La transizione italiana e la quarta fase nel rapporto con le istituzioni della V Repubblica

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LA  TRANSIZIONE ITALIANA  E  LA QUARTA  FASE   NEL RAPPORTO  CON  LE  ISTITUZIONI  FRANCESI DELLA QUINTA REPUBBLICA

di

Fulco Lanchester

 

Sommario:0-Ringraziamenti;1-L’occasione ed  il taglio   del   Convegno – 2-Francia – Italia: le  radici di  un  rapporto   sempre  presente; 3-Il  periodo  delle  tre Costituenti e la  vicenda della   IV Repubblica; 4-Le  due  linee; 5- La   dinamica  cinquantennale della  V  Repubblica  e   la  revisione  del  2008-; 6-Le  tre  fasi    dell’interpretazione  italiana;7-Conclusioni: la    transizione  italiana  e  la  quarta  fase  nel  rapporto  con  le  istituzioni  francesi.

 

0-Ringraziamenti-   Mio  compito   è  quello  di  introdurre  in  maniera  sintetica  i  lavori  di  questo  Convegno. A  questo  fine, prima  di  tutto,   sono  tenuto     ,   anche  a   nome  dei  rispettivi  Centri  che  hanno  promosso  la presente iniziativa ,   ad   operare     ringraziamenti  non  formali nei  confronti  del   Presidente  della  Camera  dei    Deputati  on.  Gianfranco  Fini  per  la  Sua  presenza attiva  e  per  la  concessione  di  questa   prestigiosa  Sala   del Refettorio  come  sede    del   Convegno .

Ringrazio   e  saluto,       inoltre,  i  relatori (stranieri  ed  italiani)     e  tutti  i   partecipanti    a  questo   Convegno,  che  impegna  specialisti   di  differenti discipline(ma  soprattutto  costituzionalisti)  in  una  riflessione  corale  sulle  istituzioni  francesi  della  V Repubblica anche  alla  luce  delle  recenti  innovazioni   costituzionali  del  2008.

 Cercherò,dunque,   di  spiegarne in  maniera   sintetica    le  ragioni  ed  il  taglio.

1- L’occasione ed  il taglio   del   Convegno – A   cinquanta  anni  dalla   promulgazione  della  Costituzione   francese  del   1958  e  in  occasione   di  quello  che  deve  essere   considerato   come  l’importante,   ma  non  stravolgente,     maquillage  costituzionale  dell’anno  scorso, la  nostra    odierna riflessione assume  aspetti  di  originalità  e    si  inserisce    in    un  biennio  di  anniversari  importanti   per  gli  ordinamenti  francese, tedesco,spagnolo  ed  italiano. Non  soltanto   l’anno  scorso  si  sono  commemorati   i  sessanta  anni  della  promulgazione  della  Costituzione  repubblicana ,  i  cinquanta   di  quella   della  quinta  repubblica  francese e  i  trenta  di  quella  spagnola,  ma   quest’anno  ci  accingiamo  a   ricordare   i  novanta   della Costituzione   weimariana,  cui  il  Centro  di  Teoria  dello  Stato  prevede  di  dedicare  uno  specifico Convegno nel  prossimo  ottobre,  ed  i  sessanta  del  Grundgesetz  di  Bonn.  L’incrocio   Francia,  Germania,Italia e  Spagna    costituisce-  com’è  noto-  oramai   un  classico  della  riflessione  costituzionalistica  e  politologica e  non  ha  bisogno  di  essere  giustificato, perché  apparirà  sullo  sfondo  di  tutto  il  Convegno. Esso viene   utilizzato  non   soltanto  per  comparare   i   singoli  rendimenti   istituzionali ,ma   soprattutto  per  verificare  le  capacità  delle  singole  classi  dirigenti     e   dei rispettivi  ceti  politici  di  individuare   in   maniera   più  o  meno  autonoma  assetti   istituzionali  capaci  di  rispondere alle  domande   materiali  ed  immateriali   delle  società  civili  di  riferimento.

   

 Ciò  che   desidero  sottolineare    è, soprattutto ,  il  taglio  dell’iniziativa  odierna.    Essa   non  vuole  ripetere     l’angolazione  tradizionale   di  altre  importanti  iniziative  francesi  ed  italiane , che   hanno  adottato    almeno  ufficialmente gli  occhiali  di  Oltralpe  per  valutare   l’esperienza  e  le  novità   dell’esperienza  costituzionale    gaullista.

La  prospettiva   da  noi  adottata    assume   esplicitamente   un   taglio   storico-critico, in  cui  il   dibattito ed  rendimento   istituzionale  francese   viene   valutato  nella  prospettiva   della  prassi   e  della  dinamica  politico-costituzionale  italiana  nel  cinquantennio  trascorso, anche sulla  base  delle  posizioni del   ceto  politico  e  della  dottrina  istituzionalistica(  in  cui  comprendo  giuspubblicisti  e  scienziati  della  politica) .

 

2-Francia-Italia: le  radici di  un  rapporto   sempre  presente -Le  radici  problematiche  che  giustificano  questo  Convegno   sono quelle  già segnalate    da  Armando  Saitta     nel  1952  e  ricordate  da  Guglielmo  Negri  nel  1958  ossia   “la  consapevolezza   di  un  intimo parallelismo  fra  la   situazione  [francese]  e  quella  dell’Italia”[1], almeno  dal  secondo  dopoguerra.  Sotto   il  profilo  più  ampio  e, a  mio  avviso, più  proficuo  della  storia  costituzionale  e  di  storia  della  cultura  istituzionale  un  simile  elemento,    per  analogia   e  per  contrasto,   ha  caratterizzato   la  vicenda   degli  ultimi  due  secoli  di  entrambi  gli  ordinamenti. L’interesse-invero  asimmetrico-, che  ha  caratterizzato   le classi  dirigenti (  ed  in  particolare  ceto   politico  e  dottrina  istituzionalistica)   per  origini  e  svolgimento  dei  reciproci   assetti  istituzionali,      costituisce  un   filo  di  Arianna  per  la  comprensione   dei  rispettivi  avvenimenti ed  una  bussola   per  le  discussioni  più  recenti.

L’asimmetria   in  questo  specifico  campo   è  fornita   dalla  storia. Il  periodo  rivoluzionario  francese  e   le  vicende  napoleoniche  hanno  inciso  profondamente  sullo  sviluppo  del   nostro  costituzionalismo  e  sulle  nostro   istituzioni,  come  ben  ha  dimostrato Carlo   Ghisalberti.[2] Dal  punto  di  vista  della  cultura  giuridico – costituzionale, come  ci ha  ricordato –invece-    Mario Galizia[3], la   prima  cattedra  italiana   di  Diritto   costituzionale  (cispadano e giuspubblico universale)    venne  istituita  per  Giuseppe   Compagnoni   nel   marzo 1797  presso  l’Università  di  Ferrara, seguita   da  quelle   di   Pavia  per  l’Alpruni e  di  Bologna  per  l’Algerat,  promosse  dal  ciclo  costituzionale importato  in  Italia. D’altro  canto,   non  bisogna   dimenticare   che   la  prima   cattedra  di  Diritto   costituzionale   istituita  in  Francia nel  1834     fu  attribuita  da   François Guizot, allora ministro  della  Pubblica  istruzione,  a  Pellegrino  Rossi, un  intellettuale  europeo   ed  un  precursore  delle  scienze  politiche, con  cui aveva   avuto  esperienze   comuni  ginevrine e  che   non  ultimo  fra  i  giuspubblicisti  venne   assassinato,com’è  noto,  in  questa  città  il  15  novembre  di   centosessant’anni  fa.

