LA TRANSIZIONE ITALIANA E LA QUARTA FASE NEL RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI FRANCESI DELLA QUINTA REPUBBLICA
di
Fulco Lanchester
Sommario:0-Ringraziamenti;1-L’occasione ed il taglio del Convegno – 2-Francia – Italia: le radici di un rapporto sempre presente; 3-Il periodo delle tre Costituenti e la vicenda della IV Repubblica; 4-Le due linee; 5- La dinamica cinquantennale della V Repubblica e la revisione del 2008-; 6-Le tre fasi dell’interpretazione italiana;7-Conclusioni: la transizione italiana e la quarta fase nel rapporto con le istituzioni francesi.
0-Ringraziamenti- Mio compito è quello di introdurre in maniera sintetica i lavori di questo Convegno. A questo fine, prima di tutto, sono tenuto , anche a nome dei rispettivi Centri che hanno promosso la presente iniziativa , ad operare ringraziamenti non formali nei confronti del Presidente della Camera dei Deputati on. Gianfranco Fini per la Sua presenza attiva e per la concessione di questa prestigiosa Sala del Refettorio come sede del Convegno .
Ringrazio e saluto, inoltre, i relatori (stranieri ed italiani) e tutti i partecipanti a questo Convegno, che impegna specialisti di differenti discipline(ma soprattutto costituzionalisti) in una riflessione corale sulle istituzioni francesi della V Repubblica anche alla luce delle recenti innovazioni costituzionali del 2008.
Cercherò,dunque, di spiegarne in maniera sintetica le ragioni ed il taglio.
1- L’occasione ed il taglio del Convegno – A cinquanta anni dalla promulgazione della Costituzione francese del 1958 e in occasione di quello che deve essere considerato come l’importante, ma non stravolgente, maquillage costituzionale dell’anno scorso, la nostra odierna riflessione assume aspetti di originalità e si inserisce in un biennio di anniversari importanti per gli ordinamenti francese, tedesco,spagnolo ed italiano. Non soltanto l’anno scorso si sono commemorati i sessanta anni della promulgazione della Costituzione repubblicana , i cinquanta di quella della quinta repubblica francese e i trenta di quella spagnola, ma quest’anno ci accingiamo a ricordare i novanta della Costituzione weimariana, cui il Centro di Teoria dello Stato prevede di dedicare uno specifico Convegno nel prossimo ottobre, ed i sessanta del Grundgesetz di Bonn. L’incrocio Francia, Germania,Italia e Spagna costituisce- com’è noto- oramai un classico della riflessione costituzionalistica e politologica e non ha bisogno di essere giustificato, perché apparirà sullo sfondo di tutto il Convegno. Esso viene utilizzato non soltanto per comparare i singoli rendimenti istituzionali ,ma soprattutto per verificare le capacità delle singole classi dirigenti e dei rispettivi ceti politici di individuare in maniera più o meno autonoma assetti istituzionali capaci di rispondere alle domande materiali ed immateriali delle società civili di riferimento.
Ciò che desidero sottolineare è, soprattutto , il taglio dell’iniziativa odierna. Essa non vuole ripetere l’angolazione tradizionale di altre importanti iniziative francesi ed italiane , che hanno adottato almeno ufficialmente gli occhiali di Oltralpe per valutare l’esperienza e le novità dell’esperienza costituzionale gaullista.
La prospettiva da noi adottata assume esplicitamente un taglio storico-critico, in cui il dibattito ed rendimento istituzionale francese viene valutato nella prospettiva della prassi e della dinamica politico-costituzionale italiana nel cinquantennio trascorso, anche sulla base delle posizioni del ceto politico e della dottrina istituzionalistica( in cui comprendo giuspubblicisti e scienziati della politica) .
2-Francia-Italia: le radici di un rapporto sempre presente -Le radici problematiche che giustificano questo Convegno sono quelle già segnalate da Armando Saitta nel 1952 e ricordate da Guglielmo Negri nel 1958 ossia “la consapevolezza di un intimo parallelismo fra la situazione [francese] e quella dell’Italia”[1], almeno dal secondo dopoguerra. Sotto il profilo più ampio e, a mio avviso, più proficuo della storia costituzionale e di storia della cultura istituzionale un simile elemento, per analogia e per contrasto, ha caratterizzato la vicenda degli ultimi due secoli di entrambi gli ordinamenti. L’interesse-invero asimmetrico-, che ha caratterizzato le classi dirigenti ( ed in particolare ceto politico e dottrina istituzionalistica) per origini e svolgimento dei reciproci assetti istituzionali, costituisce un filo di Arianna per la comprensione dei rispettivi avvenimenti ed una bussola per le discussioni più recenti.
L’asimmetria in questo specifico campo è fornita dalla storia. Il periodo rivoluzionario francese e le vicende napoleoniche hanno inciso profondamente sullo sviluppo del nostro costituzionalismo e sulle nostro istituzioni, come ben ha dimostrato Carlo Ghisalberti.[2] Dal punto di vista della cultura giuridico – costituzionale, come ci ha ricordato –invece- Mario Galizia[3], la prima cattedra italiana di Diritto costituzionale (cispadano e giuspubblico universale) venne istituita per Giuseppe Compagnoni nel marzo 1797 presso l’Università di Ferrara, seguita da quelle di Pavia per l’Alpruni e di Bologna per l’Algerat, promosse dal ciclo costituzionale importato in Italia. D’altro canto, non bisogna dimenticare che la prima cattedra di Diritto costituzionale istituita in Francia nel 1834 fu attribuita da François Guizot, allora ministro della Pubblica istruzione, a Pellegrino Rossi, un intellettuale europeo ed un precursore delle scienze politiche, con cui aveva avuto esperienze comuni ginevrine e che non ultimo fra i giuspubblicisti venne assassinato,com’è noto, in questa città il 15 novembre di centosessant’anni fa.
Lo stesso Statuto albertino, prodotto nell’ambito del Consiglio di conferenza del Regno di Sardegna, era stato profondamente influenzato dal modello costituzionale della Restaurazione francese[4] (si potrebbe aggiungere che venne redatto in francese, lingua della classe dirigente piemontese)[5]. E’ questo un dato di fatto che spiega l’acuto interesse della dottrina italiana per le prime esperienze parlamentari d’Oltralpe ed in fatto che ad es. un costituzionalista come Leopoldo Elia, di cui affettuosamente sentiamo tutti la mancanza, si sia laureato nel 1947 con Vincenzo Gueli ed una tesi su l’avvento del regime parlamentare in Francia tra il 1815 e il 1830 o che,alla metà degli anni Ottanta, gli schemi interpretativi di Antonio Baldassarre e Carlo Mezzanotte( anche Lui recentemente scomparso) per giudicare la dinamica della Presidenza della Repubblica nella recente storia italiana derivassero da quel periodo preciso, previa ovvia reinterpretazione[6].
D’altro canto tutto il periodo liberale oligarchico unitario ha avuto come protagonista la tensione tra l’archetipo(empirico) britannico e il parlamentarismo rappresentato in maniera tipica dall’esempio francese, cui una parte della classe dirigente e del ceto politico propendevano nella prassi.[7] La stessa espressione parlamentarismo, anche con il suo significato valutativo negativo, ha –d’altro canto- le sue origini nella Francia della seconda repubblica e nella contrapposizione, sottolineata da Victor Hugo nei primordi della società di massa basata sul suffragio maschile, tra libertà della tribuna e personalizzazione cesaristica del potere[8] . Si tratta del tornante, ben descritto da Carl Schmitt, in un’opera scarnificante degli anni Venti, tra epoca classica delle istituzioni parlamentari e politica di massa[9], che ancora oggi mantiene una sua validità.
Le dinamiche istituzionali e sociali della III Repubblica e dell’Italia successiva all’avvento al potere della Sinistra storica avevano analogie già ampiamente riconosciute da Abbot Lawrence Lowell nei due volumi Governments and Parties in Continental Europe [10] alla fine del secolo XIX, mentre e vicende degli anni Venti del secolo XX rafforzarono l’interesse per le analisi dei percorsi tedesco ed italiano, due liberal-democrazie che in poco tempo implosero in avventure autoritarie o totalitarie. Emilio Crosa[11] e Amedeo Giannini[12]– il primo sulla base delle suggestioni di un costituzionalista come Robert Redslob, fortemente influenzato dalle suggestioni di un assertore dell’Impero liberale come Prevost Paradol, il secondo dalle analisi comparatistiche della coppia Boris Mirkine Guétzevitch[13] e Georges Burdeau[14]– affrontarono in maniera tipica i problemi dell’instabilità degli assetti delle liberal-democrazie nel primo dopoguerra, accompagnando la riflessione che giuspubblicisti non formalisti come Luigi Rossi[15] e Costantino Mortati[16] portavano avanti sul tema dell’elasticità della Costituzione o del rapporto tra Costituzione formale e costituzione in senso materiale.
Il dibattito francese sulla terza Repubblica e la necessità di innovazioni adeguate fu sempre presente in ambito italiano, nonostante la divaricazione del periodo fascista. Il ceto politico e la dottrina, che operavano all’interno dell’ordinamento fascista, trovavano nelle convulsioni della terza Repubblica , caratterizzata da spinte contraddittorie, da persistente instabilità e richieste di riforma che rafforzassero l’Esecutivo( basti pensare all’azione e all’opera di Leon Blum) conferme sulla bontà della soluzione italiana, mentre il fuoriuscitismo concentrato soprattutto Oltralpe viveva quotidianamente i dibattiti della stessa.
Anche dopo il crollo francese nel giugno del 1940 e l’assunzione del potere da parte del Maresciallo Petain l’interesse per gli avvenimenti francesi non si placò, se è vero che negli appunti Mortati sono recuperabili tracce di una relazione dell’amministrativista Mario Nigro sul progetto di Costituzione petainista.
3-Il periodo delle tre Costituenti e la vicenda della IV Repubblica- Durante il periodo di ricostruzione democratica,che seguì il dibattito interno alla Resistenza[17], caratterizzato dalla due costituenti francesi e da quella italiana, come è stato osservato dallo stesso Saitta (ma anche successivamente in maniera analitica dallo stesso Ugo De Siervo[18]), le vicende costituzionali francesi del secondo dopoguerra influenzarono profondamente il dibattito italiano e le soluzioni prescelte dai soggetti politicamente rilevanti . I tempi della ricostruzione istituzionale italiana si sono- com’è noto- incrociati con la prima e la seconda Costituente francese tra il 1945 e il 1946[19], mentre la vita tormentata della IV Repubblica ha costituito un costante riferimento per i primi anni della refrigerata esperienza costituzionale repubblicana.
In entrambi i casi vi fu una comune riflessione sulle cause della crisi delle democrazie liberali nel primo dopoguerra, sugli effetti dell’intervento delle masse sugli assetti istituzionali, sui pericoli dell’instabilità e della debolezza governativa, sulla necessità di allargare e rendere operanti le dichiarazioni formali relative ai diritti sociali in un mondo caratterizzato da una divisione di potenza bipolare. In entrambi gli ordinamenti, sulla base del panorama politico esistente e degli interessi conflittuali risultanti, simili furono i risultati, anche se ben più esplosivo fu per l’ordinamento francese il problema esterno della decolonizzazione, che ne provocò l’implosione.
Non è quindi fortuito che il mondo politico e la stessa dottrina costituzionalistica siano stati sempre molto attenti in quegli anni al caso francese. Non mi riferisco solo alle posizioni di Calamandrei durante il periodo Costituente in cui le suggestioni azioniste nei confronti del modello presidenziale in realtà si sovrapponevano alla esigenza di recuperare compattezza sul piano programmatico di governo[20], ma alla implicita recezione di molte soluzioni ed ai continui riferimenti che gli stessi esponenti dei grandi partiti di massa italiani facevano alla situazione francese .
