LA LEGISLAZIONE ELETTORALE ITALIANA E IL VOTO AI NON CITTADINI[1]
di
Fulco Lanchester[2]
Sommario :1-Premessa. 2-Alle radici della questione 3-Il δεμοσ tra popolazione residente , popolo e cittadini politicamente attivi (corpo elettorale) –4-Il quadro costituzionale -5- Дεμοσ ed evoluzione della legge sulla cittadinanza in Italia-6-Cittadinanza e voto agli immigrati residenti in Italia.7-Conclusioni
1-Premessa – Quasi sessanta anni fa Thomas Humphrey Marshall nel suo volume Citizenship and social class [3] aveva evidenziato l’importanza per la persona umana dei diritti di cittadinanza, che in differenti contesti storico-sociali si erano sostanziati nei diritti civili, politici e sociali . Il tempo ha indotto ad articolare quell’analisi in modo meno meccanico ,secondo sequenze diversificate , e ad approfondirla sulla base di nuove esigenze e nuove richieste di inclusione . Mentre sono comparsi sulla scena i cosiddetti “nuovi diritti” , i fenomeni di internazionalizzazione e di globalizzazione hanno proposto – di fronte all’incremento degli spostamenti di popolazione- la richiesta di assicurare anche ai migranti quelli tradizionali assicurati ai componenti della comunità politica e tra questi la possibilità di partecipazione alle decisioni collettive di tipo elettivo o deliberativo effettuate nei paesi ospitanti .
In queste pagine , dopo essermi brevemente soffermato sul tema generale della cittadinanza e della concessione dei diritti di partecipazione a livello politico , affronterò il tema dell’ estensione del diritto di voto ai non cittadini residenti in Italia , prendendo in considerazione ,da un lato, il quadro costituzionale e legislativo ;dall’altro le prospettive di soluzione del problema coordinate con quelle nell’’Unione europea ed in altri ordinamenti .
Nel corso dell’analisi sosterrò :
· che dal punto di vista teorico l’argomento ha alla sua base differenti concezioni del δεμοσ , che hanno trovato radicamento nella realtà dei singoli contesti storico – sociali, al di là delle tradizioni costituzionali delle specifiche aree;
· che il dibattito italiano è stato fortemente influenzato da una interpretazione peculiare della natura della Costituzione , su cui influisce molto l’esperienza di flessibilità statutaria rispetto alla rigidità della Costituzione repubblicana;
· che la specifica dinamica normativa italiana è, inoltre, frutto di una reazione strabica ai fenomeni di immigrazione derivanti dalla cosiddetta globalizzazione, capace di allargare il δεμοσ politico secondo prospettive tradizionali dello jus sanguinis ed erigere ,invece, barriere alla sua integrazione dall’esterno . In sostanza ,mentre l’ordinamento italiano mantiene una prospettiva arcaica per quanto riguarda il rapporto con la propria emigrazione , destra e sinistra – nell’ambito della destrutturazione delle tradizionali posizioni ideologiche – hanno provveduto negli ultimi anni ad erigere-in questo settore – barriere formali sempre maggiori verso l’integrazione dei soggetti immigrati, accompagnandole a sanatorie frutto dell’impotenza .
L’impossibilità politica di utilizzare in questo campo lo strumento della revisione costituzionale e la necessità di mantenere un’omogeneità sostanziale del trattamento dei cittadini stranieri non comunitari su tutto il territorio nazionale hanno – dunque – comportato un sostanziale immobilismo , con il ricorso a strumentazioni succedanee sul piano consultivo o in ambito circoscrizionale.
2-Alle radici della questione –“Storicamente il termine 'cittadinanza' tende ad esprimere lo status caratteristico di coloro che costituiscono il nucleo individuatore di ogni comunità politica”[4].Quest’affermazione riassume in maniera sintetica un dibattito che risale alle radici del pensiero politico-giuridico occidentale. Non ho intenzione di addentrarmi in maniera sistematica nell’argomento .Faccio ,in questa sede , solo riferimento a tre temi fondamentali per lo stesso diritto positivo (individuo e persona; appartenenza ; autodeterminazione) attraverso la testimonianza di alcuni classici del pensiero politico, capaci di illuminare alcune delle questioni sul tappeto .
a) In primo luogo l’individuo e la persona . Nel ‘‘De constantia jurisprudentis’’ Giambattista Vico[5] come il concetto di persona sia nato in ambito giuridico, mentre quello di uomo (come essere umano) scaturisca dalla natura stessa. L’essere umano è infatti il tipico soggetto dello stato di natura, mentre la persona è un essere umano provvisto di status, ossia un soggetto di imputazione di rapporti giuridici che rilevano in uno specifico ordinamento costituito.
b) In secondo luogo, l’appartenenza al gruppo con il riconoscimento dello status di cittadinanza in senso proprio . All'inizio del libro III de La politica Aristotele afferma la necessità di determinare innanzitutto che cosa sia la πόλισ , ma che questa è composta da cittadini ed è per questo che bisogna chiedersi ancor prima “chi sia cittadino” [6].
c)Infine ,ed in maniera più specifica per gli ordinamenti liberal-democratici , l’importanza dell’autodeterminazione del singolo e del gruppo Nel “L'ésprit de lois” Montesquieu afferma che , poiché nella “ democrazia il popolo è per certi aspetti il monarca e per altri il suddito e poiché il popolo non può essere monarca che attraverso i suoi suffragi che sono la sua volontà ,la volontà del sovrano è il sovrano stesso” .Le leggi che stabiliscono il diritto di suffragio sono dunque fondamentali in questo tipo di governo .In effetti ,[continua Montesquieu] in esso è tanto importante di regolare come ,attraverso chi ,su chi ,su cosa i suffragi devono essere espressi come in una monarchia di sapere chi è il monarca e in che maniera deve governare [7] .