Lo  stesso   Statuto  albertino, prodotto   nell’ambito  del  Consiglio  di  conferenza del  Regno  di  Sardegna,  era   stato  profondamente  influenzato   dal  modello  costituzionale   della  Restaurazione   francese[4] (si  potrebbe  aggiungere  che  venne   redatto  in  francese, lingua della  classe  dirigente   piemontese)[5]. E’  questo   un  dato  di  fatto  che  spiega   l’acuto interesse   della  dottrina   italiana  per   le  prime   esperienze  parlamentari  d’Oltralpe  ed  in  fatto  che   ad  es.  un costituzionalista  come  Leopoldo  Elia, di  cui affettuosamente sentiamo  tutti  la  mancanza,  si  sia  laureato  nel  1947  con  Vincenzo  Gueli ed una   tesi  su  l’avvento   del  regime  parlamentare  in  Francia  tra  il  1815  e  il  1830 o  che,alla  metà  degli  anni  Ottanta,  gli  schemi  interpretativi  di  Antonio Baldassarre   e Carlo  Mezzanotte( anche  Lui  recentemente  scomparso)  per  giudicare   la  dinamica  della  Presidenza  della  Repubblica  nella  recente  storia  italiana  derivassero   da  quel  periodo preciso, previa ovvia  reinterpretazione[6].

 D’altro  canto    tutto  il  periodo  liberale  oligarchico  unitario    ha  avuto   come  protagonista   la  tensione    tra  l’archetipo(empirico)  britannico  e  il  parlamentarismo    rappresentato  in  maniera  tipica  dall’esempio  francese, cui  una  parte   della  classe  dirigente  e  del  ceto  politico  propendevano  nella  prassi.[7]  La  stessa   espressione  parlamentarismo, anche  con  il  suo  significato  valutativo  negativo, ha –d’altro  canto- le  sue  origini  nella   Francia     della seconda   repubblica  e  nella  contrapposizione, sottolineata  da  Victor  Hugo nei  primordi  della  società  di  massa  basata  sul  suffragio  maschile, tra   libertà  della   tribuna   e  personalizzazione  cesaristica  del   potere[8] . Si  tratta  del  tornante, ben  descritto  da Carl  Schmitt,  in  un’opera  scarnificante  degli  anni  Venti, tra  epoca   classica  delle  istituzioni  parlamentari e  politica  di  massa[9],  che  ancora  oggi  mantiene una  sua  validità.

Le  dinamiche  istituzionali   e  sociali  della  III  Repubblica  e  dell’Italia   successiva  all’avvento al  potere  della   Sinistra storica   avevano analogie     già  ampiamente  riconosciute    da  Abbot  Lawrence Lowell nei due  volumi     Governments and Parties in Continental Europe [10]  alla  fine  del  secolo  XIX, mentre e vicende  degli  anni  Venti  del  secolo  XX   rafforzarono  l’interesse  per  le  analisi   dei  percorsi  tedesco  ed   italiano, due   liberal-democrazie  che    in  poco  tempo  implosero  in  avventure    autoritarie   o  totalitarie. Emilio  Crosa[11]   e   Amedeo   Giannini[12]– il  primo  sulla  base  delle  suggestioni  di un  costituzionalista  come  Robert  Redslob,  fortemente  influenzato   dalle  suggestioni  di un  assertore  dell’Impero   liberale  come   Prevost Paradol, il  secondo     dalle  analisi   comparatistiche   della  coppia   Boris Mirkine  Guétzevitch[13]  e Georges  Burdeau[14]–  affrontarono  in maniera  tipica  i  problemi  dell’instabilità    degli  assetti  delle  liberal-democrazie   nel  primo  dopoguerra,  accompagnando  la   riflessione   che  giuspubblicisti   non  formalisti  come  Luigi  Rossi[15]  e   Costantino  Mortati[16]  portavano  avanti    sul  tema  dell’elasticità  della  Costituzione o  del rapporto  tra  Costituzione  formale  e  costituzione  in  senso  materiale.

Il  dibattito  francese   sulla  terza   Repubblica  e  la  necessità  di  innovazioni  adeguate   fu  sempre   presente  in  ambito  italiano,  nonostante  la  divaricazione   del  periodo   fascista. Il  ceto   politico  e   la  dottrina,    che  operavano  all’interno  dell’ordinamento   fascista,   trovavano  nelle  convulsioni  della  terza  Repubblica  , caratterizzata  da  spinte  contraddittorie, da  persistente  instabilità  e  richieste   di riforma  che  rafforzassero  l’Esecutivo( basti  pensare all’azione   e  all’opera  di  Leon  Blum) conferme  sulla   bontà  della  soluzione italiana,  mentre  il  fuoriuscitismo    concentrato   soprattutto  Oltralpe viveva quotidianamente  i  dibattiti della  stessa.

Anche  dopo  il  crollo  francese   nel  giugno   del  1940 e  l’assunzione   del  potere  da  parte  del  Maresciallo  Petain    l’interesse  per gli  avvenimenti  francesi  non   si  placò, se   è  vero  che  negli appunti  Mortati  sono  recuperabili  tracce   di  una  relazione  dell’amministrativista  Mario  Nigro  sul  progetto  di  Costituzione   petainista.

 

 3-Il  periodo  delle  tre Costituenti e la  vicenda della   IV Repubblica- Durante   il  periodo  di  ricostruzione  democratica,che  seguì  il  dibattito  interno  alla  Resistenza[17],  caratterizzato  dalla   due  costituenti  francesi  e  da  quella italiana,  come   è  stato  osservato  dallo  stesso  Saitta (ma  anche   successivamente  in   maniera analitica   dallo  stesso  Ugo  De  Siervo[18]), le  vicende  costituzionali  francesi  del  secondo  dopoguerra influenzarono  profondamente     il  dibattito  italiano  e  le  soluzioni  prescelte   dai  soggetti   politicamente   rilevanti . I  tempi  della  ricostruzione    istituzionale italiana    si  sono- com’è  noto-   incrociati   con  la  prima  e  la  seconda  Costituente    francese   tra  il  1945 e  il  1946[19], mentre   la  vita  tormentata    della   IV  Repubblica   ha  costituito  un  costante    riferimento    per  i  primi  anni  della   refrigerata   esperienza  costituzionale  repubblicana.

In  entrambi  i  casi    vi  fu  una  comune  riflessione    sulle  cause    della    crisi  delle  democrazie liberali  nel  primo  dopoguerra, sugli  effetti  dell’intervento  delle  masse  sugli  assetti  istituzionali, sui  pericoli  dell’instabilità  e  della    debolezza   governativa, sulla    necessità  di  allargare  e  rendere  operanti  le    dichiarazioni  formali   relative   ai   diritti  sociali  in  un  mondo  caratterizzato  da  una  divisione   di   potenza  bipolare.  In  entrambi   gli  ordinamenti, sulla  base  del  panorama  politico  esistente  e  degli  interessi   conflittuali  risultanti, simili  furono   i  risultati,  anche  se  ben  più  esplosivo  fu    per  l’ordinamento   francese  il  problema  esterno  della  decolonizzazione,  che  ne  provocò  l’implosione.