Nell’ambito dottrinario le analisi successive alla grande spaccatura dell’alleanza antifascista collegarono tra loro le esperienze francese,tedesca ed italiana( penso a Guarino[21], a Biscaretti[22],a Amorth[23],a Amedeo Giannini,[24]a Ferri[25],a Pierandrei[26],a Cuocolo[27]), ma l’interesse per il caso tedesco rimase più concentrato su Weimar (penso in maniera esemplare a Mortati[28] ), per la peculiarità della ricostruzione istituzionale tedesca condizionata in modo esplicito dall’influenza esogena delle forze occupanti.
La ripresa dell’instabilità ministeriale in Francia, ma soprattutto l’esistenza di partiti considerati se non anticostituzionali sicuramente antisistema, fece si che ceto politico e dottrina italiana guardassero con grande attenzione alle vicende della Quarta Repubblica. La stessa strategia istituzionale delle maggioranze di Governo nei due paesi risultò caratterizzata dalla necessità di rafforzare l’area centrale del sistema sulla base della manovra elettorale che in Francia generò la cosiddetta loi scélérate ed in Italia la cosiddetta legge truffa, la cui ratio istituzionale venne in maniera esemplare giustificata da Alfonso Tesauro[29],allora senatore democristiano, mentre Carlo Lavagna provvedeva in più interventi a sottolineare non soltanto le posizioni della specularità sostenute dalla sinistra non integrata[30], ma – successivamente – una linea di sviluppo per l’integrazione difficile.[31]
La critica alla partitocrazia,secondo il neologismo inventato da Giuseppe Maranini nel 1949[32] e supportato implicitamente dalle analisi di Giacomo Perticone[33], non faceva che riflettere la polemica contro lo strapotere dei partiti che costituiva il filo della posizione gaullista già nei grandi discorsi di Bayeux e di Epinal dell’estate 1946 e che porteranno al 1958. L’Italia post-fascista si era, invece, ricostruita sulla base di partiti di massa ben più strutturati e con una convergenza valoriale superiore di quelli francesi . I moti peristaltici e l’agonia della Quarta Repubblica vennero, dunque, visti con molta preoccupazione, soprattutto dopo il fallimento della cosiddetta legge truffa in Italia e la incapacità della réformette costituzionale francese del 1954 di invertire la tendenza involutiva[34] .
D’altro canto la Quarta Repubblica, che come sostenne icasticamente Raymond Aron alle soglie degli anni Cinquanta , poteva durare ma non innovare, crollò sulla base di crisi esogene rappresentate dal processo di decolonizzazione prima vietnamita e poi algerino. Mentre in quegli anni in Italia la crisi dell’alleanza centrista portava alla riscoperta della strategia della Costituzione come strumento per l’integrazione delle forze antisistema – da un lato- e per l a trasformazione pacifica dell’ordinamento dall’altro, il sistema francese giunse nella primavera del 1958 al punto di non ritorno.
4-Le due linee- Due linee si posero in quegli anni in singolare alternativa nei due rispettivi ordinamenti, tanto da poter essere tra loro strettamente collegate nei giorni dell’implosione della Quarta Repubblica. Esse sono rappresentate in maniera significativa da un lato da Michel Debré, dall’altro da Lelio Basso .
Nel settembre del 1957 Michel Debré pubblicò un pamphlet intitolato Ces princes qui nous gouvernent[35], in cui si auspicava la fine dell’ordinamento impotente ed oligarchico rappresentato dalla IV Repubblica. Si tratta di un’opera polemica , ma con una significatività simile a quella del volumetto di Arrigo Solmi sulla riforma istituzionale italiana del 1924[36], che però accompagnava e non precedeva il procedimento di innovazione delle istituzioni statutarie.
Debré sosteneva che la Francia aveva bisogno di un Parlamento, ma che questo non doveva governare e che il Governo non poteva che situarsi attorno al Capo dello Stato, eletto da un collegio allargato. Il Governo ed il Primo Ministro dovevano essere responsabili davanti al Capo dello Stato e la loro responsabilità nei confronti del Parlamento doveva essere fatta valere solo in condizioni eccezionali. Debrè aggiungeva alla lista degli interventi l’incompatibilità tra mandato parlamentare e ministeriale e l’adozione del sistema maggioritario ad un turno solo[37].
Lelio Basso, preoccupato per il degenerare della situazione anche per l’ordinamento italiano, svolse invece una critica serrata alla debolezza delle forze politiche della Quarta Repubblica in tre lunghi saggi pubblicati su Problemi del socialismo nel secondo semestre del 1958[38], mentre nel novembre dell’anno precedente aveva concluso il volume Il principe senza scettro – Democrazia e sovranità popolare nella Costituzione[39]. Nella appendice all’ultima puntata del saggio sugli avvenimenti francesi Basso non aveva potuto che ribadire la strategia prospettata nel volume bilancio del primo decennale della Costituzione repubblicana .Egli sosteneva infatti che “nelle condizioni attuali del nostro Paese, la Costituzione ,anche non attuata, [era] una forza che i lavoratori d[ovevano] adoperare, perché essa offr[iva] nella lotta per l'attuazione del suo contenuto politico e del suo contenuto sociale, il terreno su cui po[tevano] cominciare a realizzarsi quegli incontri ,quelle alleanze e quelle convergenze che [erano] indispensabili a una politica di alternativa”[40].
Non era quella l’unica opportunità in un ordinamento che dal 1953 era in crisi di transizione e che era oramai caratterizzato da governi senza maggioranze organiche. Il caso francese evidenziava, indubbiamente, opportunità e pericoli differenti per i diversi partners e si pose- perlomeno sino alla caduta del Governo Tambroni nel luglio del 1960- come un vero e proprio spauracchio.
Durante la crisi francese di maggio il ceto politico italiano fu impegnato nella preparazione delle elezioni politiche generali del 1958, che si tennero il 25 maggio, e, durante il mese di giugno, nelle trattative difficili per la formazione di un bicolore tra DC e socialdemocratici . Gli avvenimenti francesi vennero, quindi, commentati in maniera istituzionale solo nel corso del dibattito sulla fiducia al II Governo Fanfani nel luglio successivo, ma vennero utilizzati come memento per l’elettorato in campagna elettorale . Su ciò che era accaduto in Francia si soffermarono significativamente alla Camera dei deputati De Marsanich, Nenni e Togliatti. De Marsanich sottolineò come il Presidente del Consiglio non avesse detto parola sul caso francese, nonostante la centralità di quel Paese per l’Europa e che in Francia si era “dissolto un sistema politico basato sulla partitocrazia, che non era davvero peggiore di quello vigente nel nostro paese.[41]
Nella seduta del 16 luglio Pietro Nenni ammise che “ negli eventi francesi [vi era] un insegnamento e un monito”,ossia “ che in Parlamento [era] pericoloso giocare al massacro ministeriale quando non si [avevano] altre soluzioni da offrire; che la vita democratica parlamentare imputridi[va] se i partiti e gli uomini si istalla[va]no nel compromesso ad esso sacrificando gli interessi e gli ideali dei qual i sono portatori[42].
Togliatti due giorni dopo affermò che in Francia era stato dato “un colpo mortale al regime parlamentare”, che non esisteva in essa “ancora oggi …un regime fascista”, ma “un regime di dittatura personale fondato essenzialmente sopra un apparato militare” e che si erano “ però create molte delle condizioni perchè si giung[esse] a un regime apertamente fascista”. La sua conclusione fu che, “mentre il Parlamento francese scompare dalla scena politica europea…. noi abbiamo il dovere di affermare la nostra fiducia ,come partito comunista, nel regime parlamentare e nel regime dei partiti politici , come base di democrazia politica a cui nel nostro paese non si può e non si deve rinunziare”[43].
Come è stato sottolineato da molti, fu proprio la forte strutturazione del sistema dei partiti italiani che garantì la persistenza dell’ordinamento e diede la possibilità allo stesso di evitare gli scogli dello Stato amministrativo tambroniano, un classico della proposta conservatrice su linea sonniniana[44]. Il sistema si sviluppò dunque,dopo le incertezze della transizione al centro-sinistra sulla linea dell’applicazione del dettato costituzionale e dell’integrazione delle forze politiche presenti nell’arena.
5- La dinamica cinquantennale della V Repubblica e la revisione del 2008- La dicotomia tra integrazione e riforma e poi il tentativo di superarla giustifica ampiamente la prospettiva assunta dal Convegno , che viene sintetizzata dalla prima parte dello stesso, sia dai relatori francesi che da quelli italiani.
I relatori francesi, le cui relazioni sono state distribuite, mettono in evidenza la coppia fondamentale istituzioni –partiti. In particolare, la prof.ssa Anne-Marie Le Pourhiet descrive in maniera lucida i mutamenti avvenuti sia dal punto di vista formale che sostanziale nell’assetto costituzionale francese di questi ultimi cinquanta anni e lo fa con una alta sensibilità storico-politica. Non soltanto Le Pourhiet evidenzia come nel tempo vi siano state profonde modifiche nella concezione presidenziale dopo l’uscita di scena di de Gaulle (ma la secolarizzazione investe anche lui sia nel 1965 che nel 1969), ma sottolinea come nell’ordinamento siano penetrati sempre più Stato di diritto, Europa e nuovi diritti.
Sul lato della sociologia politica Marc Lazar sottolinea con forza come l’ordinamento semipresidenziale francese non sia privo di partiti, ma come anzi gli stessi lo caratterizzino fortemente nelle varie fasi della sua vicenda storica. L’interazione tra sistema istituzionale e sistema dei partiti diventa dunque fondamentale per comprendere non soltanto la dinamica, ma quello che personalmente definisco come il successo del modello francese. Da un lato i partiti vengono attratti dalla forza di gravità delle istituzioni semipresidenziali, dall’altro essi sono divenuti sempre più indispensabili per i candidati alla massima carica dell’ordinamento.
Simili osservazioni non nascondono le debolezze della Costituzione e gli effetti (contraddittori) che la presidenzializzazione ha avuto sui partiti. Le Pourhiet sottolinea come la Costituzione sia stata “eretta a strumento di comunicazione del Presidente della Repubblica” e in questa dimensione parla di bougisme, concetto che potrebbe essere tradotto con movimentismo o con il più napoletano “fare ammuina” istituzionale. Un simile giudizio visto da citramontani è forse troppo severo e svuota gli elementi di riequilibrio che sono stati introdotti all’interno del sistema nel tempo, ma nello stesso tempo li relativizza.
Le osservazioni di Marc Lazar sugli effetti positivi che la presidenzializzazione ha avuto sulla vicenda del Union pour un Mouvement Populaire (UMP)[nato nel 2002 dalla confluenza dei neogollisti dell'RPR (Rassemblement Pour la République), dei liberali di DL (Démocratie Libérale), e di una parte dei centristi dell'UDF (Union pour la Démocratie Française)] e su quelli negativi che ha provocato nel Partito socialista e nelle formazioni minori sono- a mio parere- della più alta significazione per l’analisi del dibattito italiano .
La parte del Convegno dedicata all’esame delle innovazioni francesi del 2008 viste da alcuni studiosi italiani penso confermerà il giudizio che si tratti di un maquillage, anche attraverso l’esame dei lavori della commissione Balladur e di quelli parlamentari. Personalmente ritengo che la parte più rilevante degli interventi sia quella relativa ai contropoteri dell’opposizione e all’apertura alla giustizia costituzionale. Sono questi gli elementi caratterizzanti di un intervento che ha alla sua base l’esigenza di dare un senso all’azione ed una legittimazione alle assemblee parlamentari francesi, che vengono generalmente considerate non reattive. E’ questa una condizione che unisce tutti gli ordinamenti considerati stabili di democrazia d’investitura con strutture di partito forti o con forme di compensazione di un’eventuale debolezza partitica sul piano della forma di governo. In determinate circostanze le forme di governo presidenziali (e tutti facciamo riferimento al Congresso degli Stati Uniti) possono possedere assemblee reattive, ma la letteratura internazionale – sia di tipo politologico che costituzionalistico è concorde nel ritenere le forme di governo parlamentari di tipo monistico (razionalizzate o naturalistiche che siano) come caratterizzate da parlamenti deboli. In questa prospettiva sia laFrancia della V Repubblica, sia la Gran Bretagna di Brown sono caratterizzate da parlamenti deboli.