Questa breve rassegna di posizioni chiarisce come il problema dell'inclusione e della partecipazione nella comunità politica costituisca elemento fondamentale per tutti gli ordinamenti ed in particolare per quelli democratici basati sull’espressione della volontà del singolo all’interno del gruppo .
3-Il δεμοσ tra popolazione residente , popolo e cittadini politicamente attivi (corpo elettorale) .
Rimane sullo sfondo la fondamentale questione di quali siano le basi attraverso cui si viene individuati come appartenenti del gruppo e con quali poteri e quali conseguenze ne scaturiscano . La regolazione della appartenenza all’ordinamento e l’ effettiva partecipazione alla gestione del politico derivano da differenti concezioni del rapporto individuo società e le stesse ,anche in epoca contemporanea, sono il prodotto della stratificazione – sedimentazione di differenti forme di Stato .
Se si parte dal tema del diritto alla autodeterminazione di ciascun individuo (ed in particolare dei diritti di partecipazione politica , dove il politico è un livello che si connette alla distribuzione autoritativa dei valori), chi formi la comunità politica è riconosciuto come partecipe dell’ identità di un gruppo , mentre gli “altri” sono persone umane cui possono essere normativamente attribuiti tutti i diritti ed i doveri dei componenti dell’ordinamento salvo quelli connessi alla determinazione del politico .
I diritti della persona e i diritti del cittadino risultano “marcati” da una simile differenziazione. La giuspubblicistica tradizionale ha sempre ritenuto parte essenziale del δεμοσ i cittadini politicamente attivi , ovvero il corpo elettorale considerato come la parte attiva dell’elemento personale dello Stato , a cui per diritto o concessione l’ordinamento attribuisce l’incarico di gestire in modo diretto o indiretto la cosa pubblica [8]. Una simile concezione del δεμοσ ha alle sue spalle una parte della tradizione classica, ma copre altre alternative che sempre in quella tradizione sono recuperabili per contrasto. Non soltanto esiste un δεμοσ sociale (popolazione residente in un determinato territorio) che si contrappone a quello politico (popolo costituito da cittadini) ,ma nello stesso δεμοσ politico- come si osservava prima- possono essere rilevati membri considerati politicamente attivi sulla base di specifici parametri e componenti “passivi” ,rappresentati dai primi (Corpo elettorale) [9] .
La comunità politica è ,in sostanza, una associazione di persone , che ,teoricamente in modo volontario, si riuniscono e stabiliscono i parametri di unità , rinnovandoli con il consenso medio . In particolare , l’autodeterminazione dei componenti del δεμοσ effettivo (popolo meno incapaci per età o altri motivi,che sono rappresentati dal δεμοσ effettivo) si pone alla base della democrazia liberale contemporanea . L’inclusione è quindi il principio che unifica le democrazie contemporanee attraverso il duplice parametro della cittadinanza e l’attribuzione della activae civitatis.
Il riconoscimento di membro del δεμοσ politico è , in ogni caso, operato attraverso la distinzione dall’altro ( lo straniero ovvero l’exstraneus latino o il βάρβαρος greco) ,che oggi -a differenza del passato- è riconosciuto persona (in alcuni casi limite gli è – purtroppo – negato quando non sia straniero regolare ) e cui sono attribuiti i diritti del cittadino in senso lato , ma non quelli di activae civitatis. In particolare, il voto politico ,ovvero l’espressione di volontà capace di incidere sul piano dell’allocazione autoritativa dei valori , risulta generalmente attribuita sulla base del requisito della cittadinanza , se si esclude le situazioni giustificate da una comune derivazione nazionale (mi riferisco ovviamente in maniera generale al caso britannico e del Commonwealth) .
Gli esempi di attribuzione del diritto di voto sul parametro integrativo del δεμοσ sociale (popolazione) sono ,invece, quelli (anche se per ispirazione differenti) tipicamente rappresentati dalla costituzione giacobina del 1793 [10] e ,soprattutto, da quella russa del 1918 [11] , che si basavano -soprattutto in questo ultimo caso- sul censo del lavoro . La giustificazione fondamentale di una simile torsione del criterio base deriva dal fatto che il soggetto cui si attribuisce il diritto , pur non essendo cittadino , produce (lavora) in un determinato ordinamento e quindi possiede il diritto di essere coinvolto nelle decisioni dello stesso . E’ questa una giustificazione che si contrappone drasticamente a quella medievale della fedeltà (allegiance) al sovrano o dello jus sanguinis , che- invece – tende a mantenere il legame con i discendenti dei cittadini allontanatisi dal territorio dell’ordinamento, o-infine- alla giustificazione nazionale che ritroveremo nella peculiare previsione degli italiani non regnicoli .
Ad una simile dicotomia verticale tra cittadini e non cittadini nelle democrazie pluraliste si accompagna ora in misura sempre maggiore una dicotomia orizzontale tra livello politico e livello amministrativo , dove ai non cittadini viene riconosciuto in maniera sempre maggiore l’autodeterminazione nei settori che non siano strettamente coinvolti con la politicità . In sostanza il riconoscimento dei diritti delle persone cerca di integrarsi il più possibile con i diritti del cittadino fino ai limiti del politico,ma -a questo punto – si scontra con i fenomeni di devoluzione tipici della trasformazione dello Stato nazionale che politicizzano anche l’amministrativo .