Non    è  quindi  fortuito   che     il  mondo  politico  e  la  stessa  dottrina  costituzionalistica   siano  stati sempre   molto  attenti  in  quegli  anni  al  caso  francese.  Non    mi  riferisco  solo    alle  posizioni  di  Calamandrei  durante  il  periodo   Costituente  in  cui  le  suggestioni  azioniste    nei  confronti  del  modello  presidenziale in  realtà  si  sovrapponevano  alla  esigenza   di  recuperare   compattezza  sul piano   programmatico  di  governo[20],  ma  alla  implicita    recezione   di  molte  soluzioni  ed   ai  continui  riferimenti  che   gli  stessi  esponenti dei   grandi  partiti  di  massa  italiani  facevano   alla  situazione   francese .

Nell’ambito  dottrinario   le  analisi    successive  alla  grande  spaccatura   dell’alleanza  antifascista      collegarono  tra   loro  le  esperienze   francese,tedesca  ed  italiana( penso  a  Guarino[21], a  Biscaretti[22],a  Amorth[23],a Amedeo  Giannini,[24]a Ferri[25],a  Pierandrei[26],a Cuocolo[27]), ma  l’interesse   per  il  caso   tedesco  rimase   più  concentrato  su  Weimar (penso in  maniera  esemplare a  Mortati[28] ), per   la  peculiarità  della  ricostruzione  istituzionale  tedesca   condizionata  in  modo  esplicito   dall’influenza  esogena  delle  forze  occupanti.

 La  ripresa  dell’instabilità  ministeriale  in  Francia, ma  soprattutto  l’esistenza  di  partiti  considerati   se  non  anticostituzionali  sicuramente  antisistema,  fece  si  che    ceto   politico  e  dottrina  italiana  guardassero  con   grande  attenzione   alle   vicende  della   Quarta  Repubblica.  La  stessa  strategia  istituzionale   delle   maggioranze  di  Governo  nei  due  paesi  risultò  caratterizzata   dalla  necessità  di   rafforzare   l’area  centrale  del  sistema   sulla  base    della  manovra  elettorale  che  in  Francia  generò  la  cosiddetta  loi  scélérate  ed  in   Italia  la  cosiddetta  legge  truffa,  la  cui  ratio    istituzionale   venne  in  maniera  esemplare  giustificata  da   Alfonso  Tesauro[29],allora  senatore  democristiano, mentre   Carlo Lavagna  provvedeva  in  più  interventi   a  sottolineare   non  soltanto  le  posizioni della  specularità  sostenute  dalla  sinistra   non  integrata[30],  ma  –  successivamente –  una  linea  di  sviluppo  per  l’integrazione  difficile.[31]

La  critica  alla   partitocrazia,secondo  il  neologismo  inventato da Giuseppe  Maranini  nel  1949[32]  e supportato  implicitamente   dalle  analisi  di  Giacomo Perticone[33],  non  faceva   che  riflettere   la  polemica  contro  lo  strapotere  dei  partiti  che   costituiva  il  filo  della  posizione  gaullista  già   nei  grandi  discorsi  di  Bayeux e  di   Epinal  dell’estate  1946  e  che   porteranno  al  1958.   L’Italia post-fascista   si  era, invece,   ricostruita  sulla  base  di  partiti   di  massa   ben  più  strutturati  e   con  una  convergenza  valoriale   superiore di  quelli  francesi . I moti  peristaltici  e   l’agonia  della  Quarta  Repubblica  vennero, dunque,  visti  con  molta  preoccupazione, soprattutto  dopo il fallimento  della cosiddetta  legge  truffa   in  Italia e  la  incapacità  della réformette     costituzionale   francese  del  1954    di  invertire  la   tendenza  involutiva[34] .

D’altro  canto   la  Quarta   Repubblica, che  come  sostenne  icasticamente   Raymond Aron alle  soglie   degli  anni Cinquanta , poteva  durare  ma  non  innovare,  crollò  sulla  base  di    crisi  esogene rappresentate   dal  processo  di  decolonizzazione  prima   vietnamita  e  poi  algerino.   Mentre  in  quegli  anni  in  Italia   la  crisi  dell’alleanza   centrista   portava  alla  riscoperta  della  strategia  della  Costituzione   come  strumento   per  l’integrazione   delle  forze  antisistema  – da  un  lato-   e   per  l a  trasformazione  pacifica  dell’ordinamento  dall’altro, il  sistema  francese   giunse  nella  primavera   del  1958  al  punto  di  non  ritorno.

 

4-Le  due  linee- Due   linee     si  posero      in  quegli  anni  in  singolare  alternativa  nei  due  rispettivi  ordinamenti, tanto  da   poter  essere   tra   loro  strettamente  collegate  nei  giorni    dell’implosione  della   Quarta   Repubblica.  Esse  sono  rappresentate     in  maniera  significativa   da  un  lato   da   Michel    Debré,  dall’altro  da     Lelio  Basso  .

Nel settembre   del   1957  Michel  Debré  pubblicò   un  pamphlet    intitolato  Ces  princes  qui  nous  gouvernent[35],  in  cui si   auspicava     la  fine   dell’ordinamento  impotente   ed  oligarchico  rappresentato  dalla  IV  Repubblica.  Si  tratta  di  un’opera  polemica ,  ma  con una significatività   simile  a   quella  del  volumetto  di  Arrigo  Solmi  sulla riforma    istituzionale  italiana   del  1924[36], che  però  accompagnava  e  non  precedeva  il  procedimento  di  innovazione delle  istituzioni  statutarie.

Debré sosteneva  che  la  Francia  aveva   bisogno  di  un  Parlamento,  ma  che  questo    non  doveva   governare  e   che  il   Governo  non  poteva  che  situarsi  attorno   al Capo  dello  Stato, eletto  da  un  collegio  allargato. Il  Governo  ed   il  Primo  Ministro   dovevano  essere   responsabili  davanti  al  Capo  dello  Stato  e  la  loro  responsabilità  nei  confronti  del  Parlamento  doveva  essere  fatta  valere  solo  in   condizioni  eccezionali. Debrè aggiungeva  alla  lista  degli interventi  l’incompatibilità  tra  mandato  parlamentare  e   ministeriale  e  l’adozione  del  sistema  maggioritario  ad  un  turno  solo[37].

Lelio  Basso, preoccupato   per   il  degenerare   della  situazione  anche   per  l’ordinamento   italiano, svolse invece  una  critica  serrata   alla debolezza  delle  forze  politiche  della  Quarta  Repubblica  in  tre  lunghi  saggi   pubblicati  su  Problemi  del  socialismo    nel  secondo  semestre   del 1958[38], mentre  nel  novembre   dell’anno  precedente   aveva  concluso   il  volume   Il principe  senza scettro – Democrazia e   sovranità  popolare  nella  Costituzione[39]. Nella  appendice   all’ultima  puntata   del  saggio  sugli  avvenimenti  francesi Basso  non  aveva  potuto  che  ribadire  la   strategia    prospettata   nel  volume   bilancio  del  primo  decennale  della  Costituzione repubblicana .Egli  sosteneva   infatti che “nelle  condizioni   attuali   del  nostro  Paese, la  Costituzione ,anche  non   attuata, [era]  una  forza   che  i  lavoratori    d[ovevano]  adoperare, perché  essa  offr[iva]      nella  lotta   per  l'attuazione     del  suo  contenuto   politico  e  del  suo  contenuto  sociale, il  terreno   su  cui  po[tevano] cominciare   a  realizzarsi   quegli  incontri ,quelle alleanze e  quelle  convergenze   che  [erano]   indispensabili   a  una  politica  di  alternativa”[40].

