FULCO LANCHESTER
1 – Premessa – 2 – I sistemi elettorali e la loro duplice natura nell’ambito del quadro costituzionale – 3 – La situazione italiana – 4 – La difficoltà del cambiamento – 5 – La strada stretta dell’innovazione e i pericoli del referendum
1 – Premessa – Le relazioni e la documentazione fornita per il Seminario Astrid mi hanno fatto sentire più giovane. La sensazione prevalente nello scorrere i materiali forniti sono stati quella di un déjà vu , che ricorda i dibattiti di circa trenta anni fa e quelli che li hanno seguiti . Le immagini suggerite da Giuliano Amato mi hanno – ancor più-rafforzato nei ricordi da anni Settanta, nell’ambito di un amarcord generazionale e di una certa confusione . Déjà vu, confusione e riferimento a vecchi modelli derivano dalla situazione di stallo dell’intera questione istituzionale in Italia, dopo anni di discussioni, con spalle avvenimenti di estrema rilevanza e soluzioni insufficienti, mentre si prospetta il ripetersi della strategia referendaria. Una simile realtà deriva anche dalla dimensione schiacciata o sul tema meramente teorico o su quello dell’attualità cangiante, con il rischio di perdere la profondità e la complessità del problema. Sono, dunque, d’accordo con l’introduzione di Enzo Cheli, che nel dibattito ha ritenuto indispensabile introdurre la prospettiva storica. Si tratta di un’eredità metodologica, che ha radici profonde in un indirizzo del diritto costituzionale antiformalista e che, in passato, stata anche utilizzata per fare il punto sullo stato di attuazione del testo costituzionale e le sue impasse. Sono convinto, infatti, e senza fare riferimento a “Ciò che la storia potrebbe insegnare” di Gaetano Mosca, che il dibattito – privato della dimensione diacronica – diventi non soltanto piatto, ma incomprensibile ed inutile. Solo prendendo in debito conto una simile variabile risulta possibile capire cosa sia successo e perché, quali siano le forze a disposizione e le opportunità di intervento. Per rispondere alle domande dell’oggi bisogna, quindi, affrontare il percorso attraverso cui si giunti all’attuale situazione, tenendo conto in maniera opportuna della variabile tecnica e delle sue interconnessioni con quella politica e costituzionale.
2 – I sistemi elettorali e la loro duplice natura nell’ambito del quadro costituzionale – In questa prospettiva, dunque, indispensabile ricordare a tutti noi che cosa siano i sistemi elettorali, come nascano, quando mutino e perché. In estrema sintesi, i sistemi elettorali in senso stretto sono parte della legislazione elettorale generale; trasformano la volontà dei singoli aventi diritto al voto in seggi autoritativi; rappresentano strumenti tecnici ad alta valenza politica, strettamente legati con la forma di Stato e con il regime; sono capaci di influenzare la dinamica della forma di governo. In primo luogo, i sistemi elettorali si connettono alla forma di Stato, perché incidono sul rapporto individuo – autorità (ovvero su quello tra Stato comunità – Stato apparato) e sono condizionati da parametri specifici e indefettibili di libertà ed eguaglianza. All’interno di un simile contesto ci si può muovere in maniera opportuna al fine di raggiungere obiettivi specifici di stabilità ed efficienza . In una visione descrittiva i sistemi elettorali possono dunque favorire, in determinate circostanze, che latto elettivo non si limiti ad essere la preposizione di individui a cariche autoritative, ma esplichi la funzione complessa di scelta di un candidato, di un partito, di un programma e di un leader. La possibilità che ci possa essere effettuato in maniera prescrittiva non automatica ,ma risulta vincolata dalla realtà effettiva della società politica e della retroazione con gli strumenti tecnici utilizzati. In secondo luogo, i sistemi elettorali in senso stretto sono fortemente collegati con il regime politico e la loro adozione collegata alla nascita degli stessi. Essi si connettono, dunque, in modo intenso con gli attori politicamente rilevanti all’interno dell’ordinamento e la loro modifica incisiva individua la crisi dell’assetto portante delle forze che l’hanno fondato. Qualunque sia la loro copertura nell’ambito della gerarchia delle fonti, la loro modifica è dunque difficile e polemica. Il mutamento della regola di trasformazione dei voti in seggi può rappresentare in alcuni casi un mero adeguamento delle forme al fatto, oppure significare l’inclusione o l’esclusione di soggetti dalla rappresentanza. Dall’esperienza comparatistica risulta che l’adozione di uno strumento tecnico volto all’allargamento – inclusione è meno polemica di un caratterizzato dal restringimento-esclusione. D’altro canto negli ordinamenti democratici stabilizzati il mutamento della ragione di trasformazione dei voti in seggi in senso selettivo dopo l’estensione del suffragio stato estremamente raro ed ha corrisposto alla crisi del regime