Il futuro della memoria





IL FUTURO DELLA MEMORIA

Sommario: 1-La proposta di un ddl contro il negazionismo e le sue origini-2-Le legislazione e la giurisprudenza a livello comparato(2.1-Uno sguardo generale; 2.2-Gli ordinamenti anglo-americani-2.3-Gli ordinamenti continentali) – 3-La normativa italiana e la sua applicazione sinusoidale-4-Conclusioni.

1-La proposta di un ddl contro il negazionismo e le sue origini- Alcuni recenti episodi di esplicita o implicita negazione della Shoa, avvenuti anche in ambiente universitario durante gli ultimi quattro anni, hanno reso nuovamente attuale la proposta di introdurre una normativa penale, d'altro canto già esistente in altri ordinamenti europei, al fine di reprimere l'indirizzo interpretativo che, utilizzando a fini ideologico- politici modalità di negazione di fenomeni storici accertati, nega contro ogni evidenza il fatto storico stesso .
Nel gennaio 2007 l’allora Ministro della Giustizia Clemente Mastella dichiarò che avrebbe presentato un ddl contro il negazionismo. Al di là del reale contenuto del provvedimento, che per quanto si sa era più blando di quanto dichiarato dai mezzi di comunicazione di massa, su questa linea vi fu un'adesione quasi unanime del mondo politico (eccetto i dubbi prospettati dagli onn. Casini e Lerner) e posizioni più riservate , se non addirittura di aperto dissenso , di quello culturale (in particolare da parte di circa 150 storici contemporanei, contrastati esplicitamente dal sen. Quagliariello, che è anche uno stimato contemporaneista), restii ad utilizzare strumenti giuridici per risolvere problemi storici .
Ritengo , però, indispensabile ricordare in che contesto si collocasse la proposta Mastella.
Nel 2005 e nel 2007 ( A/RES/60/7, 1 novembre 2005; 26 gennaio del 2007, A/RES/61/255) le Nazioni Unite avevano, infatti, condannato ogni forma di negazione totale o parziale dell’Olocausto come evento storico per i rischi che in questo modo lo stesso potesse ripetersi. Alla base della risoluzione del 2005 e dei passi successivi si poneva, in effetti, non soltanto una serie stringente di atti normativi internazionali, a cui accennerò in seguito, ma anche la novità politica dell’elezione a presidente della Repubblica dell’Iran di Mahmud Ahmadinejād, che- proprio nel secondo semestre del 2005- aveva espresso con virulenza il proprio antisemitismo e il proprio negazionismo,ribaditi proprio a fine 2006 con l’indizione di un convegno internazionale sull’argomento.
D’altro canto, l’annunzio di Mastella si collocò, durante il semestre di presidenza tedesca dell’Unione europea, che coincise sia con la discussione di una iniziativa analoga sul piano continentale, poiché, nell’aprile 2007, i ministri della giustizia dell'Unione europea raggiunsero, sulla base di un iter pluriennale, un' accordo di massima per l'introduzione di normative repressive della negazione della Shoa e del razzismo, sia con la pubblicizzazione del caso Faurisson invitato a tenere una lezione nell’Ateneo teramano. L’andamento della questione è chiaramente sinusoidale e pare come un fiume carsico, collegato in modo stretto con temi di politica internazionale (tra cui certamente le posizioni del Presidente iraniano, ma in generale la situazione medio-orientale), tensioni interne e utilizzazione dei media all’interno della società dell’informazione.
Nel mio breve intervento evidenzierò lo stato della legislazione a livello comparato ed il suo differente disporsi soprattutto per quanto riguarda la esperienza storica alla base della suddetta normativa. Esaminerò in seconda istanza; la situazione italiana, con particolare riguardo alla normativa costituzionale (artt. 21,1 e 33,1 Cost.); il suo sviluppo anche in considerazione all’interdipendenza con l’ordinamento internazionale(art.10,1) e le ragioni della timidezza sostanziale e delle remore nell'introduzione di simili regole nel nostro ordinamento .
Concluderò, in fine, con alcune considerazioni sull’opportunità di una normativa stringente in argomento.