Non  era   quella   l’unica  opportunità in  un  ordinamento   che   dal  1953  era  in  crisi  di   transizione   e  che   era  oramai  caratterizzato  da governi    senza  maggioranze  organiche. Il  caso   francese   evidenziava, indubbiamente,    opportunità  e  pericoli differenti  per  i diversi  partners e  si  pose-  perlomeno  sino  alla caduta   del  Governo  Tambroni   nel  luglio  del  1960-  come  un  vero  e  proprio  spauracchio.

Durante la  crisi francese di  maggio  il  ceto  politico italiano  fu   impegnato  nella  preparazione   delle  elezioni  politiche  generali del  1958, che  si  tennero   il  25  maggio, e, durante   il  mese   di  giugno,  nelle  trattative  difficili  per  la  formazione  di  un bicolore  tra  DC  e  socialdemocratici . Gli  avvenimenti  francesi vennero,   quindi,   commentati  in  maniera  istituzionale     solo  nel  corso  del dibattito   sulla fiducia   al   II Governo  Fanfani    nel  luglio  successivo, ma   vennero  utilizzati  come  memento   per  l’elettorato   in  campagna  elettorale  . Su  ciò che  era  accaduto  in  Francia  si  soffermarono  significativamente  alla  Camera   dei  deputati    De  Marsanich, Nenni  e  Togliatti.   De  Marsanich  sottolineò  come     il  Presidente  del  Consiglio  non  avesse   detto  parola  sul  caso  francese, nonostante  la  centralità  di quel  Paese   per  l’Europa  e  che     in  Francia   si era “dissolto   un   sistema  politico basato  sulla  partitocrazia, che  non  era  davvero  peggiore   di  quello  vigente  nel  nostro  paese.[41]

 Nella  seduta  del  16  luglio   Pietro  Nenni ammise  che  “ negli  eventi  francesi [vi era] un  insegnamento  e  un  monito”,ossia “ che  in  Parlamento   [era] pericoloso    giocare  al  massacro    ministeriale  quando  non  si  [avevano] altre  soluzioni  da  offrire;  che   la   vita  democratica   parlamentare  imputridi[va]  se  i partiti   e  gli  uomini  si   istalla[va]no  nel  compromesso   ad  esso  sacrificando   gli  interessi  e  gli  ideali dei  qual i  sono  portatori[42].

Togliatti    due  giorni  dopo   affermò  che   in  Francia  era  stato  dato “un  colpo  mortale   al  regime  parlamentare”, che  non  esisteva  in  essa “ancora   oggi …un  regime   fascista”, ma “un  regime    di  dittatura  personale  fondato  essenzialmente  sopra  un  apparato  militare”  e  che   si  erano  “ però  create  molte   delle  condizioni  perchè  si  giung[esse] a  un  regime   apertamente  fascista”. La  sua  conclusione   fu  che, “mentre  il  Parlamento  francese  scompare  dalla  scena  politica  europea…. noi  abbiamo  il  dovere   di   affermare    la  nostra  fiducia ,come  partito  comunista, nel   regime   parlamentare   e  nel  regime   dei  partiti  politici ,  come   base  di  democrazia  politica a  cui   nel  nostro  paese  non  si  può  e  non  si  deve  rinunziare”[43].

Come   è  stato   sottolineato  da  molti,  fu  proprio  la   forte  strutturazione  del  sistema  dei  partiti   italiani  che  garantì la  persistenza  dell’ordinamento  e  diede  la  possibilità  allo  stesso   di  evitare   gli  scogli  dello Stato  amministrativo tambroniano, un  classico  della  proposta  conservatrice su  linea  sonniniana[44].  Il  sistema  si  sviluppò  dunque,dopo  le  incertezze  della  transizione  al   centro-sinistra  sulla  linea   dell’applicazione  del  dettato  costituzionale  e   dell’integrazione  delle  forze  politiche   presenti  nell’arena.

 

5- La   dinamica  cinquantennale della  V  Repubblica  e   la  revisione  del  2008-   La  dicotomia tra   integrazione   e  riforma e  poi   il tentativo  di  superarla      giustifica  ampiamente   la  prospettiva   assunta  dal  Convegno , che   viene   sintetizzata  dalla  prima  parte  dello  stesso, sia  dai  relatori  francesi  che  da  quelli  italiani.

I  relatori  francesi,  le  cui  relazioni  sono  state  distribuite, mettono  in  evidenza   la  coppia  fondamentale   istituzioni –partiti. In  particolare, la  prof.ssa  Anne-Marie  Le Pourhiet  descrive  in   maniera  lucida  i  mutamenti   avvenuti  sia  dal  punto  di  vista   formale  che  sostanziale  nell’assetto  costituzionale  francese  di  questi   ultimi  cinquanta  anni  e  lo  fa  con  una  alta sensibilità  storico-politica.  Non  soltanto  Le  Pourhiet evidenzia   come  nel  tempo  vi  siano  state  profonde   modifiche   nella  concezione   presidenziale dopo  l’uscita   di  scena  di  de  Gaulle (ma  la  secolarizzazione investe  anche  lui sia  nel  1965  che  nel  1969),  ma  sottolinea   come nell’ordinamento siano   penetrati   sempre   più      Stato   di  diritto, Europa  e     nuovi  diritti. 

Sul  lato   della  sociologia  politica   Marc  Lazar   sottolinea  con  forza  come  l’ordinamento semipresidenziale   francese   non  sia  privo  di  partiti,  ma   come   anzi  gli  stessi  lo  caratterizzino   fortemente   nelle  varie  fasi   della   sua  vicenda  storica. L’interazione   tra   sistema  istituzionale  e   sistema  dei  partiti  diventa  dunque   fondamentale   per  comprendere     non  soltanto   la  dinamica, ma  quello  che   personalmente  definisco  come  il  successo  del  modello  francese.  Da  un  lato  i  partiti  vengono  attratti  dalla  forza  di  gravità  delle  istituzioni semipresidenziali, dall’altro   essi  sono  divenuti  sempre  più  indispensabili  per  i  candidati  alla  massima  carica dell’ordinamento.

Simili  osservazioni  non  nascondono  le  debolezze  della  Costituzione   e  gli  effetti (contraddittori) che  la  presidenzializzazione  ha  avuto  sui partiti. Le   Pourhiet   sottolinea  come  la  Costituzione   sia  stata “eretta  a  strumento di  comunicazione  del  Presidente  della  Repubblica” e  in  questa  dimensione   parla  di   bougisme, concetto  che  potrebbe   essere  tradotto  con  movimentismo o con  il  più  napoletano “fare  ammuina”  istituzionale.  Un  simile  giudizio  visto  da  citramontani  è  forse  troppo  severo  e  svuota   gli  elementi   di   riequilibrio  che   sono  stati  introdotti  all’interno  del  sistema  nel  tempo, ma  nello  stesso  tempo  li  relativizza.