6-Le tre fasi dell’interpretazione italiana- L’analisi delle recenti revisioni del 2008 è preceduta da una valutazione di come il dibattito politico e dottrinale italiano ha giudicato la dinamica e l’eventuale importazione dell’assetto istituzionale della Quinta Repubblica. Essa è articolata in una periodizzazione in tre precise fasi, collegate con la dinamica politico – istituzionale francese ed nazionale, che si sono riflesse sul giudizio complessivo della manovra gaullista del 1958 e sugli stessi singoli elementi istituzionali.In tutti e tre i periodi i piloni fondamentali della cura da cavallo gaullista che nel 1958 investì partiti politici, sistema elettorale, politica delle fonti, rapporti governo-parlamento, poteri del Governo e del Presidente della Repubblica sono stati analizzati e trattati in maniera differenziata, ma sempre più laica, nell’ambito del dibattito italiano[45].
La prima fase, sintetizzata con il termine avversione ha coperto perlomeno il primo ventennio di storia della Costituzione gaullista e si è collegata con la fase di transizione italiana al centro-sinistra ed al periodo successivo alla crisi dello stesso. E’ evidente che l’atteggiamento dei soggetti è stato differente nel primo decennio ( se si vuole nei primi sette anni fino alle prime elezioni presidenziali dirette del 1965) caratterizzato dal potere carismatico di De Gaulle rispetto al secondo, dove,soprattutto con la presidenza Giscard, vi è stato un primo addolcimento del nuovo regime. Le forze politiche italiane favorevoli alla riforma francese furono- com’è noto- da un lato il MSI e ,dall’altro, il movimento per una Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi[46]. La dottrina giuspubblicistica, sostanzialmente collegata con la posizione del ceto politico, ebbe poche eccezioni nella sua avversione . Serio Galeotti e Fausto Cuocolo espressero forti e preoccupati dubbi sui rivolgimenti francesi( sostanzialmente convergenti con quelli di Elia e –più tardi- di un giovane Bassanini), mentre Gugliemo Negri , alla fine del suo Verso la quinta repubblica, sostenne-invece- che nel 1958 francese non ribolliva “l’avventura totalitaria”, ma si profilava “ la sagoma di nuove strutture,di nuovi istituti,di cui nel diritto costituzionale contemporaneo, in rapidissima evoluzione, quasi esiste il presentimento”[47]. Una simile apertura costituì, tuttavia, una sostanziale eccezione (tipica di alcuni settori repubblicani) nel panorama intellettuale del periodo.
In questa sede vorrei ricordare invece ( e pour cause in questo triste giorno di distacco) come tipico della fase dell’avversione, perché non viene mai citata in questo contesto, la posizione di Sergio Fois nel suo volume La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali [48], segnalandolo anche come estensore delle classiche sintesi di Mortati su Le forme di governo [49]che così profondamente hanno inciso sulla posizione della dottrina costituzionalistica. Per Fois era, infatti, la violazione della centralità parlamentare nella produzione normativa l’oggetto di maggiore preoccupazione e direi di scandalo.
C’è da dire che il giudizio sulla riforma gaullista in sé e quello sulla sua applicabilità per l’Italia si modificarono e anche rapidamente nel corso dei tre lustri successivi. In questa prospettiva la edizione finale del volume di Mortati, che è del 1973, evidenzia la stabilizzazione del giudizio sull’evoluzione del sistema francese, con il riconoscimento di un parco di poteri “più vasti di quelli dello stesso Presidente nordamericano”, ma anche che alla base “della formula costituzionale” si poneva la “presenza di una forte maggioranza parlamentare favorevole alla politica presidenziale”[50].La chiusa di Mortati su “la soddisfazione diffusa nel paese in considerazione della stabilità di indirizzo che esso assicura e che si rivela benefico, così da non fare rimpiangere il precedente regime parlamentare,di tipo ottocentesco,del tutto inidoneo a soddisfare le esigenze di uno Stato interventista nei rapporti economici”[51], evidenzia quel mutamento di prospettiva che nella seconda metà degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta una parte della classe dirigente, tra cui parte della dottrina giuspubblicistica evidenziarono in relazione alla situazione di stallo e di persistente crisi sistemica, successiva al fallimento dell’alleanza di centro-sinistra.
Il noto duplice dibattito tra giuspubblicisti sulla rivista Gli Stati, coordinato da Franco Cangini, evidenziò da un lato la consapevolezza della acutezza della crisi,dall’altro l’impossibilità di recepire le suggestioni nordamericane o quelle francesi, ma il riconoscimento che la soluzione francese era oramai legittimata e sgombra da ambiguità autoritarie. Il rafforzamento dell’asse Corpo elettorale,maggioranza, Governo, Presidente del Consiglio veniva ipotizzato con la recezione di innovazioni sul piano della forma di governo e del sistema elettorale. Il processo di omogeneizzazione delle forze politiche e sociali stava per convincere esponenti della dottrina costituzionalistica dell’opportunità di intervenire anche sul lato dei meccanismi elettorali selettivi . Ricordo in questa prospettiva non soltanto il commento di Mortati all’art. 1 della cost. nel Commentario Banca[52], ma anche le notazioni reperibili nelle varie edizioni del manuale di Lavagna[53].
Su tutto questo,all’interno della prima fase della transizione infinita che ha caratterizzato il sistema politico- costituzionale italiano interverrà Mauro Volpi, che – sul limite estremo del periodo- pubblicò un volume su La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e quinta repubblica francese[54].
Con ogni probabilità egli ha cambiato parere su alcuni elementi dell’analisi da lui allora operata, ma proprio questo favorirà la comprensione del mutamento di prospettiva intervenuto. [55]Ma avevano cambiato parere anche altri tra i soggetti che intervennero in questo periodo. Ricordo tra gli altri ,ovviamente, Serio Galeotti, della cui evoluzione parlerà Rino Casella concentrandosi sul momento di svolta del 1966 al Convegno di Dottrina dello Stato di Trieste, o Guglielmo Negri e Fausto Cuocolo, ma anche Leopoldo Elia e di Franco Bassanini, che seguirono con attenzione l’evoluzione francese nel tempo, mentre già durante gli anni Sessanta alcuni autori avevano incominciato a recuperare alcuni pezzi della riforma gaullista sul piano del sistema elettorale( penso in particolare a Domenico Fisichella o a Giovanni Sartori in chiave di selezione delle opposizioni antisistema).
La seconda fase intitolata con il termine la recezione (meglio sarebbe stato dire il tentativo di recezione) è stato affidato a Giuliano Amato, i cui interventi istituzionali sin dal 1976 avevano animato la discussione istituzionale[56]. La proposta di adozione di un “semipresidenzialismo” souple operata a Trevi, al fine di riaggregare anche attraverso la riforma del sistema elettorale il sistema politico italiano, costituì un significativo sdoganamento di alcuni aspetti del sistema francese, che dopo la riforma costituzionale giscardiana del 1974, stava addolcendo il suo carattere maggioritario e che – dopo il 1981- con la vittoria mitterandiana aveva assunto una significazione differente rispetto al passato. Le ragioni sistemiche e nello stesso partigiane della proposta ve le spiegherà Lui in alternativa con le suggestioni del Governo di legislatura di Gianfranco Miglio[57],abbracciato dalla dirigenza democristiana o al recupero- senza traduzione- del modello francese, che veniva suggerito soprattutto dal MSI.
In quegli anni – cui Marco Gervasoni dedica nel suo intervento interessanti riflessioni – il blocco del sistema politico italiano vide – al di là delle macrodiscussioni culminate nella Commissione bicamerale presieduta da Bozzi- il tentativo di adottare riforme infrasistemiche che potessero smontare il meccanismo consociazionistico che il periodo degli anni Settanta aveva costruito. In quest’ambito tutti i pezzi dell’assetto francese entrarono in gioco e vennero tradotti in italiano nel dibattito infinito delle riforme istituzionali. Dal sistema elettorale maggioritario a doppio turno che verso la fine degli anni Ottanta verrà sposato da esponenti del maggior partito di opposizione, fino ad arrivare alle innovazioni relative alla politica delle fonti di cui è pervasa la legge n. 400 del 1988.
La terza fase è stata definita come l’impossibile adozione è affidata ad Oreste Massari, che sostituisce da par suo Augusto Barbera, trattenuto in quel di Zola Predosa dalla selezione delle candidature a sindaco di quel comune della cintura bolognese.
Massari, che non è come Barbera un cultore del duvergismo, dovrebbe analizzarla alla luce di un percorso, che- dopo il successo dei referendum del 1991 e del 1993- ha visto – a seguito della crisi di regime- importanti interventi sull’assetto costituzionale nell’ambito di un riallineamento epocale del sistema partitico. Il suo intervento si concentrerà sul tornante della Commissione D’Alema e sulla adozione del cosiddetto semipresidenzialismo nel grande gioco della transizione infinita. Negli anni Novanta i nuovi partiti apparsi nell’arena recepirono le suggestioni francesi. AN non aveva bisogno di stimoli, il Polo delle libertà lo propose nel programma, il Governo Berlusconi si lasciò aperta l’alternativa tra premierato e semipresidenzialismo, mentre i costituzionalisti stimolati dall’ondata costituzionale nei paesi dell’est europeo scoprirono il semipresidenzialismo, alcuni identificandolo tout court con il modello francese[58], altri più cautamente con una forma di governo a possibilità multiple[59].
7- La conclusione della transizione italiana e la quarta fase nel rapporto con le istituzioni francesi.
Passo rapidamente alle conclusioni. Le più recenti innovazioni costituzionali francesi saranno esaminate anche nella prospettiva italiana da Beniamino Caravita(Esecutivo), da Paolo Ridola (Legislativo) e da Alfonso Di Giovine( Controlli). La loro analisi e quelle delle comunicazioni di settore (penso in particolare all’intervento sullo Statuto dell’opposizione di Stefano Ceccanti, ma anche ai lavori di Paola Piciacchia e Simone Benvenuti) forniranno indicazioni precise sul giudizio della dottrina italiana sulla più recente evoluzione francese, mentre la tavola rotonda finale esprimerà l’opinione di esponenti qualificati del ceto politico.
Personalmente penso che la prospettiva di una quarta fase nel rapporto con le istituzioni francesi lasci spazio alla eventualità di una possibile adozione di alcuni elementi delle stesse. E’ questo un giudizio che non coinvolge altri che chi parla, ma è bene dirlo in maniera esplicita.
Vorrei, a questo proposito, sottolineare quattro punti fermi:
1. Questo convegno vuole esaminare laicamente il modello francese, traendolo fuori da anatemi anacronistici o dall’esclusivismo particolaristico della elezione diretta del Capo dello Stato.
2. La capacità di reazione alle sfide dell’ultimo cinquantennio della Costituzione del 1958 ha evidenziato che la cura istituzionale gaullista ha sostanzialmente funzionato.
3. La suggestione istituzionale francese è stata incrementale ed è forte in Italia, ma bisogna guardarsi dal decontestualizzare gli interventi.
4. La forma di governo parlamentare razionalizzata a tendenza presidenziale pare più elastica ed adattabile del premierato rigido sostenuto dagli emuli di Duverger.