politico, ossia delle norme, dei valori ,delle regole del gioco e delle strutture di autorità in cui agiscono i soggetti politicamente rilevanti. In Francia (1958) e in Italia (1993) con il passaggio da sistemi proiettivi basati su formula proporzionalistica e sistemi maggioritari o tendenzialmente maggioritari ha comportato una crisi di regime politico ; nell’ultimo quindicennio, in Giappone e Nuova Zelanda , il passaggio verso l’allargamento -inclusione stato invece più suole . Da questi pochi accenni è evidente come sia, dunque, impossibile un’analisi astratta del tema, che invece richiede un’attenta analisi dei rapporti di forza e degli interessi presenti all’interno dei parametri forniti dalla forma di Stato e di regime. La grande assunzione degli studi e della prassi in materia elettorale durante gli anni Settanta stata che la tradizionale divisione tra sistemi basati su formula proporzionale e quelli fondati su formula maggioritaria poteva essere superata sulla base del parametro della selettività derivante dalla differente combinazione degli elementi costitutivi del meccanismo . In più si evidenziato che gli strumenti retroagiscono in maniera differente con l’ambiente di riferimento, fornendo risultati differenti in contesti diversi . Sulla base dell’esperienza del ventennio precedente (e soprattutto del dibattito tedesco e francese), negli anni Settanta furono costruiti in Spagna e in Portogallo meccanismi elettorali basati su formule proporzionalistiche ma su piccoli collegi, capaci di apportare effetti selettivi sulla rappresentanza e, nello stesso tempo, di assicurare legittimazione del sistema stesso attraverso l’applicazione della formula. Negli anni Novanta la tecnica elettorale, collegata a opportune scelte istituzionali della forma di governo, ha portato a un’intensa azione in questo campo negli ordinamenti dell’Europa centrale e orientale, mentre anche alcune democrazie stabilizzate – come prima si osservava-, badavano a modificare il sistema elettorale.
3 – La situazione italiana – Se questi sono gli elementi di fondo , necessario analizzare la situazione italiana , mettendo in evidenza che il meccanismo speculare adottato dal 1946 al 1993 si basava sulla piena accettazione -soprattutto dopo il fallimento dell’Ipotesi del premio di maggioranza del 1953 – della convenzione proporzionalistica. Quest’ultima da un lato- certificava la natura disomogenea di un ordinamento caratterizzato da forze antisistema di dimensioni rilevanti, dall’altro identificava l’unica strada per il mantenimento di un dialogo tra i partner aperto verso la piena integrazione degli stessi. La degenerazione sistemica – anche dal punto di vista del procedimento elettorale- derivante dal blocco dell’integrazione prospettato nella strategia di applicazione della Costituzione – ha condotto negli anni Novanta alla citata crisi di regime ,facilitata dallo strumento referendario . Il vecchio ceto politico dei partiti di massa che avevano cooperato alla fondazione della Repubblica (indebolito dalla crisi del deficit pubblico, dai mutati rapporti internazionali e dalla nascita di formazioni autonomiste) fu spazzato da Tangentopoli e dai referendum, ma cooperò in modo caratteristico alla redazione del nuovo meccanismo elettorale. Le leggi 276 e 277 dell’Agosto 1993, a prevalenza maggioritaria, s’inserirono in maniera contraddittoria nell’architettura costituzionale originaria accentuando il rischio della non coerenza tra le maggioranze delle due Camere, ma soprattutto s’immisero in un contesto in cui venne falsificata la premessa fondamentale della riforma istituzionale ed elettorale :l’omogeneizzazione della società e del ceto politico . In realtà, se i processi di deideologicizzazione degli anni Sessanta e Settanta, il crollo del socialismo reale e la crisi dei vecchi partiti di massa hanno evidenziato un’omogeneizzazione della società politica, hanno anche prodotto ceto politico quasi più centrifugo ed alternativo di quello precedente. Nel 1994 e nel 1996 il nuovo sistema elettorale ha generato maggioranze bipolari incoerenti nelle due Camere, ma soprattutto, anche nel 2001, frammentate e centrifughe al loro interno. Nel 2005, infine, il centrodestra ha certificato il fallimento del maggioritario all’italiana, con una riforma che introduce il premio di maggioranza per ciascuna delle Camere, accompagnata dal sostanziale abbandono dell’elezione democratica e dalla sua sostituzione dalla designazione. Il sistema in questione, funzionale a un ordinamento con partiti personali o a cartello quadro, in sostanza evidenzia due difetti: uno democratico, l’altro istituzionale. Sotto il primo profilo l’elettore non sceglie più il rappresentante che è imposto dalle segreterie nazionali o regionali di partito; sotto quello istituzionale il meccanismo porta all’impasse perché favorisce la produzione di maggioranze differenti tra le due camere.