4-Il quadro costituzionale italiano . In maniera coerente con le proprie radici politico-filosofiche la Costituzione italiana vigente tratta i cosiddetti diritti politici, ovvero i diritti di partecipazione alla vita politica ed alla formazione delle decisioni pubbliche , sulla duplice base della dignità umana e della sovranità popolare , ma li lega in modo esplicito alla cittadinanza ovvero all’appartenenza al δεμοσ politico, mentre l’art. 10 Cost.,dopo aver ricordato che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”,evidenzia una serie di garanzie per i non cittadini che nel paese di origine siano perseguitati per ragioni politiche .
I rapporti politici , descritti nella parte I ,titolo IV della Costituzione , rilevano le relazioni che intercorrono tra le azioni degli appartenenti ad un determinato ordinamento (cittadini) in relazione alla distribuzione autoritativa di valori . I diritti di partecipazione politica (contrapposti tradizionalmente ai diritti civili ) identificano quella serie di relazioni relative alla partecipazione alla vita collettiva pubblica , da cui scaturiscono il diritto all’elettorato attivo e passivo ,il diritto di associarsi in partiti ,il diritto di petizione,il diritto all’occupazione di uffici e cariche pubbliche. Ad essi corrispondono specularmente una serie di doveri come la difesa della Patria ,il concorso alle spese pubbliche e la fedeltà alla Repubblica.
La Costituzione italiana individua ,dunque, vari tipi di rapporti con una scansione dall’individuale al collettivo , dal privato al pubblico estremamente significativa . Com’è noto , si parte dai rapporti civili , per proseguire con quelli etico-sociali , economici ed terminare con quelli politici. I dati normativi evidenziano , sia in ambito internazionale che interno , l’indiscutibilità della presenza dei diritti di partecipazione come elemento fondante degli ordinamenti democratici . [12] E tuttavia il dato normativo italiano sembra non permettere di estendere i diritti di partecipazione politica ai non cittadini , riservandoli in maniera specifica a chi abbia questo titolo di omogeneità riconosciuta [13] .
In campo politico l’attitudine ad essere titolare di rapporti giuridici (capacità giuridica ) si sovrappone tendenzialmente all’ idoneità ad esercitare direttamente i diritti ed doveri inerenti ai rapporti stessi(capacità di agire) e supera il senso liberal – borghese dei cosiddetti diritti di funzione . L’appartenenza all’ordinamento certifica necessariamente il diritto alla titolarietà e all’esercizio di attribuzioni derivanti dalla partecipazione all’ordinamento stesso. In questa prospettiva la partecipazione diretta o indiretta alle decisioni elettive o deliberative attraverso il procedimento di votazione costituisce l’elemento essenziale dei moderni diritti politici,mentre le tecniche applicative possono essere condizionate da differenti concezioni della democrazia [14].
Capacità di partecipazione attiva e passiva al procedimento e tutela della veridicità procedimentale delle votazioni costituiscono l’area di analisi , mentre questione controversa è proprio quella relativa a quali siano gli standard di applicazione dei principi affermati e delle regole previste. Un simile argomento si connette con quello del controllo dell’effettività delle norme vigenti , che – per la categoria in questione soprattutto- diviene costitutiva sia della forma di Stato che del regime.
Lo schema concettuale utile alla analisi delle modificazioni che nel tempo sono avvenute in questo campo unisce il diritto di partecipazione alla propria determinazione e a quella del collegio con l’esistenza di procedure che diano la possibilità di perseguire questi fini. Le procedure in questione vengono a sostanziarsi nelle votazioni pubblicistiche di tipo elettivo e deliberativo ,che permettono la presa di decisioni pubbliche . Le votazioni identificano l’espressione della volontà elettiva e deliberativa del singolo o dei gruppi nell’ambito di un procedimento minimamente strutturato ,sulla base dell’adozione del principio maggioritario .[15]
Nell’ambito del procedimento di votazione possono essere identificati vari piani ,capaci di fare riferimento ad ambiti concettuali differenti. Il tema della capacità attiva e passiva di partecipare ( come avente diritto al voto ,come candidato a cariche pubbliche o come promotore di quesiti referendari ) si sposa strettamente con il piano della forma di Stato e di regime, così come quello della regolarità procedurale della contesa .L’argomento del sistema elettorale in senso stretto attiene , invece , al piano della forma di governo ed alla concezione della stessa all’interno della forma di Stato e di regime.
5- Дεμοσ ed evoluzione della normativa sulla cittadinanza – La normativa sulla cittadinanza costituisce, dunque , il cuore del riconoscimento della comunità politica ed è evidente che nell’ordinamento italiano i parametri sono comparabili con quelli di altri ordinamenti europei. Tuttavia l’esperienza risorgimentale e le specifiche caratteristiche di paese di emigrazione hanno influito sulla normativa in materia , evidenziando – come osservato in precedenza- una tendenza all’allargamento dell’ombrello della stessa sulla base del principio dello jus sanguinis nei confronti dei discendenti dei cittadini emigrati ed una relativa prudenza per quanto riguarda gli stranieri residenti, che -tuttavia – non avevano mai costituito un vero problema sino agli ultimi due decenni .
L’esame comparatistico evidenzia come gli alti principi debbano piegarsi alle esigenze reali e -se non si vuole risalire all’esempio romano – basterebbe considerare la vicenda della cittadinanza britannica (penso alle leggi del 1914 ,del 1948 e del 1981) e quelle degli ordinamenti del Commonwealth per averne una conferma . La cittadinanza è infatti ,al pari degli altri, un istituto storicamente situato. Mentre già nel 1914 gli ordinamenti del Commonwealth avevano posto regole restrittive per quanto riguarda la normativa sulla cittadinanza e l’immigrazione ,la Gran Bretagna ha affrontato la decolonizzazione e i problemi della globalizzazione con una serie sempre più restrittiva di leggi,volte a tutelare il δεμοσ sociale e quello politico .