Evidenziati questi punti, si può anche dire, in maniera sintetica, che nelle democrazie di massa contemporanee i meccanismi istituzionali servono, ma sono necessari anche i partiti e che entrambi devono essere adeguati alle esigenze dei contesti di riferimento. Istituzioni senza partiti strutturati e animati da una partecipazione democratica portano al pericolo plebiscitario, partiti pervasivi e frammentati senza istituzioni forti conducono all’instabilità e all’occupazione personalistica e/o correntizia delle strutture statuali.
La Francia della V Repubblica, anche alla luce delle recenti revisioni costituzionali degli ultimi anni, non sta-dunque- perdendo le proprie caratteristiche, le sta solo adeguando- come ha ribadito Fillon l’anno scorso in Parlamento in singolare continuità con le posizioni di Debré – alle esigenze di equilibrio tra gli organi costituzionali ed i soggetti in campo.
La ristrutturazione del sistema politico-istituzionale italiano dura, invece, da troppi anni e non evidenzia scelte sufficientemente coraggiose. Il riallineamento partitico ha prodotto nel 2008 forti cambiamenti, ma esso non si è ancora definitivamente consolidato. Mancano i partiti, manca la partecipazione politica, manca la coerenza nel disegno istituzionale complessivo. Manca in sostanza l’equilibrio.
Come in Francia la maggioranza di Governo sembra rafforzata dalla vittoria elettorale, ma l’incoerenza dei meccanismi elettorali e la reazioni della Opposizione alla sconfitta e la persistente disomogeneità della maggioranza rischiano di indebolire i due maggiori soggetti e ritardare la conclusione di un processo che le sfide della crisi richiedono in maniera urgente.
Abbiamo celebrato nell’ultimo triennio il sessantennale della Costituzione repubblicana, che oramai è affidata alle nuove forze politiche del post-1993 e ai cittadini. Costituzionalisti come Leopoldo Elia e Valerio Onida, sulla base delle suggestioni di Giuseppe Dossetti a Monteveglio , radicano la Costituzione su piastri oramai esogeni ( le quattro libertà di Roosevelt e l’Europa). Il rischio di una riscrittura del patto è molto alto, mentre la sua rilegittimazione stava alla base della proposta della Commissione bicamerale del 1997. L’appello alla responsabilità dei partners è sempre più necessario al fine di adeguare le strutture della casa comune in un periodo in cui la coesione sociale verrà messa in pericolo. La speranza è sempre quella che si raggiunga un compromesso efficiente tra i soggetti politicamente rilevanti, quello che Mortati auspicava già nel corso dei lavori della Commissione Forti.
[1]V. A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia moderna,Torino,Einaudi,1952,p.9; G. Negri , Verso la Quinta Repubblica.L'evoluzione costituzionale contemporanea in Francia, Pisa,Nistri-Lischi,1958,p.5.
[2]C. Ghisalberti,Le costituzioni giacobine (1796-1799) ,Milano, Giuffrè,1957 |
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;idem,Dall'antico regime al 1848 : le origini costituzionali dell'Italia moderna,Bari,Laterza,1987. |
[3]M.Galizia,Diritto costituzionale(profili storici),in “Enciclopedia del diritto”,vol.XII,p.962.
[4]Idem,p.964.
[5]V. D. Zanichelli(a cura di ), Lo Statuto di Carlo Alberto secondo i processi verbali del Consiglio di conferenza dal 3 febbraio al 4 marzo 1848,Roma,Dante alighieri,1898, ma v. anche G. Negri-S. Simoni,Lo statuto albertino e i lavori preparatori,roma,Colombo,1989.
[6]V. A. Baldassarre-C.Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale : da De Nicola a Pertini, Roma -Bari, Laterza, 1985.
[7]V. per questo riassuntivamente E.A. Albertoni,La teoria della classe politica nella crisi del parlamentarismo,Milano,Cisalpino,1968.
[8]V. F. Lanchester,La rappresentanza in campo politico e le sue trasformazioni,Milano,Giuffrè,2006.
[9]V. C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus,Berlin,Duncker& Humblot,19262.
[10]V. A.L.Lowell, Governments and Parties in Continental Europe , London, Longmans, Green, 1896(2 voll.) |
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[11]V.E.Crosa, Lo Stato parlamentare in Inghilterra e in Germania,Pavia,Facoltà di Scienze politiche,1929
[12]V.A.Giannini, Tendenze costituzionali,Bologna,Zanichelli,1933.
[13]V. B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel,Paris,Giard,1931
[14]V. G. Burdeau, Le regime parlementaire dans les constitutions europeennes d'apres guerre, Paris, Editions internationals,1932.
[15]V.L. Rossi, La “elasticità” dello Statuto italiano,in “Scritti giuridici in onore di Santi Romano”,Padova,Cedam,vol.I,1940,pp.25 ss..
[16]V.C.Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano, Giuffrè, 1940.
[17]V. riassuntivamente B. Mirkine- Guetzévitch, Le Costituzioni europee,Milano,comunità,1954,pp.39 ss.
[18]V. U. De Siervo,Le idee e le vicende costituzionali in Francia nel 1945 e 1946 e la loro influenza sul dibattito italiano , in “Scelte della costituente e cultura giuridica.I : Costituzione italiana e modelli stranieri”, a cura dello stesso,Bologna,Il Mulino ,1980, pp.293 ss.
[19]V.S.Guerrieri,Due Costituenti e tre referendum.La nascita della Quarta Repubblica francese,Milano,Franco Angeli,1998
[20]V. F. Lanchester, I partiti e il sistema elettorale nel pensiero di Piero Calamandrei ,in “Piero Calamandrei.Ventidue saggi su un grande maestro”,a cura di P. Barile,Milano,Giuffrè,1990,pp.417 ss.n 22 saggi su un grande maestro
[21]V.G.Guarino, La stabilità del governo e la garanzia dei diritti delle minoranze nei dibattiti costituzionali in Francia, in “Rassegna di Diritto pubblico,” 1946,pp.150 ss . e poi G. Guarino,Lo scioglimento delle assemblee parlamentari,Napoli,Jovene,1948.
[22]V.Biscaretti di Ruffia,Cronaca costituzionale straniera, in “Rivista di diritto pubblico” ,1947.
[23]V.A.Amorth,Corso di diritto costituzionale comparato : (Stati Uniti d'America, Inghilterra, Svizzera, Unione Repubbliche socialiste sovietiche, la nuova costituzione della Francia),Milano,Giuffrè,1947.
[24]V.A.Giannini, La Costituzione francese del 1946,in “Rivista di diritto pubblico”,1948,I,pp.210 ss.
[25]V.G.D.Ferri, Trasformazioni e incertezze costituzionali,in “Annali di diritto pubblico”,XXV,1950,pp.137 ss
[26]V.F. Pierandrei, La costituzione della IV Repubblica francese, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”,1951,pp.713 ss.
[27]V.F. Cuocolo ,Il difficile cammino della costituzione francese,in “Civitas” ,1954,luglio
[28]V. C. Mortati(a cura di), La Costituzione di Weimar, Firenze,Sansoni,1946.
[29]A. Tesauro,Il sistema parlamentare nell'ordinamento inglese ed in quello francese ed italiano, in “Rassegna di diritto pubblico”,1952,I,pp.121 ss.
[30]V. C. Lavagna, ll sistema elettorale nella Costituzione italiana, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”,1952,pp. 849 ss..
[31]V. C. Lavagna, Considerazioni sui caratteri degli ordinamenti democratici,in idem,1956,pp. 392 ss..
[32]V. G. Maranini, Governo parlamentare e partitocrazia, Lezione inaugurale dell'Anno Accademico dell'Università di Firenze 1949-1950,Firenze,Ed. universitaria,1950.
[33]V.G. Perticone, La torre di Babele : Italia 1949,Roma-Firenze,Leonardo-Sansoni,1949.
[34]V. per questo F. Cuocolo ,Il difficile cammino della costituzione francese,in “Civitas” ,1954,luglio.
[35]V. M. Debré,Ces princes qui nous gouvernent…,Paris,Plon,1957
[36]V.A. Solmi,La riforma istituzionale,Milano,Alpes,1924
[37]V. M. Debré,Ces princes qui nous gouvernent…,cit.,pp.174 ss.
[38]V. L. Basso,La crisi della democrazia francese e le sue cause,
in “Problemi del socialismo”,1958,n.6,pp.407 ss.; n.7,pp.487 ss.;
n.8,pp.567 ss. con un’appendice su Cose di Francia e d'Italia,pp.588 ss.
[39]V. L. Basso,Il principe senza scettro -Democrazia e sovranità popolare nella Costituzione,Milano,Feltrinelli,1958.
[40]V. L. Basso,Cose di Francia e d'Italia,in “Problemi del socialismo”,cit.p.599.
[41]V.III legislatura,seduta del 15 luglio 1958, p.204
[42]V. III legislatura,seduta del 16 luglio 1958, p.307-
[43]V. III legislatura,seduta del 18 luglio 1958,p.425.
[44]V. F. Tambroni, Un governo amministrativo, Roma , Les problemes de l'Europe, 1960
[45]In questa prospettiva pare eccessivamente sezionale la pregevole trattazione di Carlo Fusaro,L'Italia e il modello della Quinta Repubblica: dall'odio, all'amore… e al dubbio,in “Forum di Quaderni costituzionali”, tutta incentrata sulla ipotesi dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
[46] V. R.Pacciardi,Il Partito repubblicano fuori strada,Roma,ADE,1960 e Per una nuova repubblica,Ravenna,A.R.A.,1964.
[47]G. Negri , Verso la Quinta Repubblica.L'evoluzione costituzionale contemporanea in Francia,cit.,
[48]V. S. Fois, La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali,Milano, Giuffrè, 1962.
[49]V. C. Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato tenute dal prof. Costantino Mortati, raccolte dall'assistente prof. Sergio Fois,anno accademico 1957-58 / Università degli studi di Roma, Facoltà di scienze politiche, Roma, Edizioni Ricerche, 1958, pp.273-274.
[50]V.C. Mortati, Le forme di governo : lezioni, Padova, Cedam,1973
[51]Idem,p.274.
[52]v.C.Mortati,art.1, in “Commentario alla Costituzione : Principi fondamentali : Art. 1-12 “, a cura di Giuseppe Branca”, Bologna -Roma , Zanichelli – Soc. ed. del Foro italiano, 1975.
[53]V.C. Lavagna,Istituzioni di diritto pubblico,Torino,UTET,1973,1976,1982.
[54]V. M. Volpi, La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e 5. repubblica francese,Bologna,Il Mulino,1979.
[55]V. P.L.Zampetti(a cura di), La funzionalità dei partiti nello Stato democratico : atti del 1. Congresso nazionale di dottrina dello Stato, Milano,La nuova Europa,1967.
[56]V. G. Amato, Una repubblica da riformare : il dibattito sulle istituzioni in Italia dal 1975 a oggi,Bologna,Il Mulino,1980.
[57]V. G.Miglio(a cura di),Verso una nuova costituzione, Ricerca promossa dal CESES su “Costituzione vigente e crisi del sistema politico: cause ed effetti”,Milano,Giuffrè,1983,2 voll..
