario e centralistico .Per quanto riguarda l’articolazione della rappresentanza impera l’unicameralismo in Croazia (dopo la abolizione attraverso una riforma costituzionale della Camera delle Contee nel 2001), in Macedonia, in Montenegro e in Serbia(v. Tab. 1)
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Tab.1-Scelte istituzioni nella Jugosfera
Cost. Forma di Stato Sistema elettorale(*) Parl.
mon./bic Forma di governo
Bosnia-H 1995 PF NM bic. Semip.a rot.
Croazia 1990 F NM;s.5% bic./poi mon. semip.
Macedonia 1992 PF Misto poiNM unic. semip.
Montenegro 2007 F NM;s.3% unic. semip.
Serbia 2006 F NM;s.5% unic. semip.
Slovenia 1991 F NM;s.4% bic. semip.
(*)per la Camera bassa(NM=non maggioritario;s=soglia di esclusione
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La Slovenia possiede un bicameralismo di garanzia, mentre la complicata struttura istituzionale delle camere di Bosnia Herzegovina è frutto di un ordinamento che non possiede le piene caratteristiche statuali, sibbene rivela palesemente la struttura di un ordinamento di diritto internazionale pubblico, da un lato,sottoposto a tutela internazionale ,dall’altro soggetto a meccanismi di decisione consensuale e di liberum veto.
Il sistema elettorale in senso stretto adottato per l’elezione dei rappresentanti per le Camere elettive è, in ogni caso, tipico di ordinamenti che non possono permettersi meccanismi di tipo maggioritario e che devono utilizzare la ragione di distribuzione ispirata al principio proporzionalistico in collegi di dimensioni differenziate (Slovenia 11, Croazia 14, Macedonia 20, Serbia e Montenegro in collegio unico nazionale, mentre la Bosnia Herzegovina ha collegi differenziati per le due entità e per i tre popoli componenti la federazione), con clausole di esclusione oscillanti tra il 3% e il 5%( v. Tab.1).
A differenza di quanto avvenuto in altri ordinamenti dell’area centro-orientale (o degli stessi Balcani occidentali) sono stati utilizzati in maniera molto limitata meccanismi misti quali quello combinatorio ungherese e di tipo Graben (come avveniva in Albania prima della riforma di tipo speculare con clausola di esclusione del 3%). In materia vi sono stati nel tempo cambiamenti rilevanti solo in Macedonia con l’accantonamento del sistema misto di tipo Graben adottato all’inizio della transizione democratica (per cui 85 seggi venivano eletti in collegio uninominale a maggioranza relativa con almeno 1/3 dei consensi e 35 su lista proporzionale) e l’adozione di un meccanismo di tipo speculare in 6 collegi di dimensione 20.
In tutti gli ordinamenti sono stati adottati strumenti di rappresentanza delle minoranze etnico- linguistiche(Palemo-Woelk,2008), in alcuni meccanismi che favoriscono la rappresentanza di genere e regole in favore dei cittadini residenti all’estero.
Su suggerimento degli osservatori internazionali, ma anche su pressione endogena in tutta l’area si è avuta attenzione per i problemi relativi alla regolazione del partito politico ed al vasto settore della legislazione elettorale di contorno (dal finanziamento al rimborso delle spese elettorali, per arrivare fino ai problemi della comunicazione politica ).
E’, inoltre, da notare, e lo hanno sottolineato molti osservatori internazionali, che il passato del mandato imperativo partitico si è ripresentato nell’ambito di alcune legislazioni elettorali. Porto ad esempio il caso della legge elettorale serba che prevede da un lato la designazione degli eletti da parte dei partiti che hanno presentato la lista elettorale e ,dall’altro, l’automatica decadenza dalla carica in caso di abbandono o espulsione dal partito(v. artt. 84 e 88 Legge elettorale serba).
Se si esclude il caso della presidenza collegiale della Bosnia Herzegovina (v.art. V BH),l’elemento istituzionale unificante della Jugosfera dal punto di vista della forma di governo è senza dubbio la presenza di forme di razionalizzazione a variante semipresidenziale, capaci di personalizzare la contesa(v. art.103 Cost. Slovena;art. 94 Cost. Croata;art.96 Cost. Montenegro;art.114 Serbia), le quali favoriscono con l’effetto di aggancio dell’elezione del Capo dello Stato la aggregazione partitica.
Gli effetti del meccanismo elettorale per i supremi organi costituzionali comporta fenomeni di plebiscitarizzazione e di aggregazione, che -nella prima fase- hanno portato, soprattutto i Croazia ed Serbia, non soltanto a fenomeni di contrapposizione bipolare, ma anche a pericolose tendenze autoritarie . In realtà, sopratutto per quanto riguarda il caso serbo alla bipolarizzazione della contesa presidenziale ha finito per corrispondere una frammentazione parlamentare, che ha dato vita a fenomeni di intensa instabilità governativa, ma – in tutta l’area- anche ad una relativamente bassa partecipazione politica, sintomo ambiguo che potrebbe significare stabilizzazione, ma anche distacco.