4 – La difficoltà del cambiamento -Su questa base appare evidente l’esigenza cambiare ed anche chiaro che farlo è difficile per l’eterogeneità degli interessi dei partner e la loro numerosa. La questione resa più urgente e grave dal pericolo del referendum. In effetti, il sistema potrebbe sopravvivere a stento (come ha fatto la III Repubblica francese), nonostante l’emergenza democratica, se non fosse pendente la proposta di referendum abrogativo, considerato da alcuni come strumento demiurgico per rompere il circuito vizioso dell’innovazione. I termini della questione sono dunque questi. Da un lato pende la spada di Damocle del referendum, dall’altro gli interessi dei partner paiono impedire qualsiasi innovazione razionale, che coinvolga il ceto politico nazionale. Nel 1993 la minaccia del referendum fece agire in maniera positiva il Parlamento solo nei confronti dei livelli inferiori a quello parlamentare. La l. n. 81 /1993, che ancora oggi è evocata come un esempio virtuoso, fu approvata per evitare il voto popolare, mentre per il Senato scatta la tagliola referendaria. Non un caso, dunque, che quell’esempio -ripreso per il livello regionale nel 1995- sia sostanzialmente proposto dalle bozze del Ministro Chiti e della CD, anche se il complesso dei meccanismi non è ancora conosciuto perché sugli stessi si possa esprimere un completo giudizio. Con queste avvertenze si può affermare che simili meccanismi possono essere considerati adeguati a risolvere i problemi di governabilità di un ordinamento regionale, ma risultano insufficienti per un complesso istituzionale come quello disegnato dalla Costituzione vigente e per le forze che agiscono al suo interno. Unico dato sicuro, per adesso, che ci si muove molto per inventare nuovi schemi e sistemi, ma non si vede ancora chiaro n nelle prospettive proposte, n nelle alleanze. I risultati di quindici anni circa di convulsioni sono di un bipolarismo imperfetto polarizzato, che si scontra con il vincolo costituzionale del bicameralismo e con la natura eterogenea dei poli e dei partiti presenti all’interno dei poli. Che cosa abbiano a che fare Mastella e Follini con Giordano o Diliberto e quali possano essere i rapporti tra la Mussolini e Casini è un enigma che solo “ammucchiate” poco commendevoli possono giustificare. In conformità a una simile impasse è ovvio che, in maniera esterna o trasversale al sistema dei partiti, incomba il referendum “Gazzetta-Segni”, che dovrebbe assicurare una semplificazione bipartitica e/o bipolare al sistema, ma che in realtà minaccia solo di far saltare i tentativi di riallineamento dei partiti e, soprattutto, prospetta problemi di sostenibilità in un ordinamento in cui i partner non si fidano ancora uno dell’altro.