[58]V.A.Rinella, La forma di governo semi-presidenziale : profili metodologici e circolazione del modello francese in Europa centro-orientale,Torino , G. Giappichelli, [1997
[59]V. S. Ceccanti- O. Massari- G. Pasquino, Semipresidenzialismo :analisi delle esperienze europee ,Bologna,Il Mulino,1996; A.Giovannelli (a cura di),Il semipresidenzialismo : dall'arcipelago europeo al dibattito italiano,Torino,giappichelli,1998; A. Canepa,Il sistema semipresidenziale aspetti teorici e di diritto positivo,Torino,Giappichelli,2000. |
LA TRANSIZIONE ITALIANA E LA QUARTA FASE NEL RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI FRANCESI DELLA QUINTA REPUBBLICA
di
Fulco Lanchester
Sommario:0-Ringraziamenti;1-L’occasione ed il taglio del Convegno – 2-Francia – Italia: le radici di un rapporto sempre presente; 3-Il periodo delle tre Costituenti e la vicenda della IV Repubblica; 4-Le due linee; 5- La dinamica cinquantennale della V Repubblica e la revisione del 2008-; 6-Le tre fasi dell’interpretazione italiana;7-Conclusioni: la transizione italiana e la quarta fase nel rapporto con le istituzioni francesi.
0-Ringraziamenti- Mio compito è quello di introdurre in maniera sintetica i lavori di questo Convegno. A questo fine, prima di tutto, sono tenuto , anche a nome dei rispettivi Centri che hanno promosso la presente iniziativa , ad operare ringraziamenti non formali nei confronti del Presidente della Camera dei Deputati on. Gianfranco Fini per la Sua presenza attiva e per la concessione di questa prestigiosa Sala del Refettorio come sede del Convegno .
Ringrazio e saluto, inoltre, i relatori (stranieri ed italiani) e tutti i partecipanti a questo Convegno, che impegna specialisti di differenti discipline(ma soprattutto costituzionalisti) in una riflessione corale sulle istituzioni francesi della V Repubblica anche alla luce delle recenti innovazioni costituzionali del 2008.
Cercherò,dunque, di spiegarne in maniera sintetica le ragioni ed il taglio.
1- L’occasione ed il taglio del Convegno – A cinquanta anni dalla promulgazione della Costituzione francese del 1958 e in occasione di quello che deve essere considerato come l’importante, ma non stravolgente, maquillage costituzionale dell’anno scorso, la nostra odierna riflessione assume aspetti di originalità e si inserisce in un biennio di anniversari importanti per gli ordinamenti francese, tedesco,spagnolo ed italiano. Non soltanto l’anno scorso si sono commemorati i sessanta anni della promulgazione della Costituzione repubblicana , i cinquanta di quella della quinta repubblica francese e i trenta di quella spagnola, ma quest’anno ci accingiamo a ricordare i novanta della Costituzione weimariana, cui il Centro di Teoria dello Stato prevede di dedicare uno specifico Convegno nel prossimo ottobre, ed i sessanta del Grundgesetz di Bonn. L’incrocio Francia, Germania,Italia e Spagna costituisce- com’è noto- oramai un classico della riflessione costituzionalistica e politologica e non ha bisogno di essere giustificato, perché apparirà sullo sfondo di tutto il Convegno. Esso viene utilizzato non soltanto per comparare i singoli rendimenti istituzionali ,ma soprattutto per verificare le capacità delle singole classi dirigenti e dei rispettivi ceti politici di individuare in maniera più o meno autonoma assetti istituzionali capaci di rispondere alle domande materiali ed immateriali delle società civili di riferimento.
Ciò che desidero sottolineare è, soprattutto , il taglio dell’iniziativa odierna. Essa non vuole ripetere l’angolazione tradizionale di altre importanti iniziative francesi ed italiane , che hanno adottato almeno ufficialmente gli occhiali di Oltralpe per valutare l’esperienza e le novità dell’esperienza costituzionale gaullista.
La prospettiva da noi adottata assume esplicitamente un taglio storico-critico, in cui il dibattito ed rendimento istituzionale francese viene valutato nella prospettiva della prassi e della dinamica politico-costituzionale italiana nel cinquantennio trascorso, anche sulla base delle posizioni del ceto politico e della dottrina istituzionalistica( in cui comprendo giuspubblicisti e scienziati della politica) .
2-Francia-Italia: le radici di un rapporto sempre presente -Le radici problematiche che giustificano questo Convegno sono quelle già segnalate da Armando Saitta nel 1952 e ricordate da Guglielmo Negri nel 1958 ossia “la consapevolezza di un intimo parallelismo fra la situazione [francese] e quella dell’Italia”[1], almeno dal secondo dopoguerra. Sotto il profilo più ampio e, a mio avviso, più proficuo della storia costituzionale e di storia della cultura istituzionale un simile elemento, per analogia e per contrasto, ha caratterizzato la vicenda degli ultimi due secoli di entrambi gli ordinamenti. L’interesse-invero asimmetrico-, che ha caratterizzato le classi dirigenti ( ed in particolare ceto politico e dottrina istituzionalistica) per origini e svolgimento dei reciproci assetti istituzionali, costituisce un filo di Arianna per la comprensione dei rispettivi avvenimenti ed una bussola per le discussioni più recenti.
L’asimmetria in questo specifico campo è fornita dalla storia. Il periodo rivoluzionario francese e le vicende napoleoniche hanno inciso profondamente sullo sviluppo del nostro costituzionalismo e sulle nostro istituzioni, come ben ha dimostrato Carlo Ghisalberti.[2] Dal punto di vista della cultura giuridico – costituzionale, come ci ha ricordato –invece- Mario Galizia[3], la prima cattedra italiana di Diritto costituzionale (cispadano e giuspubblico universale) venne istituita per Giuseppe Compagnoni nel marzo 1797 presso l’Università di Ferrara, seguita da quelle di Pavia per l’Alpruni e di Bologna per l’Algerat, promosse dal ciclo costituzionale importato in Italia. D’altro canto, non bisogna dimenticare che la prima cattedra di Diritto costituzionale istituita in Francia nel 1834 fu attribuita da François Guizot, allora ministro della Pubblica istruzione, a Pellegrino Rossi, un intellettuale europeo ed un precursore delle scienze politiche, con cui aveva avuto esperienze comuni ginevrine e che non ultimo fra i giuspubblicisti venne assassinato,com’è noto, in questa città il 15 novembre di centosessant’anni fa.
Lo stesso Statuto albertino, prodotto nell’ambito del Consiglio di conferenza del Regno di Sardegna, era stato profondamente influenzato dal modello costituzionale della Restaurazione francese[4] (si potrebbe aggiungere che venne redatto in francese, lingua della classe dirigente piemontese)[5]. E’ questo un dato di fatto che spiega l’acuto interesse della dottrina italiana per le prime esperienze parlamentari d’Oltralpe ed in fatto che ad es. un costituzionalista come Leopoldo Elia, di cui affettuosamente sentiamo tutti la mancanza, si sia laureato nel 1947 con Vincenzo Gueli ed una tesi su l’avvento del regime parlamentare in Francia tra il 1815 e il 1830 o che,alla metà degli anni Ottanta, gli schemi interpretativi di Antonio Baldassarre e Carlo Mezzanotte( anche Lui recentemente scomparso) per giudicare la dinamica della Presidenza della Repubblica nella recente storia italiana derivassero da quel periodo preciso, previa ovvia reinterpretazione[6].
D’altro canto tutto il periodo liberale oligarchico unitario ha avuto come protagonista la tensione tra l’archetipo(empirico) britannico e il parlamentarismo rappresentato in maniera tipica dall’esempio francese, cui una parte della classe dirigente e del ceto politico propendevano nella prassi.[7] La stessa espressione parlamentarismo, anche con il suo significato valutativo negativo, ha –d’altro canto- le sue origini nella Francia della seconda repubblica e nella contrapposizione, sottolineata da Victor Hugo nei primordi della società di massa basata sul suffragio maschile, tra libertà della tribuna e personalizzazione cesaristica del potere[8] . Si tratta del tornante, ben descritto da Carl Schmitt, in un’opera scarnificante degli anni Venti, tra epoca classica delle istituzioni parlamentari e politica di massa[9], che ancora oggi mantiene una sua validità.
Le dinamiche istituzionali e sociali della III Repubblica e dell’Italia successiva all’avvento al potere della Sinistra storica avevano analogie già ampiamente riconosciute da Abbot Lawrence Lowell nei due volumi Governments and Parties in Continental Europe [10] alla fine del secolo XIX, mentre e vicende degli anni Venti del secolo XX rafforzarono l’interesse per le analisi dei percorsi tedesco ed italiano, due liberal-democrazie che in poco tempo implosero in avventure autoritarie o totalitarie. Emilio Crosa[11] e Amedeo Giannini[12]– il primo sulla base delle suggestioni di un costituzionalista come Robert Redslob, fortemente influenzato dalle suggestioni di un assertore dell’Impero liberale come Prevost Paradol, il secondo dalle analisi comparatistiche della coppia Boris Mirkine Guétzevitch[13] e Georges Burdeau[14]– affrontarono in maniera tipica i problemi dell’instabilità degli assetti delle liberal-democrazie nel primo dopoguerra, accompagnando la riflessione che giuspubblicisti non formalisti come Luigi Rossi[15] e Costantino Mortati[16] portavano avanti sul tema dell’elasticità della Costituzione o del rapporto tra Costituzione formale e costituzione in senso materiale.
Il dibattito francese sulla terza Repubblica e la necessità di innovazioni adeguate fu sempre presente in ambito italiano, nonostante la divaricazione del periodo fascista. Il ceto politico e la dottrina, che operavano all’interno dell’ordinamento fascista, trovavano nelle convulsioni della terza Repubblica , caratterizzata da spinte contraddittorie, da persistente instabilità e richieste di riforma che rafforzassero l’Esecutivo( basti pensare all’azione e all’opera di Leon Blum) conferme sulla bontà della soluzione italiana, mentre il fuoriuscitismo concentrato soprattutto Oltralpe viveva quotidianamente i dibattiti della stessa.
Anche dopo il crollo francese nel giugno del 1940 e l’assunzione del potere da parte del Maresciallo Petain l’interesse per gli avvenimenti francesi non si placò, se è vero che negli appunti Mortati sono recuperabili tracce di una relazione dell’amministrativista Mario Nigro sul progetto di Costituzione petainista.
3-Il periodo delle tre Costituenti e la vicenda della IV Repubblica- Durante il periodo di ricostruzione democratica,che seguì il dibattito interno alla Resistenza[17], caratterizzato dalla due costituenti francesi e da quella italiana, come è stato osservato dallo stesso Saitta (ma anche successivamente in maniera analitica dallo stesso Ugo De Siervo[18]), le vicende costituzionali francesi del secondo dopoguerra influenzarono profondamente il dibattito italiano e le soluzioni prescelte dai soggetti politicamente rilevanti . I tempi della ricostruzione istituzionale italiana si sono- com’è noto- incrociati con la prima e la seconda Costituente francese tra il 1945 e il 1946[19], mentre la vita tormentata della IV Repubblica ha costituito un costante riferimento per i primi anni della refrigerata esperienza costituzionale repubblicana.
In entrambi i casi vi fu una comune riflessione sulle cause della crisi delle democrazie liberali nel primo dopoguerra, sugli effetti dell’intervento delle masse sugli assetti istituzionali, sui pericoli dell’instabilità e della debolezza governativa, sulla necessità di allargare e rendere operanti le dichiarazioni formali relative ai diritti sociali in un mondo caratterizzato da una divisione di potenza bipolare. In entrambi gli ordinamenti, sulla base del panorama politico esistente e degli interessi conflittuali risultanti, simili furono i risultati, anche se ben più esplosivo fu per l’ordinamento francese il problema esterno della decolonizzazione, che ne provocò l’implosione.
Non è quindi fortuito che il mondo politico e la stessa dottrina costituzionalistica siano stati sempre molto attenti in quegli anni al caso francese. Non mi riferisco solo alle posizioni di Calamandrei durante il periodo Costituente in cui le suggestioni azioniste nei confronti del modello presidenziale in realtà si sovrapponevano alla esigenza di recuperare compattezza sul piano programmatico di governo[20], ma alla implicita recezione di molte soluzioni ed ai continui riferimenti che gli stessi esponenti dei grandi partiti di massa italiani facevano alla situazione francese .