Le osservazioni  di  Marc  Lazar sugli  effetti   positivi  che  la  presidenzializzazione  ha  avuto    sulla vicenda  del Union pour un Mouvement Populaire (UMP)[nato  nel  2002  dalla  confluenza dei neogollisti dell'RPR (Rassemblement Pour la République), dei liberali di DL (Démocratie Libérale), e di una parte dei centristi dell'UDF (Union pour la Démocratie Française)] e  su  quelli  negativi  che  ha provocato  nel  Partito  socialista  e  nelle  formazioni  minori  sono-  a  mio  parere-   della  più  alta  significazione  per l’analisi  del   dibattito  italiano  .

  La     parte  del   Convegno   dedicata  all’esame    delle innovazioni  francesi  del   2008  viste   da  alcuni  studiosi  italiani penso  confermerà   il   giudizio  che  si  tratti  di  un  maquillage,  anche  attraverso    l’esame dei lavori  della  commissione  Balladur  e  di   quelli  parlamentari. Personalmente   ritengo  che  la parte più rilevante   degli  interventi  sia quella  relativa   ai contropoteri dell’opposizione e all’apertura alla giustizia costituzionale. Sono questi gli elementi caratterizzanti di un intervento che ha alla sua base l’esigenza di dare un senso all’azione ed una legittimazione alle assemblee parlamentari francesi, che vengono generalmente considerate non reattive. E’ questa una condizione che unisce tutti gli ordinamenti considerati stabili di democrazia d’investitura con strutture di partito forti o con forme di compensazione di un’eventuale debolezza partitica sul piano della forma di governo. In determinate circostanze le forme di governo presidenziali (e tutti facciamo riferimento al Congresso degli Stati Uniti) possono possedere   assemblee reattive, ma la letteratura internazionale – sia di tipo politologico che costituzionalistico  è concorde nel ritenere le forme di governo parlamentari di tipo monistico (razionalizzate o  naturalistiche che siano) come caratterizzate da parlamenti deboli. In questa prospettiva sia laFrancia della V Repubblica, sia la Gran Bretagna di Brown sono caratterizzate da parlamenti deboli.

 

6-Le  tre  fasi    dell’interpretazione  italiana- L’analisi  delle   recenti    revisioni   del  2008   è  preceduta   da  una    valutazione  di  come   il  dibattito  politico  e  dottrinale  italiano  ha  giudicato   la  dinamica   e  l’eventuale  importazione  dell’assetto  istituzionale   della  Quinta  Repubblica. Essa   è  articolata  in  una  periodizzazione in    tre  precise  fasi, collegate  con  la  dinamica  politico –  istituzionale francese   ed  nazionale,  che  si  sono  riflesse   sul  giudizio  complessivo   della  manovra  gaullista  del  1958   e  sugli  stessi singoli   elementi  istituzionali.In  tutti e  tre  i  periodi  i  piloni  fondamentali   della  cura  da  cavallo  gaullista che  nel 1958 investì partiti  politici, sistema  elettorale, politica   delle  fonti, rapporti  governo-parlamento, poteri   del  Governo  e  del  Presidente  della   Repubblica  sono    stati    analizzati  e  trattati  in  maniera  differenziata, ma   sempre  più  laica, nell’ambito  del  dibattito  italiano[45].

 

La  prima fase, sintetizzata  con  il  termine   avversione     ha  coperto   perlomeno  il primo  ventennio   di  storia della  Costituzione    gaullista e  si  è  collegata  con   la  fase  di  transizione  italiana   al  centro-sinistra  ed  al   periodo successivo  alla  crisi  dello  stesso.  E’  evidente   che   l’atteggiamento  dei  soggetti    è  stato   differente   nel  primo  decennio  (  se  si  vuole   nei  primi   sette  anni  fino  alle    prime  elezioni  presidenziali  dirette   del  1965) caratterizzato  dal  potere  carismatico di   De  Gaulle   rispetto   al  secondo,  dove,soprattutto  con  la  presidenza  Giscard,  vi  è  stato  un   primo  addolcimento   del  nuovo  regime.   Le  forze  politiche  italiane  favorevoli  alla riforma  francese  furono- com’è noto-   da  un  lato il MSI  e  ,dall’altro,     il  movimento  per  una  Nuova  Repubblica  di   Randolfo  Pacciardi[46]. La  dottrina     giuspubblicistica,  sostanzialmente  collegata  con   la  posizione   del  ceto  politico, ebbe  poche  eccezioni nella  sua  avversione .  Serio  Galeotti e  Fausto  Cuocolo   espressero   forti  e  preoccupati dubbi   sui  rivolgimenti  francesi(  sostanzialmente  convergenti   con  quelli  di  Elia  e –più  tardi- di  un  giovane Bassanini), mentre   Gugliemo  Negri , alla  fine  del   suo  Verso  la  quinta repubblica,  sostenne-invece-   che  nel 1958 francese  non    ribolliva    “l’avventura  totalitaria”,  ma si   profilava “  la  sagoma  di  nuove  strutture,di  nuovi  istituti,di  cui  nel  diritto  costituzionale  contemporaneo,  in  rapidissima  evoluzione, quasi  esiste  il  presentimento”[47].  Una  simile  apertura  costituì, tuttavia,    una  sostanziale  eccezione (tipica  di  alcuni  settori  repubblicani) nel  panorama intellettuale   del  periodo.

 In  questa  sede   vorrei  ricordare  invece (  e  pour cause  in  questo  triste  giorno  di  distacco)  come  tipico della  fase  dell’avversione, perché  non  viene   mai  citata  in  questo  contesto,     la  posizione  di  Sergio  Fois   nel  suo   volume   La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali [48], segnalandolo  anche come  estensore  delle classiche  sintesi  di Mortati   su Le   forme  di   governo [49]che  così  profondamente  hanno  inciso  sulla  posizione  della  dottrina  costituzionalistica. Per  Fois    era, infatti,  la  violazione   della  centralità  parlamentare   nella   produzione  normativa  l’oggetto di  maggiore   preoccupazione  e  direi  di  scandalo. 

C’è  da  dire  che il  giudizio  sulla  riforma gaullista  in  sé   e  quello   sulla  sua   applicabilità   per  l’Italia  si  modificarono  e  anche   rapidamente  nel  corso   dei  tre  lustri  successivi. In  questa  prospettiva    la edizione  finale    del    volume  di Mortati, che   è  del  1973,  evidenzia     la   stabilizzazione  del  giudizio  sull’evoluzione  del  sistema  francese,  con  il  riconoscimento   di  un  parco  di   poteri  “più  vasti    di  quelli  dello  stesso  Presidente  nordamericano”, ma  anche   che   alla  base     “della  formula  costituzionale”  si   poneva   la  “presenza   di  una  forte  maggioranza  parlamentare   favorevole  alla   politica  presidenziale”[50].La  chiusa di  Mortati     su “la  soddisfazione    diffusa    nel  paese  in  considerazione   della  stabilità  di  indirizzo   che  esso  assicura e  che  si  rivela  benefico, così  da  non   fare  rimpiangere    il  precedente  regime  parlamentare,di  tipo  ottocentesco,del  tutto   inidoneo  a  soddisfare  le  esigenze di   uno  Stato   interventista   nei  rapporti  economici”[51],  evidenzia   quel  mutamento  di  prospettiva  che   nella  seconda  metà  degli  anni  Sessanta  e   nei  primi  anni  Settanta   una  parte  della classe  dirigente, tra  cui  parte  della   dottrina   giuspubblicistica  evidenziarono in  relazione   alla  situazione  di  stallo  e  di  persistente  crisi  sistemica,  successiva  al  fallimento  dell’alleanza  di  centro-sinistra.