2-Le legislazione e la giurisprudenza a livello comparato- 2.1-Uno sguardo generale-La negazione della veridicità della Shoah viene considerata in alcuni ordinamenti penalmente punibile, in altri una simile fattispecie non esiste o è stata espunta dalla giurisprudenza costituzionale sulla base di un contrasto della stessa con la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di ricerca.
Anche a rischio di andare con l’accetta, si può sostenere che gli ordinamenti anglo-americani e nord-europei fanno valere la prevalenza della libertà di manifestazione del pensiero, mentre gli ordinamenti continentali europei (soprattutto quelli che hanno avuto esperienza diretta della persecuzione antisemita) prevedono norme, anche se differenziate, in materia. All’ interno di questi ultimi si evidenzia la differenziazione tra la normativa degli Stati dell’Europa occidentale, che prendono in considerazione esclusivamente il fenomeno nazista, e quelli dell’Europa centro-orientale che ampliano la questione, coinvolgendo anche il totalitarismo stalinista con una equiparazione a fino polemici.
2.2-Gli ordinamenti anglo-americani- Gli ordinamenti anglo – americani( ma anche quelli nordici in una curiosa riedizione delle delimitazioni spaziali di Almond e Verba sul piano della cultura politica) ritengono prevalente, rispetto alla sanzione delle tesi negazioniste e della stessa propaganda di idee facenti riferimento all’ideologia nazista o razzista, il principio della libertà di manifestazione del pensiero. La giurisprudenza delle Corti statunitensi, canadesi ed inglesi è in questo caso concorde. In particolare in Gran Bretagna l’ostentazione di simboli nazisti o la negazione dell’Olocausto non vengono considerati penalmente rilevanti.
Il negazionista britannico David Irving intentò, come è noto, una causa per diffamazione nei confronti della storica statunitense Deborah Lipstadt e la Penguin Books, perdendola in modo cruento. In Canada, benché esista il reato di incitamento all’odio nei confronti di un “gruppo identificabile” (s.281 del Codice penale), questo non è stato utilizzato per i procedimenti nei confronti di Ernst Zundel, mentre è adoperato piuttosto quanto previsto dalla s. 181 dello stesso, che punisce “chiunque diffonde coscientemente un’affermazione, storia o notizie che egli sa essere false e che causa o verosimilmente può causare lesione o danno ad un pubblico interesse”. Tuttavia la Corte suprema, dopo due livelli di giudizio in cui lo Zundel era stato condannato, ha provveduto in una sua sentenza [R. v. Zundel(1992) 2 S.C.R. 731] ad affermare che l’art.181 contrastava con la s.2,b) della Section Two della Canadian Charter of Rights and Freedoms per quanto riguardava la libertà di manifestazione del pensiero. Una simile giurisprudenza risulta adesiva alla costante posizione assunta dalle corti statunitensi in materia di interpretazione del primo emendamento della Cost. del 1787.