Nell’ambito dottrinario le analisi successive alla grande spaccatura dell’alleanza antifascista collegarono tra loro le esperienze francese,tedesca ed italiana( penso a Guarino[21], a Biscaretti[22],a Amorth[23],a Amedeo Giannini,[24]a Ferri[25],a Pierandrei[26],a Cuocolo[27]), ma l’interesse per il caso tedesco rimase più concentrato su Weimar (penso in maniera esemplare a Mortati[28] ), per la peculiarità della ricostruzione istituzionale tedesca condizionata in modo esplicito dall’influenza esogena delle forze occupanti.
La ripresa dell’instabilità ministeriale in Francia, ma soprattutto l’esistenza di partiti considerati se non anticostituzionali sicuramente antisistema, fece si che ceto politico e dottrina italiana guardassero con grande attenzione alle vicende della Quarta Repubblica. La stessa strategia istituzionale delle maggioranze di Governo nei due paesi risultò caratterizzata dalla necessità di rafforzare l’area centrale del sistema sulla base della manovra elettorale che in Francia generò la cosiddetta loi scélérate ed in Italia la cosiddetta legge truffa, la cui ratio istituzionale venne in maniera esemplare giustificata da Alfonso Tesauro[29],allora senatore democristiano, mentre Carlo Lavagna provvedeva in più interventi a sottolineare non soltanto le posizioni della specularità sostenute dalla sinistra non integrata[30], ma – successivamente – una linea di sviluppo per l’integrazione difficile.[31]
La critica alla partitocrazia,secondo il neologismo inventato da Giuseppe Maranini nel 1949[32] e supportato implicitamente dalle analisi di Giacomo Perticone[33], non faceva che riflettere la polemica contro lo strapotere dei partiti che costituiva il filo della posizione gaullista già nei grandi discorsi di Bayeux e di Epinal dell’estate 1946 e che porteranno al 1958. L’Italia post-fascista si era, invece, ricostruita sulla base di partiti di massa ben più strutturati e con una convergenza valoriale superiore di quelli francesi . I moti peristaltici e l’agonia della Quarta Repubblica vennero, dunque, visti con molta preoccupazione, soprattutto dopo il fallimento della cosiddetta legge truffa in Italia e la incapacità della réformette costituzionale francese del 1954 di invertire la tendenza involutiva[34] .
D’altro canto la Quarta Repubblica, che come sostenne icasticamente Raymond Aron alle soglie degli anni Cinquanta , poteva durare ma non innovare, crollò sulla base di crisi esogene rappresentate dal processo di decolonizzazione prima vietnamita e poi algerino. Mentre in quegli anni in Italia la crisi dell’alleanza centrista portava alla riscoperta della strategia della Costituzione come strumento per l’integrazione delle forze antisistema – da un lato- e per l a trasformazione pacifica dell’ordinamento dall’altro, il sistema francese giunse nella primavera del 1958 al punto di non ritorno.
4-Le due linee- Due linee si posero in quegli anni in singolare alternativa nei due rispettivi ordinamenti, tanto da poter essere tra loro strettamente collegate nei giorni dell’implosione della Quarta Repubblica. Esse sono rappresentate in maniera significativa da un lato da Michel Debré, dall’altro da Lelio Basso .
Nel settembre del 1957 Michel Debré pubblicò un pamphlet intitolato Ces princes qui nous gouvernent[35], in cui si auspicava la fine dell’ordinamento impotente ed oligarchico rappresentato dalla IV Repubblica. Si tratta di un’opera polemica , ma con una significatività simile a quella del volumetto di Arrigo Solmi sulla riforma istituzionale italiana del 1924[36], che però accompagnava e non precedeva il procedimento di innovazione delle istituzioni statutarie.
Debré sosteneva che la Francia aveva bisogno di un Parlamento, ma che questo non doveva governare e che il Governo non poteva che situarsi attorno al Capo dello Stato, eletto da un collegio allargato. Il Governo ed il Primo Ministro dovevano essere responsabili davanti al Capo dello Stato e la loro responsabilità nei confronti del Parlamento doveva essere fatta valere solo in condizioni eccezionali. Debrè aggiungeva alla lista degli interventi l’incompatibilità tra mandato parlamentare e ministeriale e l’adozione del sistema maggioritario ad un turno solo[37].
Lelio Basso, preoccupato per il degenerare della situazione anche per l’ordinamento italiano, svolse invece una critica serrata alla debolezza delle forze politiche della Quarta Repubblica in tre lunghi saggi pubblicati su Problemi del socialismo nel secondo semestre del 1958[38], mentre nel novembre dell’anno precedente aveva concluso il volume Il principe senza scettro – Democrazia e sovranità popolare nella Costituzione[39]. Nella appendice all’ultima puntata del saggio sugli avvenimenti francesi Basso non aveva potuto che ribadire la strategia prospettata nel volume bilancio del primo decennale della Costituzione repubblicana .Egli sosteneva infatti che “nelle condizioni attuali del nostro Paese, la Costituzione ,anche non attuata, [era] una forza che i lavoratori d[ovevano] adoperare, perché essa offr[iva] nella lotta per l'attuazione del suo contenuto politico e del suo contenuto sociale, il terreno su cui po[tevano] cominciare a realizzarsi quegli incontri ,quelle alleanze e quelle convergenze che [erano] indispensabili a una politica di alternativa”[40].
Non era quella l’unica opportunità in un ordinamento che dal 1953 era in crisi di transizione e che era oramai caratterizzato da governi senza maggioranze organiche. Il caso francese evidenziava, indubbiamente, opportunità e pericoli differenti per i diversi partners e si pose- perlomeno sino alla caduta del Governo Tambroni nel luglio del 1960- come un vero e proprio spauracchio.
Durante la crisi francese di maggio il ceto politico italiano fu impegnato nella preparazione delle elezioni politiche generali del 1958, che si tennero il 25 maggio, e, durante il mese di giugno, nelle trattative difficili per la formazione di un bicolore tra DC e socialdemocratici . Gli avvenimenti francesi vennero, quindi, commentati in maniera istituzionale solo nel corso del dibattito sulla fiducia al II Governo Fanfani nel luglio successivo, ma vennero utilizzati come memento per l’elettorato in campagna elettorale . Su ciò che era accaduto in Francia si soffermarono significativamente alla Camera dei deputati De Marsanich, Nenni e Togliatti. De Marsanich sottolineò come il Presidente del Consiglio non avesse detto parola sul caso francese, nonostante la centralità di quel Paese per l’Europa e che in Francia si era “dissolto un sistema politico basato sulla partitocrazia, che non era davvero peggiore di quello vigente nel nostro paese.[41]
Nella seduta del 16 luglio Pietro Nenni ammise che “ negli eventi francesi [vi era] un insegnamento e un monito”,ossia “ che in Parlamento [era] pericoloso giocare al massacro ministeriale quando non si [avevano] altre soluzioni da offrire; che la vita democratica parlamentare imputridi[va] se i partiti e gli uomini si istalla[va]no nel compromesso ad esso sacrificando gli interessi e gli ideali dei qual i sono portatori[42].
Togliatti due giorni dopo affermò che in Francia era stato dato “un colpo mortale al regime parlamentare”, che non esisteva in essa “ancora oggi …un regime fascista”, ma “un regime di dittatura personale fondato essenzialmente sopra un apparato militare” e che si erano “ però create molte delle condizioni perchè si giung[esse] a un regime apertamente fascista”. La sua conclusione fu che, “mentre il Parlamento francese scompare dalla scena politica europea…. noi abbiamo il dovere di affermare la nostra fiducia ,come partito comunista, nel regime parlamentare e nel regime dei partiti politici , come base di democrazia politica a cui nel nostro paese non si può e non si deve rinunziare”[43].
Come è stato sottolineato da molti, fu proprio la forte strutturazione del sistema dei partiti italiani che garantì la persistenza dell’ordinamento e diede la possibilità allo stesso di evitare gli scogli dello Stato amministrativo tambroniano, un classico della proposta conservatrice su linea sonniniana[44]. Il sistema si sviluppò dunque,dopo le incertezze della transizione al centro-sinistra sulla linea dell’applicazione del dettato costituzionale e dell’integrazione delle forze politiche presenti nell’arena.
5- La dinamica cinquantennale della V Repubblica e la revisione del 2008- La dicotomia tra integrazione e riforma e poi il tentativo di superarla giustifica ampiamente la prospettiva assunta dal Convegno , che viene sintetizzata dalla prima parte dello stesso, sia dai relatori francesi che da quelli italiani.
I relatori francesi, le cui relazioni sono state distribuite, mettono in evidenza la coppia fondamentale istituzioni –partiti. In particolare, la prof.ssa Anne-Marie Le Pourhiet descrive in maniera lucida i mutamenti avvenuti sia dal punto di vista formale che sostanziale nell’assetto costituzionale francese di questi ultimi cinquanta anni e lo fa con una alta sensibilità storico-politica. Non soltanto Le Pourhiet evidenzia come nel tempo vi siano state profonde modifiche nella concezione presidenziale dopo l’uscita di scena di de Gaulle (ma la secolarizzazione investe anche lui sia nel 1965 che nel 1969), ma sottolinea come nell’ordinamento siano penetrati sempre più Stato di diritto, Europa e nuovi diritti.
Sul lato della sociologia politica Marc Lazar sottolinea con forza come l’ordinamento semipresidenziale francese non sia privo di partiti, ma come anzi gli stessi lo caratterizzino fortemente nelle varie fasi della sua vicenda storica. L’interazione tra sistema istituzionale e sistema dei partiti diventa dunque fondamentale per comprendere non soltanto la dinamica, ma quello che personalmente definisco come il successo del modello francese. Da un lato i partiti vengono attratti dalla forza di gravità delle istituzioni semipresidenziali, dall’altro essi sono divenuti sempre più indispensabili per i candidati alla massima carica dell’ordinamento.
Simili osservazioni non nascondono le debolezze della Costituzione e gli effetti (contraddittori) che la presidenzializzazione ha avuto sui partiti. Le Pourhiet sottolinea come la Costituzione sia stata “eretta a strumento di comunicazione del Presidente della Repubblica” e in questa dimensione parla di bougisme, concetto che potrebbe essere tradotto con movimentismo o con il più napoletano “fare ammuina” istituzionale. Un simile giudizio visto da citramontani è forse troppo severo e svuota gli elementi di riequilibrio che sono stati introdotti all’interno del sistema nel tempo, ma nello stesso tempo li relativizza.
Le osservazioni di Marc Lazar sugli effetti positivi che la presidenzializzazione ha avuto sulla vicenda del Union pour un Mouvement Populaire (UMP)[nato nel 2002 dalla confluenza dei neogollisti dell'RPR (Rassemblement Pour la République), dei liberali di DL (Démocratie Libérale), e di una parte dei centristi dell'UDF (Union pour la Démocratie Française)] e su quelli negativi che ha provocato nel Partito socialista e nelle formazioni minori sono- a mio parere- della più alta significazione per l’analisi del dibattito italiano .
La parte del Convegno dedicata all’esame delle innovazioni francesi del 2008 viste da alcuni studiosi italiani penso confermerà il giudizio che si tratti di un maquillage, anche attraverso l’esame dei lavori della commissione Balladur e di quelli parlamentari. Personalmente ritengo che la parte più rilevante degli interventi sia quella relativa ai contropoteri dell’opposizione e all’apertura alla giustizia costituzionale. Sono questi gli elementi caratterizzanti di un intervento che ha alla sua base l’esigenza di dare un senso all’azione ed una legittimazione alle assemblee parlamentari francesi, che vengono generalmente considerate non reattive. E’ questa una condizione che unisce tutti gli ordinamenti considerati stabili di democrazia d’investitura con strutture di partito forti o con forme di compensazione di un’eventuale debolezza partitica sul piano della forma di governo. In determinate circostanze le forme di governo presidenziali (e tutti facciamo riferimento al Congresso degli Stati Uniti) possono possedere assemblee reattive, ma la letteratura internazionale – sia di tipo politologico che costituzionalistico è concorde nel ritenere le forme di governo parlamentari di tipo monistico (razionalizzate o naturalistiche che siano) come caratterizzate da parlamenti deboli. In questa prospettiva sia laFrancia della V Repubblica, sia la Gran Bretagna di Brown sono caratterizzate da parlamenti deboli.