Il  noto  duplice dibattito  tra  giuspubblicisti  sulla  rivista   Gli  Stati, coordinato da  Franco  Cangini, evidenziò  da  un  lato   la  consapevolezza   della  acutezza  della  crisi,dall’altro  l’impossibilità  di  recepire   le  suggestioni  nordamericane  o  quelle  francesi, ma il riconoscimento   che   la  soluzione   francese   era  oramai  legittimata e  sgombra  da  ambiguità  autoritarie.  Il  rafforzamento  dell’asse Corpo  elettorale,maggioranza, Governo, Presidente  del  Consiglio  veniva  ipotizzato  con  la  recezione   di  innovazioni    sul   piano  della  forma  di  governo  e  del  sistema  elettorale.  Il  processo  di  omogeneizzazione  delle  forze   politiche e  sociali   stava   per   convincere    esponenti  della  dottrina   costituzionalistica  dell’opportunità  di  intervenire  anche     sul  lato   dei  meccanismi  elettorali  selettivi . Ricordo  in  questa   prospettiva  non  soltanto     il  commento di  Mortati  all’art. 1  della  cost.  nel  Commentario Banca[52],  ma  anche   le  notazioni  reperibili   nelle varie   edizioni del  manuale   di  Lavagna[53].     

Su   tutto   questo,all’interno  della  prima  fase  della  transizione  infinita   che   ha  caratterizzato  il  sistema  politico- costituzionale  italiano   interverrà  Mauro  Volpi,   che –  sul  limite   estremo  del  periodo-  pubblicò   un  volume  su La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e quinta  repubblica francese[54].

Con  ogni  probabilità  egli  ha  cambiato  parere  su  alcuni  elementi  dell’analisi    da  lui allora  operata,  ma  proprio  questo   favorirà  la  comprensione  del  mutamento  di  prospettiva  intervenuto.  [55]Ma  avevano cambiato   parere  anche  altri   tra  i soggetti  che   intervennero   in  questo  periodo. Ricordo   tra  gli  altri ,ovviamente,   Serio  Galeotti, della  cui  evoluzione   parlerà   Rino  Casella concentrandosi  sul momento  di  svolta   del  1966  al  Convegno  di Dottrina  dello Stato di  Trieste, o    Guglielmo  Negri e  Fausto  Cuocolo, ma  anche  Leopoldo  Elia  e   di  Franco  Bassanini,  che  seguirono   con  attenzione   l’evoluzione  francese  nel  tempo,  mentre   già  durante   gli  anni  Sessanta     alcuni autori  avevano   incominciato  a  recuperare   alcuni  pezzi  della  riforma  gaullista   sul  piano  del  sistema  elettorale(  penso  in  particolare  a   Domenico  Fisichella o  a  Giovanni  Sartori in   chiave  di  selezione  delle  opposizioni  antisistema).

 

La  seconda  fase   intitolata   con   il  termine  la  recezione (meglio  sarebbe  stato dire  il  tentativo  di  recezione)   è   stato  affidato  a  Giuliano  Amato, i  cui  interventi  istituzionali  sin  dal  1976  avevano animato   la  discussione  istituzionale[56].  La  proposta    di   adozione  di  un  “semipresidenzialismo”  souple   operata  a  Trevi,   al  fine   di  riaggregare anche  attraverso  la  riforma  del  sistema  elettorale il  sistema   politico  italiano, costituì  un  significativo  sdoganamento  di  alcuni  aspetti   del  sistema  francese, che   dopo la  riforma  costituzionale  giscardiana del  1974, stava  addolcendo  il suo  carattere  maggioritario  e   che –  dopo  il 1981- con  la  vittoria mitterandiana    aveva  assunto   una  significazione  differente  rispetto  al   passato.  Le  ragioni  sistemiche    e  nello  stesso    partigiane   della    proposta     ve  le  spiegherà  Lui  in  alternativa  con  le  suggestioni  del  Governo  di   legislatura  di  Gianfranco Miglio[57],abbracciato  dalla  dirigenza  democristiana o  al  recupero- senza  traduzione-  del  modello  francese, che    veniva  suggerito  soprattutto  dal  MSI.

In  quegli  anni – cui Marco  Gervasoni  dedica   nel  suo  intervento   interessanti   riflessioni –  il  blocco  del  sistema  politico  italiano   vide –  al  di  là  delle  macrodiscussioni culminate   nella  Commissione   bicamerale  presieduta  da  Bozzi- il  tentativo  di   adottare   riforme  infrasistemiche  che  potessero  smontare  il  meccanismo  consociazionistico  che  il  periodo  degli  anni   Settanta aveva   costruito.   In  quest’ambito  tutti  i  pezzi   dell’assetto  francese  entrarono  in  gioco  e  vennero   tradotti   in  italiano   nel    dibattito   infinito  delle   riforme  istituzionali. Dal  sistema  elettorale  maggioritario  a  doppio  turno  che    verso  la  fine  degli  anni  Ottanta  verrà  sposato  da   esponenti  del   maggior  partito  di  opposizione, fino  ad  arrivare   alle  innovazioni   relative  alla  politica  delle   fonti  di  cui  è  pervasa  la  legge   n. 400  del  1988.

 

La  terza fase   è   stata  definita   come  l’impossibile  adozione è     affidata  ad  Oreste   Massari,  che   sostituisce  da  par  suo  Augusto  Barbera, trattenuto  in  quel di  Zola  Predosa  dalla  selezione delle  candidature  a  sindaco  di  quel comune  della cintura  bolognese.

Massari,  che  non   è  come    Barbera  un  cultore   del  duvergismo,    dovrebbe  analizzarla  alla  luce    di  un  percorso,  che-   dopo  il  successo  dei  referendum del  1991 e  del  1993-   ha  visto  –  a seguito della  crisi   di  regime-  importanti  interventi   sull’assetto  costituzionale  nell’ambito  di   un  riallineamento  epocale  del   sistema  partitico.  Il  suo  intervento  si  concentrerà  sul  tornante   della  Commissione   D’Alema  e   sulla   adozione  del   cosiddetto  semipresidenzialismo nel  grande  gioco  della  transizione   infinita. Negli  anni  Novanta     i  nuovi   partiti   apparsi   nell’arena    recepirono  le  suggestioni  francesi. AN  non  aveva   bisogno di  stimoli, il Polo delle  libertà   lo  propose nel  programma, il  Governo  Berlusconi   si  lasciò  aperta   l’alternativa  tra  premierato  e  semipresidenzialismo,  mentre   i  costituzionalisti  stimolati  dall’ondata  costituzionale  nei  paesi  dell’est europeo   scoprirono  il  semipresidenzialismo, alcuni  identificandolo tout court   con  il modello  francese[58], altri  più  cautamente    con  una   forma  di  governo  a  possibilità  multiple[59]

 

 

7- La  conclusione    della  transizione  italiana  e  la  quarta  fase  nel  rapporto  con  le  istituzioni  francesi.