La legislazione elettorale del periodo statutario prevedeva,come le altre coeve , che il diritto elettorale fosse attribuito ai cittadini sulla base di precisi parametri censitari o capacitari . Tuttavia il principio della cittadinanza veniva edulcorato con quello della nazionalità . Ai sensi dell’art. 1 del R. editto sulla legge elettorale n.680 del 1848 “(a)d essere elettore [era infatti ] richiesto il concorso delle seguenti condizioni:1.° Di godere per nascita, o per origine dei diritti civili e politici nei Regii Stati. Quelli che né per l’uno, né per l’altro degli accennati titoli appartengono ai Regii Stati, se tuttavia Italiani, parteciperanno anch’essi alla qualità di elettori, sol che adempiano quanto si ricerca dall’art. 26 del Codice civile per acquistare il suo godimento dei diritti civili.//I non Italiani potranno solo entrare nel novero degli elettori, ottenendo la naturalità per legge.” In realtà, il riferimento al Codice civile per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna evidenziava anche l’antinomia tra un Codice civile nato nell’ambito di una monarchia di tipo “consultivo” ed un ordinamento caratterizzato dalla presenza di una camera elettiva,che rapidamente transitò dalla forma monarchico costituzionale pura a quella parlamentare . L’interpretazione dell’art. 26 ,sulla base di quanto disposto dall’art.24 dello Statuto sugli italiani non regnicoli faceva risaltare un rapporto tra cittadinanza come appartenenza allo Stato ovvero al Regno di Sardegna e nazionalità italiana tipico del periodo risorgimentale [16].
La categoria dell’ italiano non regnicolo mantenne la sua importanza nel tempo , dando la possibilità di concedere per decreto reale la cittadinanza comprendente il pieno godimento dei diritti politici agli italiani che non appartenessero al regno (v. art. 17 legge 13 giugno 1912, n. 555 ,preceduto da art.1 legge 17 maggio 1906, n. 2175),che prevedeva -coerentemente con la natura censitaria del sistema – la possibilità di cittadinanza senza godimento dei diritti politici. Una simile possibilità scompare con la legge del 1912 , coeva in sostanza della normativa che introduceva il suffragio universale maschile( legge del 30 giugno 1912, n. 666). La nuova normativa sulla cittadinanza del 1992 (l. 5 febbraio 1992,n.91 )raddoppia i tempi per l’acquisizione della cittadinanza da parte dello straniero che risieda “legalmente” (dai cinque anni dell’art. 4 della legge del 1912 ai dieci della legge del 1992) , mentre estende in maniera singolare il legame con i discendenti dei cittadini italiani emigrati all’estero . E’ questo il sintomo più evidente del citato strabismo cui si accennava in precedenza , per cui ,proprio mentre il fenomeno immigratorio aumenta in maniera significativa , ci si difende dallo straniero e si rafforzano i collegamenti con le comunità italiane emigrate all’estero.
Nell’ultimo quarto di secolo la tradizionale dicotomia destra-sinistra sul tema dell’esercizio del voto da parte degli italiani stabilmente residenti all’estero si è ridotta sino a scomparire (favorendo obbrobri giuridici), mentre la contrapposizione sull’integrazione degli stranieri residenti in Italia ha assunto caratteri complessi. D’altro canto la sterilizzazione del problema sulla base del criterio della cittadinanza (popolo) ed in particolare sul parametro della cittadinanza attiva ( δεμοσ politico o Corpo elettorale ) risulta difficile , se si pensa che il δεμοσ sociale rappresentato dalla popolazione(δεμοσ sociale) ricompare implacabile nella stessa ripartizione dei seggi operata ai sensi dell’art. 56 , 4° comma Cost. operata “dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”[17]. Non soltanto i cittadini non attivi , ma anche gli immigrati residenti pesano nella ripartizione dei seggi e , quindi, rientrano nel calcolo della rappresentanza politica dei collegi di residenza . La finzione della omogeneità e della rappresentanza si riproduce ,dunque, anche a questo livello e viene ancor più articolata in considerazione della novella costituzionale 23 gennaio 2001 ,n.1 degli artt. 56 e 57 che ha istituito la circoscrizione estero per la rappresentanza dei cittadini emigrati non residenti in Italia[18] .
6-Cittadinanza e voto agli immigrati residenti .
Oggi,ai due estremi dell’arengo dottrinario si pongono , da un lato, coloro che interpretano in maniera tradizionale la possibilità di estensione dei diritti politici ai soli cittadini , richiedendo per eventuali variazioni l’intervento di normative di rango o costituzionale o legislativo ; dall’altro coloro che attribuiscono la possibilità di intervenire in materia sulla base dell’art.11 della Cost. oppure derubricano dall’art. 48 Cost. il voto per le amministrazioni comunali ,provinciali e regionali , perché non politico .Alcuni interpretano ,dunque, in maniera restrittiva la possibilità di inserire i diritti politici tra i diritti fondamentali estensibili alla persona umana[19]; altri invece si basano sulla natura aperta dell’art.2 Cost. per intervenire nel settore[20] .
Per risolvere la questione risulta dirimente non soltanto il dato testuale ,ma anche quello sistematico.