2.3-Gli ordinamenti continentali- Sulla base di un aggiornamento dei dati raccolti da Bazyler, si può affermare che Austria, Belgio, Cechia, Francia, Germania, Lichtenstein, Lituania, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia e la Svizzera posseggano normative che,direttamente o indirettamente, sanzionano l’ideologia nazista, inclusa la negazione della Shoah . Le differenze al loro interno sono, tuttavia, sensibili sia per le fattispecie previste sia per il grado di applicazione effettiva delle stesse. Nel 2007 in Spagna il Tribunale costituzionale con la Sentencia 235/2007, del 7 d novembre del 2007 ha,invece, dichiarato incostituzionale l’art.607.2 del Codice penale nella parte relativa alle pubblicazioni che negassero il genocidio. Nonostante questo, il barcellonese Pedro Varela Geis, proprietario della Libreria Europa, specializzata in volumi negazionisti, e presidente del Círculo Español de Amigos de Europa (CEDADE), dal dicembre scorso sta scontando una pena di quindici mesi di prigione per propaganda razzista, in quanto traduttore del volume di David Duke su Jewish Supremacism.
Le normative degli ordinamenti europei in materia di negazionismo possiedono, invero, una distribuzione spaziale precisa che fa riferimento alla rispettiva storia nel secolo XX . In questo campo appare significativa da un lato l’esperienza storica dei singoli ordinamenti, dall’altro il modo con cui la stessa è stata metabolizzata.
E’ evidente che mi riferisco all’esperienza diretta dei regimi totalitari o autoritari a tendenza totalitaria che hanno caratterizzato la prima e la seconda parte del secolo breve. La rispettiva metabolizzazione deriva dalla presa di coscienza differenziata del proprio passato, ma anche dalle tensioni del presente.
2.3.1-Germania,Austria e Svizzera- Jőrg Luther ha analizzato con attenzione il fenomeno del negazionismo dal punto di vista tedesco, collegandolo con lo sviluppo storico – politico di quell’ordinamento dall’immediato dopoguerra ad oggi. Nel diritto penale tedesco si combatte il negazionismo attraverso l’apologia di reato(art.189 c.p.), il vilipendio della memoria dei defunti(art.189 c.p.), l’ingiuria e la diffamazione verso individui, collettività organizzate o categorie di persone non organizzate(artt.185-186 c.p.) e con la cosiddetta Volkverhetzung ovvero l’aizzamento del popolo(art.130 c.p.), le cui origini si situano nell’immediato secondo dopoguerra bavarese, ma che venne introdotto a livello nazionale solo nel 1960, dopo alcuni episodi di antisemitismo.
Nell’art.130, collegato all’art. 131 relativo all’istigazione all’odio razziale, c’è un esplicito riferimento alla aggressione alla altrui dignità umana, cardine della Legge fondamentale del 1949. Attraverso questa normativa la giurisprudenza riconobbe alle persone di origine ebraica il diritto “di vedere affermata la persecuzione subita”. La diffamazione, derivante dal disconoscimento di un fatto storico notorio, venne estesa nel 1985 alla perseguibilità d’ufficio del reato di diffamazione nei confronti di persone defunte.
Dopo il 1989 ed una serie di episodi che coinvolsero la storiografia revisionista l’art.130 del c.p. venne integrato con la previsione di sanzione per chiunque “apprezza, nega o banalizza in un modo idoneo a turbare la pace pubblica,in pubblico o in pubblico o in una riunione,fatti di cui all’art. 220 ,1 c.p.(genocidio ) commessi sotto il regime nazionalsocialista”.
La giurisprudenza ha messo in evidenza la peculiarità della situazione tedesca che rende necessario la particolare severità della normativa, anche se molti si rendono conto della difficoltà di circoscrivere la fattispecie della banalizzazione.
Simili osservazioni possono essere operate anche per quanto riguarda la normativa austriaca, che, originata dalla Verbotengesetz del 1947 volta alla denazificazione dell’ordinamento, venne emendata nel 1992 con la previsione di reato per chiunque “neghi,banalizzi in modo grossolano, approvi o cerchi di scusare il genocidio nazionalsocialista o altri crimini nazionalsocialisti contro l’umanità”.
Per sintetizzare, queste normative sono state adottate da ordinamenti(cui per affinità culturali si aggiunge la Svizzera con la riforma dell’art. 261 del c.p. nel 1994), che non soltanto sono stati all’origine della Shoah, ma che – e mi riferisco in particolare al caso tedesco federale – posseggono una normativa tipica della Wehrhaftedemokratie(democrazia militante), di cui gli artt. 18 e 21 della Legge fondamentale costituiscono punti esemplari.
2.3.2-Francia, Belgio e Lussemburgo- In Francia all’art. 24 della legge sulla stampa del 1972,che prevedeva il reato di “istigazione alla discriminazione, all’odio o alla violenza nei confronti di un gruppo etnico,una nazione,una razza o una religione”e che servì per condannare Jean Marie Le Pen, venne aggiunto un’art. bis che prevede la punibilità del disconoscimento di quanto accertato dal Tribunale di Norimberga. Nel 1995 in Belgio, dove era stata adottata nel 1981 una legge contro l’istigazione all’odio razziale e la xenofobia, venne introdotta una normativa “per reprimere la negazione,minimizzazione,giustificazione o apologia del genocidio commesso dal regime nazionalsocialista tedesco durante la seconda guerra mondiale”, così come è avvenuto successivamente in Lussemburgo (1997).