Passo  rapidamente  alle  conclusioni. Le  più  recenti   innovazioni  costituzionali  francesi  saranno esaminate anche  nella   prospettiva  italiana  da   Beniamino Caravita(Esecutivo), da  Paolo  Ridola (Legislativo) e  da Alfonso Di  Giovine( Controlli). La   loro  analisi  e  quelle  delle  comunicazioni   di  settore (penso  in  particolare  all’intervento  sullo  Statuto  dell’opposizione  di  Stefano  Ceccanti,  ma  anche  ai  lavori  di  Paola  Piciacchia  e   Simone  Benvenuti) forniranno  indicazioni     precise   sul  giudizio  della  dottrina  italiana  sulla  più  recente  evoluzione francese, mentre  la  tavola  rotonda  finale esprimerà  l’opinione  di  esponenti  qualificati  del ceto  politico.

Personalmente penso  che  la   prospettiva   di  una quarta  fase   nel  rapporto  con  le  istituzioni  francesi  lasci spazio alla eventualità  di  una possibile   adozione di  alcuni  elementi   delle  stesse. E’  questo  un  giudizio   che   non  coinvolge  altri  che  chi  parla, ma   è  bene   dirlo in  maniera esplicita.

Vorrei, a  questo  proposito, sottolineare  quattro  punti fermi:

1.      Questo  convegno  vuole  esaminare  laicamente  il  modello  francese, traendolo fuori  da  anatemi  anacronistici  o  dall’esclusivismo   particolaristico  della elezione  diretta  del  Capo  dello  Stato.

2.       La  capacità  di  reazione  alle  sfide   dell’ultimo     cinquantennio   della   Costituzione   del  1958    ha  evidenziato  che   la  cura   istituzionale  gaullista  ha    sostanzialmente   funzionato.

3.        La  suggestione   istituzionale  francese   è  stata   incrementale      ed   è   forte  in  Italia, ma  bisogna  guardarsi  dal  decontestualizzare  gli  interventi.

4.      La  forma     di  governo  parlamentare  razionalizzata   a  tendenza  presidenziale   pare   più  elastica    ed  adattabile  del   premierato   rigido sostenuto  dagli  emuli  di  Duverger.

Evidenziati   questi  punti,   si  può  anche  dire, in maniera  sintetica, che   nelle  democrazie   di  massa  contemporanee    i  meccanismi  istituzionali servono,  ma  sono necessari   anche  i  partiti e  che  entrambi  devono  essere  adeguati   alle  esigenze   dei  contesti  di  riferimento.  Istituzioni  senza  partiti strutturati  e animati  da  una  partecipazione   democratica    portano  al  pericolo plebiscitario, partiti  pervasivi e  frammentati  senza  istituzioni forti  conducono  all’instabilità  e  all’occupazione  personalistica   e/o  correntizia   delle   strutture  statuali.

 La  Francia   della  V  Repubblica, anche  alla  luce  delle  recenti  revisioni  costituzionali  degli  ultimi  anni,   non  sta-dunque-  perdendo  le   proprie  caratteristiche, le  sta  solo  adeguando-    come  ha  ribadito   Fillon l’anno  scorso  in  Parlamento  in  singolare  continuità  con  le  posizioni  di  Debré –  alle  esigenze  di  equilibrio  tra  gli  organi  costituzionali  ed  i  soggetti  in  campo.

La     ristrutturazione  del  sistema  politico-istituzionale  italiano   dura, invece,  da  troppi  anni e  non  evidenzia  scelte   sufficientemente  coraggiose.  Il  riallineamento  partitico ha  prodotto  nel  2008 forti  cambiamenti,  ma    esso  non  si  è ancora     definitivamente   consolidato. Mancano  i  partiti, manca  la  partecipazione  politica, manca  la  coerenza  nel  disegno  istituzionale complessivo. Manca  in  sostanza   l’equilibrio.

 Come  in  Francia la  maggioranza  di  Governo  sembra   rafforzata  dalla  vittoria  elettorale,  ma   l’incoerenza  dei  meccanismi  elettorali e   la reazioni della  Opposizione  alla  sconfitta  e  la  persistente disomogeneità   della  maggioranza rischiano  di  indebolire  i  due  maggiori  soggetti   e ritardare   la  conclusione  di    un  processo  che   le  sfide  della  crisi   richiedono  in  maniera  urgente.

Abbiamo  celebrato  nell’ultimo  triennio  il  sessantennale   della  Costituzione  repubblicana,  che  oramai   è affidata  alle  nuove  forze  politiche  del  post-1993  e  ai  cittadini.  Costituzionalisti  come   Leopoldo  Elia  e Valerio  Onida,  sulla  base  delle  suggestioni  di  Giuseppe Dossetti    a  Monteveglio , radicano  la  Costituzione     su  piastri   oramai  esogeni (  le  quattro  libertà  di Roosevelt  e  l’Europa).  Il rischio   di  una  riscrittura  del   patto    è  molto  alto, mentre la  sua   rilegittimazione   stava  alla  base  della  proposta  della  Commissione  bicamerale  del   1997. L’appello  alla  responsabilità  dei  partners   è  sempre   più necessario al  fine  di   adeguare   le  strutture  della casa  comune   in  un  periodo in  cui  la  coesione  sociale   verrà  messa  in  pericolo.  La  speranza   è sempre   quella  che  si  raggiunga  un   compromesso efficiente  tra  i  soggetti  politicamente rilevanti, quello   che  Mortati   auspicava  già  nel  corso  dei  lavori  della  Commissione  Forti.



[1]V.  A. Saitta, Costituenti  e  costituzioni  della  Francia  moderna,Torino,Einaudi,1952,p.9; G.  Negri , Verso  la  Quinta  Repubblica.L'evoluzione   costituzionale  contemporanea   in   Francia, Pisa,Nistri-Lischi,1958,p.5.

[2]C. Ghisalberti,Le costituzioni giacobine (1796-1799) ,Milano, Giuffrè,1957

 

 

;idem,Dall'antico regime al 1848 : le origini costituzionali dell'Italia moderna,Bari,Laterza,1987.

   

 

[3]M.Galizia,Diritto  costituzionale(profili storici),in  “Enciclopedia  del  diritto”,vol.XII,p.962.

[4]Idem,p.964.

[5]V. D. Zanichelli(a  cura  di ), Lo Statuto di Carlo Alberto secondo i processi verbali del Consiglio di conferenza dal 3 febbraio al 4 marzo 1848,Roma,Dante alighieri,1898,  ma  v.  anche G. Negri-S. Simoni,Lo statuto albertino e i lavori preparatori,roma,Colombo,1989.

[6]V. A. Baldassarre-C.Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale : da De Nicola a Pertini, Roma -Bari, Laterza, 1985.

[7]V. per  questo riassuntivamente E.A. Albertoni,La teoria della classe politica nella crisi del parlamentarismo,Milano,Cisalpino,1968.

[8]V. F. Lanchester,La  rappresentanza  in  campo  politico  e  le  sue  trasformazioni,Milano,Giuffrè,2006.

[9]V. C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus,Berlin,Duncker& Humblot,19262.

[10]V. A.L.Lowell, Governments and Parties in Continental  Europe , London, Longmans, Green, 1896(2  voll.)