6-Le tre fasi dell’interpretazione italiana- L’analisi delle recenti revisioni del 2008 è preceduta da una valutazione di come il dibattito politico e dottrinale italiano ha giudicato la dinamica e l’eventuale importazione dell’assetto istituzionale della Quinta Repubblica. Essa è articolata in una periodizzazione in tre precise fasi, collegate con la dinamica politico – istituzionale francese ed nazionale, che si sono riflesse sul giudizio complessivo della manovra gaullista del 1958 e sugli stessi singoli elementi istituzionali.In tutti e tre i periodi i piloni fondamentali della cura da cavallo gaullista che nel 1958 investì partiti politici, sistema elettorale, politica delle fonti, rapporti governo-parlamento, poteri del Governo e del Presidente della Repubblica sono stati analizzati e trattati in maniera differenziata, ma sempre più laica, nell’ambito del dibattito italiano[45].
La prima fase, sintetizzata con il termine avversione ha coperto perlomeno il primo ventennio di storia della Costituzione gaullista e si è collegata con la fase di transizione italiana al centro-sinistra ed al periodo successivo alla crisi dello stesso. E’ evidente che l’atteggiamento dei soggetti è stato differente nel primo decennio ( se si vuole nei primi sette anni fino alle prime elezioni presidenziali dirette del 1965) caratterizzato dal potere carismatico di De Gaulle rispetto al secondo, dove,soprattutto con la presidenza Giscard, vi è stato un primo addolcimento del nuovo regime. Le forze politiche italiane favorevoli alla riforma francese furono- com’è noto- da un lato il MSI e ,dall’altro, il movimento per una Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi[46]. La dottrina giuspubblicistica, sostanzialmente collegata con la posizione del ceto politico, ebbe poche eccezioni nella sua avversione . Serio Galeotti e Fausto Cuocolo espressero forti e preoccupati dubbi sui rivolgimenti francesi( sostanzialmente convergenti con quelli di Elia e –più tardi- di un giovane Bassanini), mentre Gugliemo Negri , alla fine del suo Verso la quinta repubblica, sostenne-invece- che nel 1958 francese non ribolliva “l’avventura totalitaria”, ma si profilava “ la sagoma di nuove strutture,di nuovi istituti,di cui nel diritto costituzionale contemporaneo, in rapidissima evoluzione, quasi esiste il presentimento”[47]. Una simile apertura costituì, tuttavia, una sostanziale eccezione (tipica di alcuni settori repubblicani) nel panorama intellettuale del periodo.
In questa sede vorrei ricordare invece ( e pour cause in questo triste giorno di distacco) come tipico della fase dell’avversione, perché non viene mai citata in questo contesto, la posizione di Sergio Fois nel suo volume La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali [48], segnalandolo anche come estensore delle classiche sintesi di Mortati su Le forme di governo [49]che così profondamente hanno inciso sulla posizione della dottrina costituzionalistica. Per Fois era, infatti, la violazione della centralità parlamentare nella produzione normativa l’oggetto di maggiore preoccupazione e direi di scandalo.
C’è da dire che il giudizio sulla riforma gaullista in sé e quello sulla sua applicabilità per l’Italia si modificarono e anche rapidamente nel corso dei tre lustri successivi. In questa prospettiva la edizione finale del volume di Mortati, che è del 1973, evidenzia la stabilizzazione del giudizio sull’evoluzione del sistema francese, con il riconoscimento di un parco di poteri “più vasti di quelli dello stesso Presidente nordamericano”, ma anche che alla base “della formula costituzionale” si poneva la “presenza di una forte maggioranza parlamentare favorevole alla politica presidenziale”[50].La chiusa di Mortati su “la soddisfazione diffusa nel paese in considerazione della stabilità di indirizzo che esso assicura e che si rivela benefico, così da non fare rimpiangere il precedente regime parlamentare,di tipo ottocentesco,del tutto inidoneo a soddisfare le esigenze di uno Stato interventista nei rapporti economici”[51], evidenzia quel mutamento di prospettiva che nella seconda metà degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta una parte della classe dirigente, tra cui parte della dottrina giuspubblicistica evidenziarono in relazione alla situazione di stallo e di persistente crisi sistemica, successiva al fallimento dell’alleanza di centro-sinistra.
Il noto duplice dibattito tra giuspubblicisti sulla rivista Gli Stati, coordinato da Franco Cangini, evidenziò da un lato la consapevolezza della acutezza della crisi,dall’altro l’impossibilità di recepire le suggestioni nordamericane o quelle francesi, ma il riconoscimento che la soluzione francese era oramai legittimata e sgombra da ambiguità autoritarie. Il rafforzamento dell’asse Corpo elettorale,maggioranza, Governo, Presidente del Consiglio veniva ipotizzato con la recezione di innovazioni sul piano della forma di governo e del sistema elettorale. Il processo di omogeneizzazione delle forze politiche e sociali stava per convincere esponenti della dottrina costituzionalistica dell’opportunità di intervenire anche sul lato dei meccanismi elettorali selettivi . Ricordo in questa prospettiva non soltanto il commento di Mortati all’art. 1 della cost. nel Commentario Banca[52], ma anche le notazioni reperibili nelle varie edizioni del manuale di Lavagna[53].
Su tutto questo,all’interno della prima fase della transizione infinita che ha caratterizzato il sistema politico- costituzionale italiano interverrà Mauro Volpi, che – sul limite estremo del periodo- pubblicò un volume su La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e quinta repubblica francese[54].
Con ogni probabilità egli ha cambiato parere su alcuni elementi dell’analisi da lui allora operata, ma proprio questo favorirà la comprensione del mutamento di prospettiva intervenuto. [55]Ma avevano cambiato parere anche altri tra i soggetti che intervennero in questo periodo. Ricordo tra gli altri ,ovviamente, Serio Galeotti, della cui evoluzione parlerà Rino Casella concentrandosi sul momento di svolta del 1966 al Convegno di Dottrina dello Stato di Trieste, o Guglielmo Negri e Fausto Cuocolo, ma anche Leopoldo Elia e di Franco Bassanini, che seguirono con attenzione l’evoluzione francese nel tempo, mentre già durante gli anni Sessanta alcuni autori avevano incominciato a recuperare alcuni pezzi della riforma gaullista sul piano del sistema elettorale( penso in particolare a Domenico Fisichella o a Giovanni Sartori in chiave di selezione delle opposizioni antisistema).
La seconda fase intitolata con il termine la recezione (meglio sarebbe stato dire il tentativo di recezione) è stato affidato a Giuliano Amato, i cui interventi istituzionali sin dal 1976 avevano animato la discussione istituzionale[56]. La proposta di adozione di un “semipresidenzialismo” souple operata a Trevi, al fine di riaggregare anche attraverso la riforma del sistema elettorale il sistema politico italiano, costituì un significativo sdoganamento di alcuni aspetti del sistema francese, che dopo la riforma costituzionale giscardiana del 1974, stava addolcendo il suo carattere maggioritario e che – dopo il 1981- con la vittoria mitterandiana aveva assunto una significazione differente rispetto al passato. Le ragioni sistemiche e nello stesso partigiane della proposta ve le spiegherà Lui in alternativa con le suggestioni del Governo di legislatura di Gianfranco Miglio[57],abbracciato dalla dirigenza democristiana o al recupero- senza traduzione- del modello francese, che veniva suggerito soprattutto dal MSI.
In quegli anni – cui Marco Gervasoni dedica nel suo intervento interessanti riflessioni – il blocco del sistema politico italiano vide – al di là delle macrodiscussioni culminate nella Commissione bicamerale presieduta da Bozzi- il tentativo di adottare riforme infrasistemiche che potessero smontare il meccanismo consociazionistico che il periodo degli anni Settanta aveva costruito. In quest’ambito tutti i pezzi dell’assetto francese entrarono in gioco e vennero tradotti in italiano nel dibattito infinito delle riforme istituzionali. Dal sistema elettorale maggioritario a doppio turno che verso la fine degli anni Ottanta verrà sposato da esponenti del maggior partito di opposizione, fino ad arrivare alle innovazioni relative alla politica delle fonti di cui è pervasa la legge n. 400 del 1988.
La terza fase è stata definita come l’impossibile adozione è affidata ad Oreste Massari, che sostituisce da par suo Augusto Barbera, trattenuto in quel di Zola Predosa dalla selezione delle candidature a sindaco di quel comune della cintura bolognese.
Massari, che non è come Barbera un cultore del duvergismo, dovrebbe analizzarla alla luce di un percorso, che- dopo il successo dei referendum del 1991 e del 1993- ha visto – a seguito della crisi di regime- importanti interventi sull’assetto costituzionale nell’ambito di un riallineamento epocale del sistema partitico. Il suo intervento si concentrerà sul tornante della Commissione D’Alema e sulla adozione del cosiddetto semipresidenzialismo nel grande gioco della transizione infinita. Negli anni Novanta i nuovi partiti apparsi nell’arena recepirono le suggestioni francesi. AN non aveva bisogno di stimoli, il Polo delle libertà lo propose nel programma, il Governo Berlusconi si lasciò aperta l’alternativa tra premierato e semipresidenzialismo, mentre i costituzionalisti stimolati dall’ondata costituzionale nei paesi dell’est europeo scoprirono il semipresidenzialismo, alcuni identificandolo tout court con il modello francese[58], altri più cautamente con una forma di governo a possibilità multiple[59].
7- La conclusione della transizione italiana e la quarta fase nel rapporto con le istituzioni francesi.
Passo rapidamente alle conclusioni. Le più recenti innovazioni costituzionali francesi saranno esaminate anche nella prospettiva italiana da Beniamino Caravita(Esecutivo), da Paolo Ridola (Legislativo) e da Alfonso Di Giovine( Controlli). La loro analisi e quelle delle comunicazioni di settore (penso in particolare all’intervento sullo Statuto dell’opposizione di Stefano Ceccanti, ma anche ai lavori di Paola Piciacchia e Simone Benvenuti) forniranno indicazioni precise sul giudizio della dottrina italiana sulla più recente evoluzione francese, mentre la tavola rotonda finale esprimerà l’opinione di esponenti qualificati del ceto politico.
Personalmente penso che la prospettiva di una quarta fase nel rapporto con le istituzioni francesi lasci spazio alla eventualità di una possibile adozione di alcuni elementi delle stesse. E’ questo un giudizio che non coinvolge altri che chi parla, ma è bene dirlo in maniera esplicita.
Vorrei, a questo proposito, sottolineare quattro punti fermi:
1. Questo convegno vuole esaminare laicamente il modello francese, traendolo fuori da anatemi anacronistici o dall’esclusivismo particolaristico della elezione diretta del Capo dello Stato.
2. La capacità di reazione alle sfide dell’ultimo cinquantennio della Costituzione del 1958 ha evidenziato che la cura istituzionale gaullista ha sostanzialmente funzionato.
3. La suggestione istituzionale francese è stata incrementale ed è forte in Italia, ma bisogna guardarsi dal decontestualizzare gli interventi.
4. La forma di governo parlamentare razionalizzata a tendenza presidenziale pare più elastica ed adattabile del premierato rigido sostenuto dagli emuli di Duverger.