Non pone problemi sostanziali quanto previsto dal Trattato di Maastricht relativo all’attribuzione del diritto di voto e di eleggibilità per i cittadini dell’Unione europea che risiedono in uno Stato membro (su cui la Direttiva 94/80/CE del Consiglio, del 19 dicembre 1994 e il Decreto legislativo 12 aprile 1996 n.197 , anche se la mancata revisione costituzionale dell’art. 48 (preceduta dallo strappo precedente della previsione della candidabilità di cittadini stranieri della Comunità) pare rappresentare una non commendevole conferma di come venga trattato il testo costituzionale nel nostro ordinamento . Di fronte alla revisione costituzionale che ha accompagnato – ad es. – la recezione francese[21] , spagnola [22] delle previsioni di Maastricht o all’inserzione belga della possibilità di estendere per legge il voto anche ai non cittadini [23], l’ordinamento italiano ha-invece- fatto ricorso allo strumento dell’art.11 della Cost. . Con la sent. 183/1973 la Corte costituzionale riconobbe – infatti- a suo tempo il fondamento di legittimità dei trattati istitutivi CEE nell’art. 11 , cosicché venivano giustificate le limitazioni le eventuali limitazioni dei poteri dello Stato ed il parziale trasferimento agli organi comunitari dell’esercizio della funzione legislativa ,”in base ad un preciso criterio di ripartizione di competenze per le materie analiticamente indicate” . Su questa peculiare elasticità della Costituzione, che deriva dalla storia costituzionale italiana e dal peso che la vicenda statutaria continua ad avere sull’ordinamento, non vi è stata una sufficiente riflessione da parte della giurisprudenza e della dottrina italiana . La rigidità della Costituzione viene -in questo modo- messa in discussione a causa dell’incapacità di prendere decisioni secondo metodi trasparenti e le conseguenze costituiscono un vulnus per l’ordinamento.
La situazione risulta complicata dal processo di trasformazione incrementale del rapporto centro periferia che si è prodotto in Italia con la revisione costituzionale del Titolo V della Costituzione. La devoluzione delle competenze a regioni e comuni ha rafforzato la tendenza di alcuni a cercare di sfruttare l’ambito locale per il perseguimento dell’integrazione dei non cittadini residenti nonostante il nuovo art. 117 Cost . al punto b) stabilisca in maniera chiara la competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda la materia “immigrazione” e al punto p) per quanto attiene la “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” .
In questa prospettiva regioni e comuni si sono mossi in vario modo per affermare la possibilità di estendere il diritto di voto ai non cittadini. Le Regioni,nell’ambito della stagione di approvazione dei nuovi Statuti ,hanno cercato di introdurre previsioni “manifesto”,che hanno scatenato la reazione dello Stato .Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato nel 2004 questione di legittimità costituzionale nei confronti di parti dei nuovi statuti della Regione Toscana e della Regione Emilia Romagna . In particolare venne impugnato l'art. 3, comma 6, dello statuto della Toscana l'art. 2, comma 1, lettera f), e l'art. 15, comma 1, della delibera statutaria dell’Emilia Romagna .In entrambi i casi si stabiliva che la Regione dovesse promuovere , “nel rispetto dei principi costituzionali”, l'estensione del diritto di voto agli immigrati. Le sent.nn. 372 e 379 del 2004 hanno dichiarato inammissibili i ricorsi in materia, giudicando le enunciazioni statutarie di “carattere non prescrittivo e non vincolante” e negando loro il carattere di “norme programmatiche” , perché fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di autonomi i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione” ( v. sent.n. 372/2004 che cita la sent. n. 196 del 2003). La Corte costituzionale nella sent. n.379 è stata ancora più dura sottolineando che da “enunciazioni statutarie di questo tipo deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa”. La successiva sentenza n.300 del 2005 sull’impugnativa governativa della legge n. 5 del 2004 della Regione Emilia Romagna, contenente “Norme per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati” sottolinea come “gli artt. 6 e 7 della legge regionale, che disciplinano le forme partecipative degli stranieri nella Consulta regionale per l'integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati, lungi dall'invadere materie attribuite esclusivamente allo Stato, costituiscono anzi la attuazione, da parte della Regione Emilia-Romagna, delle disposizioni statali che….prevedono appunto forme di partecipazione dei cittadini stranieri soggiornanti regolarmente nel Paese alla vita pubblica locale”.[24]
In questo modo la Corte ha giustamente “despolettato” una questione che avrebbe potuto divenire fortemente conflittuale , anche come arma polemica nei confronti della maggioranza di centro destra, chiarendo implicitamente che la competenza in materia di elettorato è strettamente connessa allo Stato centrale . Il nuovo art.122 della Cost. attribuisce , infatti, alla Regione la competenza a regolare “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonchè dei consiglieri regionali ….. nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”, certificando che con sistema di elezione ci si occupa di sistema elettorale in senso stretto ovvero del meccanismo di trasformazione dei voti in seggi e non di attribuzione del diritto di voto .
D’altro canto in quello stesso periodo,caratterizzato dal Governo Berlusconi,il cui vice-presidente del Consiglio on.Gianfranco Fini aveva dichiarato di essere favorevole al voto agli immigrati [25] , il Consiglio dei ministri aveva dovuto diffidare il Comune di Genova in relazione alla disposizione dello Statuto comunale, con la quale si riconosceva il diritto di voto agli immigrati dopo cinque anni di soggiorno in Italia[26]. Nell’agosto 2005 il Consiglio dei ministri deliberò l’annullamento della parte dello statuto del Comune di Genova in cui si garantiva l’allargamento del suffragio “per illegittimità e a tutela dell’unità dell’ordinamento”. Il Consiglio di Stato, interpellato in proposito in luglio (parere n. 11074/05) stabilì , modificando un precedente orientamento, che il diritto di elettorato per i cittadini stranieri può configurarsi solo se ne è garantito il riconoscimento a livello statale. Ma la questione non sembra avere fondamento nell’ orientamento politico delle varie formazioni di governo , perché nella seconda metà del 2006 Giuliano Amato, ministro dell’Interno del nuovo Governo Prodi , ha ribadito la richiesta di annullamento dello Statuto di Genova e di altre amministrazioni su questa posizione . Simili posizioni – a mio avviso – sono convincenti dal punto di vista testuale e necessarie dal punto di vista generale , onde evitare che l’attribuzione del diritto di elettorato amministrativo divenga una sorta di pelle di leopardo che ricopre la penisola , differenziando comune da comune in maniera non accettabile .