2.6-Gli altri ordinamenti europei- Negli ordinamenti dell’Europa centro- orientale , come si è osservato in precedenza , la normativa antinegazionista si è legata in maniera significativa con la reazione ai regimi di socialismo reale ed al totalitarismo sovietico. In questa prospettiva si sono mosse le normative lituana(1997), polacca(1998),ceca(2001,ma con inserimento antinegazionista nel 2005), e poi senza accenno ai crimini comunisti romena(2002) e slovena(2004)
3-La normativa italiana e la sua applicazione sinusoidale- Come ha osservato tra gli altri Michela Manetti, sulla evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di propaganda razzista l’Italia ha seguito “percorsi diversi rispetto alle esperienze di altri Paesi”. La disciplina internazionale [ Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), Convenzione per la prevenzione e la punizione dei crimini di Genocidio(1948),la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale(1965), la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici(1966)] si è inserita in un contesto normativo dove il Codice Rocco e la legislazione attuativa della XII disposizione transitoria e finale sembravano recepire naturalmente l’attività repressiva. Tuttavia per almeno trenta anni la giurisprudenza è stata molto tiepida ed incerta nella repressione delle manifestazioni di antisemitismo, mentre dagli anni Ottanta in poi “i giudici hanno inquadrato le finalità antirazziste nello spirito della Costituzione”(Manetti,p.288). In questo quadro l’ordinamento pare dotato di un adeguato parco di difesa giuridica nei confronti del razzismo e della sua esaltazione, soprattutto dopo la L.cost. 21 giugno 1967, n. 1 che ha previsto la non applicazione dell’art. 10,ultimo comma Cost. per i delitti di genocidio e la recezione della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale(v. L. 13 ottobre 1975,n.654).
Di fronte ad un sostanziale lassismo nell'applicazione della normativa per la repressione dei comportamenti di cui alla XII dip. Transitoria finale è stata la Corte costituzionale che negli anni ‘70 ha incominciato ad applicare sia l'art. 30 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo o nell'art. 17 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo .La clausola generale contro l'abuso di un diritto in esse contenuta si connette con una serie di convenzioni successive per la prevenzione e repressione dei crimini di genocidio (1948), contro l'odio razziale etnico e religioso previsto dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966).
4-Conclusioni. Termino. La questione che viene, ancora una volta, affrontata in questa sede è quella dei limiti alla istituzionalizzazione della memoria e dei pericoli che ne derivano. L’antinegazionismo giuridico “pretende di armare la repressione penale ed una azione politica ed amministrativa efficace di prevenzione”, ponendo il problema se la memoria possa essere imposta con gli strumenti penali o debba essere partecipata con uno sforzo di espansione faticoso e costante.
Da quanto esposto risulta evidente che gli elementi che devono essere valutati sono plurimi e posti su più piani, rendendo sconsigliabili le scorciatoie per gli effetti incontrollabili delle stesse. Personalmente ho dubbi sia sulla sostenibilità costituzionale di simili normative, sia sulla loro opportunità politica. Alla luce della normativa costituzionale di cui all'art. 21 relativa alla libertà di manifestazione del pensiero ed al dettato del primo comma dell’art.33 Cost., i costi di una simile operazione sarebbero sicuramente maggiori dei vantaggi, rispetto all’utilizzazione degli strumenti già a disposizione. Vi sarebbe, in ogni caso, il fortissimo rischio di dare visibilità a personaggi che non l’avrebbero in altro modo. Molto meglio -dunque- essere vigili, mai acquiescenti e sempre pronti nell’azione di formazione

e comunicazione di una memoria che- per non essere imbalsamata- deve trasferirsi in un dialogo esemplare sulla convivenza reciproca.
Questo incontro su La Shoah e la sua negazione è significativamente intitolato il futuro della memoria. In questo caso la memoria, tra le altre cose, non deve rappresentare solo un ricordo identitario ed un monito sui baratri cui può pervenire l’abiezione umana, ma deve costituire anche un contributo di verità per la convivenza comune e per lo sviluppo di quello che Hans Jonas chiamava il principio della responsabilità.


      Questa voce è stata pubblicata in: Parlalex, SCRITTI RECENTI il 08/08/2020 Contrassegna il Permalink.