Evidenziati questi punti, si può anche dire, in maniera sintetica, che nelle democrazie di massa contemporanee i meccanismi istituzionali servono, ma sono necessari anche i partiti e che entrambi devono essere adeguati alle esigenze dei contesti di riferimento. Istituzioni senza partiti strutturati e animati da una partecipazione democratica portano al pericolo plebiscitario, partiti pervasivi e frammentati senza istituzioni forti conducono all’instabilità e all’occupazione personalistica e/o correntizia delle strutture statuali.
La Francia della V Repubblica, anche alla luce delle recenti revisioni costituzionali degli ultimi anni, non sta-dunque- perdendo le proprie caratteristiche, le sta solo adeguando- come ha ribadito Fillon l’anno scorso in Parlamento in singolare continuità con le posizioni di Debré – alle esigenze di equilibrio tra gli organi costituzionali ed i soggetti in campo.
La ristrutturazione del sistema politico-istituzionale italiano dura, invece, da troppi anni e non evidenzia scelte sufficientemente coraggiose. Il riallineamento partitico ha prodotto nel 2008 forti cambiamenti, ma esso non si è ancora definitivamente consolidato. Mancano i partiti, manca la partecipazione politica, manca la coerenza nel disegno istituzionale complessivo. Manca in sostanza l’equilibrio.
Come in Francia la maggioranza di Governo sembra rafforzata dalla vittoria elettorale, ma l’incoerenza dei meccanismi elettorali e la reazioni della Opposizione alla sconfitta e la persistente disomogeneità della maggioranza rischiano di indebolire i due maggiori soggetti e ritardare la conclusione di un processo che le sfide della crisi richiedono in maniera urgente.
Abbiamo celebrato nell’ultimo triennio il sessantennale della Costituzione repubblicana, che oramai è affidata alle nuove forze politiche del post-1993 e ai cittadini. Costituzionalisti come Leopoldo Elia e Valerio Onida, sulla base delle suggestioni di Giuseppe Dossetti a Monteveglio , radicano la Costituzione su piastri oramai esogeni ( le quattro libertà di Roosevelt e l’Europa). Il rischio di una riscrittura del patto è molto alto, mentre la sua rilegittimazione stava alla base della proposta della Commissione bicamerale del 1997. L’appello alla responsabilità dei partners è sempre più necessario al fine di adeguare le strutture della casa comune in un periodo in cui la coesione sociale verrà messa in pericolo. La speranza è sempre quella che si raggiunga un compromesso efficiente tra i soggetti politicamente rilevanti, quello che Mortati auspicava già nel corso dei lavori della Commissione Forti.
[1]V. A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia moderna,Torino,Einaudi,1952,p.9; G. Negri , Verso la Quinta Repubblica.L'evoluzione costituzionale contemporanea in Francia, Pisa,Nistri-Lischi,1958,p.5.
[2]C. Ghisalberti,Le costituzioni giacobine (1796-1799) ,Milano, Giuffrè,1957 |
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;idem,Dall'antico regime al 1848 : le origini costituzionali dell'Italia moderna,Bari,Laterza,1987. |
[3]M.Galizia,Diritto costituzionale(profili storici),in “Enciclopedia del diritto”,vol.XII,p.962.
[4]Idem,p.964.
[5]V. D. Zanichelli(a cura di ), Lo Statuto di Carlo Alberto secondo i processi verbali del Consiglio di conferenza dal 3 febbraio al 4 marzo 1848,Roma,Dante alighieri,1898, ma v. anche G. Negri-S. Simoni,Lo statuto albertino e i lavori preparatori,roma,Colombo,1989.
[6]V. A. Baldassarre-C.Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale : da De Nicola a Pertini, Roma -Bari, Laterza, 1985.
[7]V. per questo riassuntivamente E.A. Albertoni,La teoria della classe politica nella crisi del parlamentarismo,Milano,Cisalpino,1968.
[8]V. F. Lanchester,La rappresentanza in campo politico e le sue trasformazioni,Milano,Giuffrè,2006.
[9]V. C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus,Berlin,Duncker& Humblot,19262.
[10]V. A.L.Lowell, Governments and Parties in Continental Europe , London, Longmans, Green, 1896(2 voll.) |
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[11]V.E.Crosa, Lo Stato parlamentare in Inghilterra e in Germania,Pavia,Facoltà di Scienze politiche,1929
[12]V.A.Giannini, Tendenze costituzionali,Bologna,Zanichelli,1933.
[13]V. B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel,Paris,Giard,1931
[14]V. G. Burdeau, Le regime parlementaire dans les constitutions europeennes d'apres guerre, Paris, Editions internationals,1932.
[15]V.L. Rossi, La “elasticità” dello Statuto italiano,in “Scritti giuridici in onore di Santi Romano”,Padova,Cedam,vol.I,1940,pp.25 ss..
[16]V.C.Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano, Giuffrè, 1940.
[17]V. riassuntivamente B. Mirkine- Guetzévitch, Le Costituzioni europee,Milano,comunità,1954,pp.39 ss.
[18]V. U. De Siervo,Le idee e le vicende costituzionali in Francia nel 1945 e 1946 e la loro influenza sul dibattito italiano , in “Scelte della costituente e cultura giuridica.I : Costituzione italiana e modelli stranieri”, a cura dello stesso,Bologna,Il Mulino ,1980, pp.293 ss.
[19]V.S.Guerrieri,Due Costituenti e tre referendum.La nascita della Quarta Repubblica francese,Milano,Franco Angeli,1998
[20]V. F. Lanchester, I partiti e il sistema elettorale nel pensiero di Piero Calamandrei ,in “Piero Calamandrei.Ventidue saggi su un grande maestro”,a cura di P. Barile,Milano,Giuffrè,1990,pp.417 ss.n 22 saggi su un grande maestro
[21]V.G.Guarino, La stabilità del governo e la garanzia dei diritti delle minoranze nei dibattiti costituzionali in Francia, in “Rassegna di Diritto pubblico,” 1946,pp.150 ss . e poi G. Guarino,Lo scioglimento delle assemblee parlamentari,Napoli,Jovene,1948.
[22]V.Biscaretti di Ruffia,Cronaca costituzionale straniera, in “Rivista di diritto pubblico” ,1947.
[23]V.A.Amorth,Corso di diritto costituzionale comparato : (Stati Uniti d'America, Inghilterra, Svizzera, Unione Repubbliche socialiste sovietiche, la nuova costituzione della Francia),Milano,Giuffrè,1947.
[24]V.A.Giannini, La Costituzione francese del 1946,in “Rivista di diritto pubblico”,1948,I,pp.210 ss.
[25]V.G.D.Ferri, Trasformazioni e incertezze costituzionali,in “Annali di diritto pubblico”,XXV,1950,pp.137 ss
[26]V.F. Pierandrei, La costituzione della IV Repubblica francese, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”,1951,pp.713 ss.
[27]V.F. Cuocolo ,Il difficile cammino della costituzione francese,in “Civitas” ,1954,luglio
[28]V. C. Mortati(a cura di), La Costituzione di Weimar, Firenze,Sansoni,1946.
[29]A. Tesauro,Il sistema parlamentare nell'ordinamento inglese ed in quello francese ed italiano, in “Rassegna di diritto pubblico”,1952,I,pp.121 ss.
[30]V. C. Lavagna, ll sistema elettorale nella Costituzione italiana, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”,1952,pp. 849 ss..
[31]V. C. Lavagna, Considerazioni sui caratteri degli ordinamenti democratici,in idem,1956,pp. 392 ss..
[32]V. G. Maranini, Governo parlamentare e partitocrazia, Lezione inaugurale dell'Anno Accademico dell'Università di Firenze 1949-1950,Firenze,Ed. universitaria,1950.
[33]V.G. Perticone, La torre di Babele : Italia 1949,Roma-Firenze,Leonardo-Sansoni,1949.
[34]V. per questo F. Cuocolo ,Il difficile cammino della costituzione francese,in “Civitas” ,1954,luglio.
[35]V. M. Debré,Ces princes qui nous gouvernent…,Paris,Plon,1957
[36]V.A. Solmi,La riforma istituzionale,Milano,Alpes,1924
[37]V. M. Debré,Ces princes qui nous gouvernent…,cit.,pp.174 ss.
[38]V. L. Basso,La crisi della democrazia francese e le sue cause,
in “Problemi del socialismo”,1958,n.6,pp.407 ss.; n.7,pp.487 ss.;
n.8,pp.567 ss. con un’appendice su Cose di Francia e d'Italia,pp.588 ss.
[39]V. L. Basso,Il principe senza scettro -Democrazia e sovranità popolare nella Costituzione,Milano,Feltrinelli,1958.
[40]V. L. Basso,Cose di Francia e d'Italia,in “Problemi del socialismo”,cit.p.599.
[41]V.III legislatura,seduta del 15 luglio 1958, p.204
[42]V. III legislatura,seduta del 16 luglio 1958, p.307-
[43]V. III legislatura,seduta del 18 luglio 1958,p.425.
[44]V. F. Tambroni, Un governo amministrativo, Roma , Les problemes de l'Europe, 1960
[45]In questa prospettiva pare eccessivamente sezionale la pregevole trattazione di Carlo Fusaro,L'Italia e il modello della Quinta Repubblica: dall'odio, all'amore… e al dubbio,in “Forum di Quaderni costituzionali”, tutta incentrata sulla ipotesi dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
[46] V. R.Pacciardi,Il Partito repubblicano fuori strada,Roma,ADE,1960 e Per una nuova repubblica,Ravenna,A.R.A.,1964.
[47]G. Negri , Verso la Quinta Repubblica.L'evoluzione costituzionale contemporanea in Francia,cit.,
[48]V. S. Fois, La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali,Milano, Giuffrè, 1962.
[49]V. C. Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato tenute dal prof. Costantino Mortati, raccolte dall'assistente prof. Sergio Fois,anno accademico 1957-58 / Università degli studi di Roma, Facoltà di scienze politiche, Roma, Edizioni Ricerche, 1958, pp.273-274.
[50]V.C. Mortati, Le forme di governo : lezioni, Padova, Cedam,1973
[51]Idem,p.274.
[52]v.C.Mortati,art.1, in “Commentario alla Costituzione : Principi fondamentali : Art. 1-12 “, a cura di Giuseppe Branca”, Bologna -Roma , Zanichelli – Soc. ed. del Foro italiano, 1975.
[53]V.C. Lavagna,Istituzioni di diritto pubblico,Torino,UTET,1973,1976,1982.
[54]V. M. Volpi, La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e 5. repubblica francese,Bologna,Il Mulino,1979.
[55]V. P.L.Zampetti(a cura di), La funzionalità dei partiti nello Stato democratico : atti del 1. Congresso nazionale di dottrina dello Stato, Milano,La nuova Europa,1967.
[56]V. G. Amato, Una repubblica da riformare : il dibattito sulle istituzioni in Italia dal 1975 a oggi,Bologna,Il Mulino,1980.
[57]V. G.Miglio(a cura di),Verso una nuova costituzione, Ricerca promossa dal CESES su “Costituzione vigente e crisi del sistema politico: cause ed effetti”,Milano,Giuffrè,1983,2 voll..
[58]V.A.Rinella, La forma di governo semi-presidenziale : profili metodologici e circolazione del modello francese in Europa centro-orientale,Torino , G. Giappichelli, [1997
[59]V. S. Ceccanti- O. Massari- G. Pasquino, Semipresidenzialismo :analisi delle esperienze europee ,Bologna,Il Mulino,1996; A.Giovannelli (a cura di),Il semipresidenzialismo : dall'arcipelago europeo al dibattito italiano,Torino,giappichelli,1998; A. Canepa,Il sistema semipresidenziale aspetti teorici e di diritto positivo,Torino,Giappichelli,2000. |