Le amministrazioni comunali hanno cercato , di conseguenza, di intervenire sul livello più basso della partecipazione (quello circoscrizionale) ,oppure hanno costituito organi consultivi per la rappresentanza degli immigrati extracomunitari.
Per quanto riguarda le circoscrizioni ,però, esse rischiano di essere assorbite dalla controversia per i livelli superiori , essendo queste da trattare allo stesso modo delle elezioni provinciali e comunali ai sensi dell’art- 117 Cost. ( ma anche della l. 7 giugno 1991,n.182 e dal citato decreto legislativo 197/1996).
Non rimane ai comuni che la strada degli organi consultivi di rappresentanza e questa via è stata percorsa da molte amministrazioni con la istituzione di Consulte o di Consiglieri aggiuntivi . I consiglieri aggiunti (penso alla normativa del Comune di Roma nei Municipi ovvero nelle circoscrizioni in cui è divisa la capitale) sono eletti dai cittadini extra comunitari che abbiano raggiunto il 18 ° anno di età e siano regolarmente residenti .
L’autonomia associativa dei partiti ha , invece, dato la possibilità – ad esempio- al neo costituito partito democratico di attribuire il diritto di voto nelle recenti consultazioni interne per l’elezione degli organi dirigenti della nuova formazione non soltanto ai cittadini sedicenni , ma anche agli immigrati extracomunitari residenti.
Le stesse proposte di legge presentate alle Camere durante l’attuale legislatura (la XV) riproducono , d’altro canto , il raffreddarsi del dibattito sul tema in relazione allo scorrere del tempo ed al modificarsi delle maggioranze ,mentre gli stessi presentatori hanno finito per supportare differenti posizioni. In primo luogo ,mentre durante la XIV legislatura (2001-2006l’opposizione ha presentato molti progetti di legge in argomento ,con il nuovo Governo Prodi l’entusiasmo sembra fortemente scemati. Sono stati in sostanza recuperati i progetti della legislatura precedente , ma gli stessi sono stati messi nell’ombra rispetto ad altre esigenze.
Persiste ,in ogni caso , la mancanza di chiarezza in materia da parte del ceto politico , volto da un lato a riaffermare principi basati sul δεμοσ sociale in modo astratto , timoroso dall’altro di dover fare i conti con la realtà di un elettorato sempre più preoccupato della difficoltà di controllare il fenomeno migratorio . Anche dopo le prese di posizione della Corte costituzionale si è mantenuta la tendenza alle proposte “manifesto”. Ad esempio l’on. Boato (Verdi) nel PDL n. 261 [27] ha previsto che ,senza alcuna modifica dell’art.48 Cost. ,“Il diritto di elettorato attivo e passivo [sia] garantito …..anche a chi non [sia] cittadino italiano, a condizione che abbia maturato cinque anni di regolare soggiorno in Italia” nelle elezioni comunali, provinciali ,concernenti le città metropolitane ed in quelle regionali . Il progetto ,frutto di un documento dell’ANCI, oltre a recepire la convenzione di Strasburgo , vorrebbe porsi come principio fondamentale ai sensi dell’art. 122 della Costituzione per quanto riguarda la competenza relativa al sistema elettorale a livello regionale. [28] Pare che simili proposte siano essenzialmente un “grato” servizio ai gruppi di pressione presenti nella società civile ed affastellino richieste che si sono sedimentate nel tempo .Altri percorrono , invece , la strada della revisione costituzionale degli artt. 48 e 51 [29], ma si scontrano con il mutamento di sensibilità dell’opinione pubblica in relazione all’oggetto e con altre urgenze politiche .
7-Conclusioni. Da questa breve rassegna si conferma come la reazione italiana , al deflagrare del problema dell’immigrazione , non sia stata in alcun modo efficace. Dal punto di vista generale l’incremento repentino dei flussi di immigrazione nell’ultimo quindicennio[30] sono stati affrontati in maniera non coerente , con approcci alternativi come dimostrano le due maggiori leggi in materia (la Turco – Napolitano e la Bossi – Fini), la prima più orientata all’integrazione dell’immigrato nel δεμοσ , la seconda indirizzata alla regolazione dell’aspetto lavorativo, entrambe insufficienti a reggere l’urto del fenomeno concreto[31] .
Per quanto riguarda la questione specifica dell’attribuzione di diritti di partecipazione ai cittadini extra-comunitari residenti attraverso il voto , essa è stata influenzata – invece- dalla persistenza nell’ordinamento della tradizione emigratoria , da una concezione della rigidità costituzionale non presa sul serio e dalle concrete difficoltà dei soggetti politici nell’ intervenire su un settore sensibile e polemico come quello del diritto di voto, soprattutto in una situazione difficile di riallineamento incompiuto del sistema partitico[32].