8-Valutazioni sul processo- I risultati della transizione politico-istituzionale nell’Europa centro-orientale ed in particolare nell’area della Jugosfera verificatasi dal 1989 ad oggi possono oggi vedersi alla luce oramai di un ventennio di esperienza, che fornisce un’immagine del consolidamento delle istituzioni democratiche e della capacità dell’azione endogena ed esogena di conformare pratiche adeguate ai valori liberal- democratici. Secondo le indagini della Freedom House( su cui v. anche Fossati,2010),divenute nel tempo sempre più articolate, in Europa centrale ed orientale (compresi gli eredi dell’impero sovietico) esistono 13 ordinamenti considerati liberi, 8 parzialmente liberi e 7 non liberi. Per questi ordinamenti viene utilizzata la categoria della transizione , valutata sulla base di una serie di indicatori che vanno dal processo elettorale (PE) allo stato della Società civile (SC),dallo stato dei di mezzi di comunicazione di massa (M) alla prestazione di attività di governo nazionale(GN) e locale(GL) , dall’esistenza di un quadro di istituzioni giudiziarie indipendente(G) per arrivare al livello di corruzione( C ).
I dati della ricerca della Freedom House sono estesi per il decennio 1999-2009 e possono essere analizzati e scomposti ai nostri fini, per cui gli ordinamenti della Jugosfera sarebbero da considerare:liberi(L) fino ad un punteggio sintetico 2,5;parzialmente liberi(PF) da con punteggi da 3 a 5 articolate in democrazie illiberali (DI) ed ordinamenti ibridi (I) da 4 a 5; i infine non liberi(NL) da 5 a 7
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Tab. 2-Indici di democraticità-Freedom House(*)
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PE SC M NG LG J C ID
BH 3 3,5 4,5 5 4,75 4 4,5 4,18
Croazia 3,25 2,75 4 3,5 3,75 4,25 4,5 3,71
Macedonia 3,5 3,25 4,25 4 3,75 4 4,25 3,86
Montenegro 3,25 2,75 3,75 4,25 3,75 4,25 5 3,79
Serbia 3,25 2,75 3,75 4 3,75 4,5 4,5 3,79
Slovenia 1,5 2 2,25 2 1,5 1,75 2,5 1,93
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(*)Fonte:Freedom House, Nations in Transit 2010(http://www.freedomhouse.org/images/File/nit/2010/NIT-2010-Tables-final.pdf)
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La tabella 2 sintetizza nell’ultima colonna (ID= Indice di democrazia) la situazione per gli ordinamenti della Jugosfera ed è evidente lo stacco tra la situazione slovena rispetto a quella degli altri ordinamenti presi in esame. Come si diceva in precedenza lo stato della società civile di Croazia,Montenegro e Serbia presenta minori problemi di quelli frammentati di Macedonia e Bosnia Herzegovina, mentre i settori più critici sono sicuramente quelli relativi ai media,alla prestazioni del governo nazionale, allo stato della giustizia ed alla corruzione.
In realtà simili indagini, se integrate con quelle effettuate dall’Economist e dai Trasparency International, possono suggerire che gli ordinamenti in esame non abbiano ancora completato la loro definitiva transizione, ma possono anche dire che questo è il loro livello di funzionamento. Non esiste infatti un livello unico di rendimento del sistema democratico, ma lo stesso si dispone secondo una scala che indica l’esistenza di democrazie ad alto e a basso rendimento, sulla base di parametri e ragioni che affondano nella vicenda degli ordinamenti di riferimento(Lanchester,2004).
9-Conclusioni- Le conclusioni di questa breve analisi sono estremamente sintetiche. Le transizioni istituzionali sono caratterizzate da forze endogene ed esogene. Nell’ambito della Jugosfera la comunità internazionale ed in particolare l’UE hanno molto investito e molto sono riuscire ad influire, soprattutto nell’ultimo decennio. L’attività di conformazione attraverso un complesso gioco di premi- punizioni (il caso di ammorbidimento del polpo serbo è stato esemplare e qualche volta eccessivo) ha avuto sicuramente effetti positivi. E’, d’altro canto, evidente come sulla vicenda in questione abbia pesato la cultura politica (in senso lato) dei singoli protagonisti e come essa influisca ancora fortemente, con pericoli di rollback o di arresti improvvisi. L’azione italiana in questa vicenda è stata preziosa sin dalle origini sulla base di un interesse tradizionale per l’area. Direi di più. Molti dei problemi che la Jugosfera ha affrontato e sta affrontando hanno colpito anche l’Italia, un ordinamento borderline nel periodo pre – 1989. Anche noi siamo in transizione e chi osservi la vicenda istituzionale nostrana, con le difficoltà di riallineamento del sistema dei partiti dopo la crisi di regime del 1992-93, con l’incertezza della normativa elettorale,con le difficoltà nel campo della giustizia,gli squilibri nel settore dei mezzi di comunicazione di massa e con la sempre presente corruzione non può che essere convinto della necessità di portare avanti anche all’interno del nostro ordinamento il monitoraggio degli standard di democraticità, che pretendiamo di favorire in altre aree. Il problema(ma anche la fortuna) e che noi non siamo candidati a far parte dell’UE, sibbene componenti della stessa.
Riferimenti bibliografici
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Biscaretti di Ruffia,P.(a cura di e con la collaborazione di G. Franchi), Repubblica socialista federativa di Jugoslavia ,Milano,Giuffrè,1969.
Biscaretti di Ruffia,P.,Introduzione al diritto costituzionale comparato,Milano,Giuffrè,1988.
Biscaretti di Ruffia,P.,1988-1990 : un triennio di profonde trasformazioni costituzionali : in Occidente, nell´URSS e negli Stati socialisti dell´Est europeo : aggiornamento all´Introduzione al diritto costituzionale comparato,Milano,Giuffrè,1991.
De Vergottini, G., Le transizioni costituzionali : sviluppi e crisi del costituzionalismo alla fine del 20. Secolo,Bologna,Il Mulino,1998.
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