5 – La strada stretta dell’innovazione e i pericoli del referendum -quale, la soluzione all’enigma istituzionale italiano? Prima di tutto non credere che intervento istituzionale risolva tutto; in secondo luogo utilizzarlo in maniera che lo stesso sia compatibile con gli obiettivi di ristrutturazione e non contrasti con i vincoli della forma di Stato e la Costituzione. Due sono, quindi, gli obiettivi che mi paiono prioritari. Il primo concerne la forma di Stato, il secondo, la forma di governo. L’urgenza democratica a favore di un cambiamento dell’attuale sistema elettorale rappresentata dalla già ricordata sostituzione che è stata operata nel 2005 del principio dell’elezione con quello della designazione da parte dei segretari nazionali delle varie forze politiche alla Camera e regionali al Senato. Aggiungo che vi sono aree come quelle delle circoscrizioni estere dove gli standard di democraticità nella stessa espressione del suffragio sono vulnerati in maniera drammatica. Le procedure generali per l’effettuazione dell’atto elettivo si sono deteriorate in maniera preoccupante, tanto da andare di sotto la stessa definizione di democrazia a basso rendimento, che dodici anni f attribuii a quest’ordinamento. L’urgenza istituzionale rappresentata invece dal presentarsi ripetuto di difformità di maggioranza tra le due Camere ,mentre appare sempre presente la necessità di una semplificazione – riaggregazione del panorama partitico . Le suddette questioni non possono essere risolte senza un contributo fattivo dei due poli e in particolare delle forze politiche centrali. Si contrappongono, allo stato dei fatti, due posizioni: quella per il rafforzamento meccanico del bipolarismo e quella per un suo addolcimento sostanziale, attraverso la centripetazione delle ali centrali dello stesso. In una situazione siffatta gli strumenti istituzionali non possono che divergere, cos come le posizioni delle liste. Chi richiede il premio di maggioranza tenta di blindare i poli sul piano elettorale, ma poi non assicura che gli stessi siano coesi ed efficienti sul piano parlamentare. Quando Amato tenta, invece, di ricostruire un pluripolarismo centripeto lo fa proponendo meccanismi elettorali basati sulla soglia di rappresentanza o utilizzazione di collegi elettorali opportunamente ridotti. Egli – mi sembra – respinga gli strumenti ortopedici, proponendo di ripartire dal sistema uninominale e non richiede certo l’adozione del sistema maggioritario, ma di qualcosa che assomigli al meccanismo tedesco. Egli ha in mente uno sviluppo istituzionale preciso e vuole rispondere a un’emergenza democratica. Ma anche vero che non detto che gli interessi delle dirigenze di partito e la liquidita dell’elettorato gli permettano di raggiungere lo scopo. La confusione delle posizioni e delle proposte impongono di aspettare formulazioni più stabilizzate nel corso del prossimo dibattito parlamentare . Chiudo ribadendo la mia contrarietà per il referendum elettorale proposto. Lo considero la ripetizione di errori già fatti, incapaci di raggiungere risultati positivi , inadatto a strutturare un sistema partitico oramai liquido, sostanzialmente incostituzionale, perché vulneratore dei “principi supremi” dell’ordinamento . Le tensioni contro il quesito evidenziano che il “pistolone” carico e pericoloso e capace di far ancora più danni di quanto non abbia combinato il referendum di quindici anni fa. I promotori hanno dalla loro parte il mito della spallata e della palingenesi sistemica. La realtà invece – a mio avviso – molto più prosaica e preoccupante. Chi analizzi con attenzione le risultanze del quesito referendario proposto non può ,infatti, che rabbrividire. Gli effetti del referendum sul comportamento dei partner e dell’elettorato non portano al bipolarismo, al bipartitismo, ma all’alternativa tra frullatore senza controllo e maggioranza monopartitica senza rete . Cercare di reagire contro un “mito” non facile sia per la disattenzione generale al profilo strettamente giuridico, sia per la mancanza di linea e d’intesa propositiva fra gli oppositori. La via di soluzione per evitare una vera e propria emergenza democratica si svolge, -infatti-, su un binario , che da un lato propone l’innovazione efficiente e dall’altro evidenzia la palese inammissibilità del quesito proposto da “Guzzetta- Segni”. Invito a questo proposito a non dare per scontata l’ammissibilità del quesito , ma ad esaminarlo con attenzione, evidenziando le conseguenze di una sua recezione per la sopravvivenza dei “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale . Per troppo tempo il tema dei limiti alla manipolatività del referendum stata rinviata sulla base di una interpretazione formalistica che oramai ha superato ogni limite di sopportabilità. E doveroso non accodarsi ed esprimere con forza la propria opposizione ad un meccanismo che nei risultati farebbe apparire la “legge Acerbo” uno strumento sostanzialmente speculare.
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