Molte delle soluzioni prospettate sono pasticciate e frutto di profili non coerenti del δεμοσ e della suo futuro. La visione integrazionista propende in via principale per l’introduzione di una normativa sulla cittadinanza capace di recepire gli immigrati regolari .Negli ultimi venti anni un simile indirizzo ,alla prova dei fatti, appare sempre meno aperto rispetto alla persistente retorica ed alla pratica del mantenimento dei legami con i cittadini emigrati stabilmente all’estero . La vicenda della modifica dell’art. 48 Cost. esplicita in proposito la cautela con cui si muovono le forze politiche prevalenti , al di là delle frange più orientate in favore del δεμοσ sociale , che fanno riferimento alle convezioni internazionali integrazioniste. I progetti di legge che sono stati presentati alle Camere (e che sono stati riassunti in nota) modulano le differenti possibilità di soluzione del problema , ma nessuno di questi è stato ancora discusso ,mentre si tratta in queste settimane di riforma del voto degli italiani residenti all’estero e di modifiche del numero dei parlamentari e della capacità elettorale attiva (con l’estensione del voto ai sedicenni) e passiva (con l’esclusione ad esempio , degli ultra – sessantottenni). Le prospettive di soluzione organica del problema sembrano , dunque, non favorevoli , anche in relazione ai fenomeni di difesa xenofoba che si registrano in alcune aree calde del paese. Ne viene fuori un quadro che non fa ben sperare , ma che soprattutto invita a non operare solo con il cuore o con la pancia , ma con la ragione orientata dai valori recuperabili nel testo costituzionale .
[1] Relazione al Convegno Participación política e integración presente y futuro del voto extranjero en españa, Malaga , Facultad de Derecho ,26 de Octubre,2007.
[2] Ordinario di diritto costituzionale italiano e comparato nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”
[3]v. T. H. Marshall , Citizenship and social class, and other essays ,Cambridge, U.P. ,1950.
[4]v. R. Quadri,voce Cittadinanza ,in Nvmo Dig, III,pp.306 ss.
[5] ‘‘Certe ‘persona’ iuris vocabulum est, ut ‘homo’ vocabulum est naturae’’ (Caput XX, 69) tratto da G.B. Vico ,Opere 2 :il diritto universale ,Pt.2: ‘‘De constantia jurisprudentis’’ liber 2,a cura di F. Nicolini ,Bari,Laterza,1936.
[6] V.Aristotle, The Politics of Aristotle, trans. into English with introduction, marginal analysis, essays, notes and indices by B. Jow ett , Oxford, Clarendon Press, 1885, 2 vols, p. 31.
[7]Livre II : des lois qui dérivent directement de la nature du gouvernement. Chapitre II – Du gouvernement républicain et des lois relatives à la démocratie. Aggiungo che anche Rousseau nel “Contrat social”(1762) sottolinea – nel capitolo dedicato al “patto sociale ” (1.6) – la duplicità dell’atto di associazione in cui gli individui “assumono collettivamente il nome di popolo e, come partecipanti all’autorità sovrana, sono denominati cittadini, mentre risultano come sudditi, quando sottomessi alle leggi dello Stato” .
[8] v. F. Lanchester,Gli strumenti della democrazia ,Milano ,Giuffrè,2004.
[9] Per l’individuazione di due tipi di δεμοσ (quello politico, che dava vita al cittadino, e quello sociale ,che individuava invece la popolazione ,connesso però con la famiglia ) v. M. H. Hansen, La democrazia ateniese nel IV secolo A.C., LED, Edizioni Universitarie di lettere, Economia e Diritto, Milano 2003 .
[10] Article 4. – Tout homme né et domicilié en France, âgé de vingt et un ans accomplis ; – Tout étranger âgé de vingt et un ans accomplis, qui, domicilié en France depuis une année – Y vit de son travail – Ou acquiert une propriété – Ou épouse une Française – Ou adopte un enfant – Ou nourrit un vieillard ; – Tout étranger enfin, qui sera jugé par le Corps législatif avoir bien mérité de l'humanité – Est admis à l'exercice des Droits de citoyen français.
[11] Art.20. In consequence of the solidarity of the workers of all nations, the Russian Socialist Federated Soviet Republic grants all political rights of Russian citizens to foreigners who live in the territory of the Russian Republic and are engaged in work and who belong to the working class. The Russian Socialist Federated Soviet Republic also recognizes the right of local soviets to grant citizenship to such foreigners without complicated formality.
[12] Si fa riferimento , ad es. , al preambolo e all’art. 21 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle nazioni unite il 10 dicembre 1948; alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ,firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (v. L. 848/1955);al Patto internazionale relativo ai diritti economici,sociali e culturali e al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (v. L. 881/1977).
[13] V. per questo ora E. Grosso , art.48,in “Commentario alla Costituzione”, a cura di Raffaele Bifulco, Alfonso Celotto, Marco Olivetti,Torino ,Utet,2006,pp.966 ss..
[14] v. su questo S. Goyard -Fabre ,Le principes philosophiques du droit politique moderne, Paris, Puf,1997.
[15] Sul concetto di votazione e sulla sua costitutività per gli ordinamenti democratici v. F.Lanchester,Gli strumenti della democrazia,cit.,pp.121 ss..
[16] V. P.S.Mancini, Della nazionalità come fondamento del dritto delle genti : prelezione al corso di dritto internazionale e marittimo,Torino,Botta,1851
[17] V. anche per il Senato art.54,4° comma. D’altro canto l’affermazione di cui all’art. 1 della Cost. che “la sovranità appartiene al popolo ,che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione” evidenzia le caratteristiche necessariamente rappresentative della costruzione ordina mentale. Il popolo è in effetti costituito dai cittadini ed è rappresentato dal δεμοσ politico – Corpo elettorale(su cui v. gli artt. 48,1° comma,58 ,1° e 2° comma , 71,2° comma,75,1° comma,123,3° comma,138 ,2° comma.La stessa iniziativa delle leggi di cui all’art.71,2° comma è esercitata dagli elettori ,mentre l’art. 101,1° comma prevede che “la giustizia[sia] amministrata dal popolo” e il 102,3° comma che “la legge regoli “le forme di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia”.
[18] Dopo la l.cost. 17 gennaio 2000,n.1 Modifica all’articolo 48 della Costituzione concernente l’istituzione della circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero, la l. cost. n. 23 gennaio 2001 Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione concernenti il numero dei deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all’estero è stata seguita l. 27 dicembre 2001,n. 459 Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero e dal DPR 2 aprile 2003 ,n.104 Regolamento di attuazione della l. 27 dicembre 2001,n.459,recante disciplina per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.
[19] V. ad es. T.Giupponi, Il voto agli stranieri extracomunitari: sì, no, forse…, in “Quaderni costituzionali”,2004,n.4,pp.849-850 e Il diritto di voto agli stranieri extracomunitari.
Profili problematici, in A. Vignudelli (a cura di), “Istituzioni e dinamiche del diritto. Multiculturalismo, comunicazione,federalismo”, Torino, 2005, pp.107 ss.
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[20] V. ad es. E. Bettinelli, Cittadini extracomunitari , voto amministrativo e costituzione inclusiva, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Quaderno n. 15, Torino, 2005, pag. 27 ss.
[21] V.Loi constitutionnelle n° 92-554 du 25 juin 1992 e la Décision n° 98-400 DC du 20 mai 1998 relativa alla Loi organique déterminant les conditions d'application de l'article 88-3 de la Constitution relatif à l'exercice par les citoyens de l'Union européenne résidant en France, autres que les ressortissants français, du droit de vote et d'éligibilité aux élections municipales, et portant transposition de la directive 94/80/CE du 19 décembre 1994
[22] v. riforma costituzionale del 27 agosto 1992.
[23] V. art. 8 Cost. del Belgio (1994) ,che non solo prevede il caso dei cittadini dell’Unione residenti nel territorio nazionale , ma anche il caso di quelli non comunitari ;art. 38 GG,che rinvia alla legge federale.
[24] V. per il commento T.Giupponi, Gli stranieri extracomunitari e la vita pubblica locale: c'è partecipazione e partecipazione ,nota alla sentenza in “Le regioni”, 2006, n. 1 , pp. 187 ss.
[25] V.Corriere della sera dell'8 ottobre 2003.
[26] Originata da una mozione presentata dalla maggioranza di centrosinistra di modifica dello statuto comunale( approvata dal consiglio comunale di Genova il 16 settembre 2003).
[27] Norme per la partecipazione politica e amministrativa e per il diritto di elettorato senza iscriminazioni di cittadinanza e di nazionalità. Ratifica ed esecuzione del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992 del 28 aprile 2006
[28] Sostanzialmente simile il DDL – Senato n. 127 Malabarba (Rifondazione comunista), Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, limitatamente al capitolo C. e il PDL –Camera n. 1141 Zanella (Verdi),Ratifica ed esecuzione del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992,mentre il PDL- Camera n.620 Mazzoni (UDC (CCD-CDU))Ratifica ed esecuzione del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992 si limita ai consigli comunali ; il DDL -Senato n.871 Angius (Ulivo) e altri,Norme per la partecipazione politica ed amministrativa e per il diritto di elettorato degli stranieri,coinvolge i livelli comunale ,provinciale e metropolitano; DDL –Senato n. 946 Russo Spena (RC-SE) e altri, Norme per la partecipazione politica ed amministrativa e per il diritto di elettorato senza discriminazioni di cittadinanza e di nazionalita' e ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, limitatamente al Capitolo C e DDL -Senato n.956 Ripamonti (IU-Verdi-Com)Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, limitatamente al capitolo C , che prevede , addirittura una delega generica in materia elettorale al Governo .
[29] V. PDL costituzionale -Camera n. 937 Mascia (Rifondazione comunista ) Modifiche agli articoli 48 e 51 della Costituzione in materia di riconoscimento allo straniero dell' elettorato attivo e passivo; v. DDL cosituzionale . Senato n.516 Palermi (IU-Verdi-Com) e altri Modifica all' articolo 48 della Costituzione, in materia di riconoscimento dell' elettorato attivo e passivo agli stranieri, in cui si integra l’art. 48 , ma si lasciano le modalità alla legge .Il DDL costituzionale – Senato n. 524 Bulgarelli (IU-Verdi-Com)Modifica all' articolo 48 della Costituzione in materia di estensione del diritto di voto per i consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali ai cittadini italiani ed agli stranieri che hanno compiuto il sedicesimo anno di eta',aggiunge l’abbassamento dell’età per la capacità elettorale attiva ; il PDL costituzionale Camera n. 1354 Bressa (Ulivo),Modifica all' articolo 48 della Costituzione in materia di riconoscimento allo straniero del diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative ; DDL costituzionale Senato n.872 Amati (Ulivo) e altri Diritti politici dello straniero in Italia,modifica gli artt. 48 ,51 e 75 Cost. per dare la possibilità ai non cittadini di partecipare alle elezioni comunali ,provinciali e regionali così come in sostanza il PDL costituzionale Camera n. 1520 Boato (Verdi)Modifica agli articoli 48 e 75 della Costituzione in materia di riconoscimento dell' elettorato attivo e passivo agli stranieri.
[30] V. i dati pubblicati sull’ Eurostat Yearbook 2006-07, che evidenziano come nel 2004 i due terzi dell’immigrazione legale di extracomunitari dell’intera UE si sia concentrata in Italia ed in Spagna con un ingresso di circa 600 mila persone in questo solo anno in ciascun ordinamento .
[31] V. L. Einaudi,Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi, Roma – Bari,Laterza,2007.
[32] Per questo argomento rinvio a F. Lanchester,La rappresentanza in campo politico e le sue trasformazioni,cit.,pp.190 ss..