   

 

[11]V.E.Crosa, Lo Stato parlamentare in Inghilterra e in Germania,Pavia,Facoltà  di  Scienze  politiche,1929

[12]V.A.Giannini, Tendenze costituzionali,Bologna,Zanichelli,1933.

[13]V. B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel,Paris,Giard,1931

[14]V. G. Burdeau, Le regime parlementaire dans les constitutions europeennes d'apres guerre, Paris, Editions  internationals,1932.

[15]V.L. Rossi, La “elasticità” dello Statuto italiano,in “Scritti  giuridici in onore  di  Santi Romano”,Padova,Cedam,vol.I,1940,pp.25 ss..

[16]V.C.Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano, Giuffrè, 1940.

[17]V. riassuntivamente B. Mirkine- Guetzévitch, Le  Costituzioni  europee,Milano,comunità,1954,pp.39 ss.

[18]V. U. De  Siervo,Le  idee  e  le  vicende  costituzionali   in  Francia  nel  1945 e 1946   e  la  loro  influenza  sul  dibattito  italiano ,  in  “Scelte   della  costituente  e  cultura  giuridica.I :  Costituzione  italiana  e  modelli  stranieri”, a  cura  dello  stesso,Bologna,Il  Mulino ,1980, pp.293  ss.

[19]V.S.Guerrieri,Due  Costituenti   e  tre  referendum.La  nascita  della  Quarta  Repubblica  francese,Milano,Franco  Angeli,1998

[20]V.  F.  Lanchester, I  partiti e  il  sistema  elettorale   nel  pensiero  di  Piero  Calamandrei ,in  “Piero  Calamandrei.Ventidue  saggi  su  un  grande  maestro”,a  cura   di  P. Barile,Milano,Giuffrè,1990,pp.417 ss.n 22  saggi  su  un  grande  maestro

[21]V.G.Guarino, La  stabilità  del  governo   e  la  garanzia   dei  diritti  delle  minoranze  nei  dibattiti  costituzionali  in  Francia, in  “Rassegna  di  Diritto  pubblico,” 1946,pp.150  ss .  e  poi G. Guarino,Lo  scioglimento  delle  assemblee  parlamentari,Napoli,Jovene,1948.

[22]V.Biscaretti  di  Ruffia,Cronaca  costituzionale   straniera, in  “Rivista   di  diritto  pubblico” ,1947.

[23]V.A.Amorth,Corso di diritto costituzionale comparato : (Stati Uniti d'America, Inghilterra, Svizzera, Unione Repubbliche socialiste sovietiche, la nuova costituzione della Francia),Milano,Giuffrè,1947.

[24]V.A.Giannini, La  Costituzione  francese  del  1946,in  “Rivista  di  diritto  pubblico”,1948,I,pp.210 ss.

[25]V.G.D.Ferri, Trasformazioni  e  incertezze  costituzionali,in  “Annali  di  diritto   pubblico”,XXV,1950,pp.137  ss

[26]V.F.  Pierandrei, La  costituzione  della  IV Repubblica francese, in “Rivista trimestrale di  diritto  pubblico”,1951,pp.713 ss.

[27]V.F. Cuocolo ,Il  difficile   cammino  della  costituzione  francese,in  “Civitas” ,1954,luglio

[28]V.  C.  Mortati(a  cura  di),  La  Costituzione  di  Weimar,  Firenze,Sansoni,1946.

[29]A. Tesauro,Il  sistema  parlamentare   nell'ordinamento  inglese  ed  in  quello  francese  ed  italiano, in “Rassegna  di  diritto  pubblico”,1952,I,pp.121 ss.

[30]V. C. Lavagna, ll sistema elettorale nella Costituzione italiana, in “Rivista trimestrale  di  diritto  pubblico”,1952,pp. 849 ss..

[31]V. C. Lavagna, Considerazioni sui caratteri degli ordinamenti democratici,in  idem,1956,pp. 392 ss..

[32]V. G.  Maranini, Governo parlamentare e partitocrazia, Lezione inaugurale dell'Anno Accademico dell'Università di Firenze 1949-1950,Firenze,Ed. universitaria,1950.

[33]V.G. Perticone, La torre di Babele : Italia 1949,Roma-Firenze,Leonardo-Sansoni,1949.

[34]V.  per  questo F. Cuocolo ,Il  difficile   cammino  della  costituzione  francese,in  “Civitas” ,1954,luglio. 

[35]V.  M. Debré,Ces  princes  qui  nous  gouvernent…,Paris,Plon,1957

[36]V.A. Solmi,La  riforma  istituzionale,Milano,Alpes,1924

[37]V. M. Debré,Ces  princes  qui  nous  gouvernent…,cit.,pp.174  ss.

[38]V. L. Basso,La  crisi  della  democrazia  francese  e  le  sue  cause,

in   “Problemi  del  socialismo”,1958,n.6,pp.407 ss.; n.7,pp.487 ss.;

n.8,pp.567 ss. con  un’appendice  su  Cose  di  Francia   e   d'Italia,pp.588 ss.

 

 

[39]V. L. Basso,Il principe  senza scettro -Democrazia e   sovranità  popolare  nella  Costituzione,Milano,Feltrinelli,1958.

[40]V. L. Basso,Cose  di  Francia   e   d'Italia,in  “Problemi del  socialismo”,cit.p.599.

[41]V.III  legislatura,seduta  del 15  luglio 1958,  p.204

[42]V. III  legislatura,seduta  del 16  luglio 1958, p.307-

[43]V. III  legislatura,seduta  del   18  luglio 1958,p.425.

[44]V. F. Tambroni, Un governo amministrativo, Roma , Les problemes de l'Europe, 1960

[45]In  questa  prospettiva pare   eccessivamente  sezionale   la  pregevole trattazione    di  Carlo  Fusaro,L'Italia e il modello della Quinta Repubblica: dall'odio, all'amore… e al dubbio,in  “Forum  di  Quaderni  costituzionali”, tutta  incentrata  sulla ipotesi  dell’elezione  diretta   del   Capo  dello  Stato.

 

 [46] V. R.Pacciardi,Il Partito repubblicano fuori strada,Roma,ADE,1960 e Per una nuova repubblica,Ravenna,A.R.A.,1964.

[47]G.  Negri , Verso  la  Quinta  Repubblica.L'evoluzione   costituzionale  contemporanea   in   Francia,cit.,

[48]V. S. Fois, La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali,Milano, Giuffrè, 1962.

[49]V. C. Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato tenute dal prof. Costantino Mortati, raccolte dall'assistente prof. Sergio Fois,anno accademico 1957-58 / Università degli studi di Roma, Facoltà di scienze politiche, Roma, Edizioni Ricerche, 1958, pp.273-274.

[50]V.C.  Mortati, Le forme di governo : lezioni, Padova, Cedam,1973

[51]Idem,p.274.

[52]v.C.Mortati,art.1, in  “Commentario alla Costituzione : Principi fondamentali : Art. 1-12 “, a cura di Giuseppe Branca”, Bologna -Roma , Zanichelli – Soc. ed. del Foro italiano, 1975.

[53]V.C. Lavagna,Istituzioni di diritto pubblico,Torino,UTET,1973,1976,1982.

[54]V. M. Volpi, La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e 5. repubblica francese,Bologna,Il  Mulino,1979.

[55]V. P.L.Zampetti(a  cura di), La funzionalità dei partiti nello Stato democratico : atti del 1. Congresso nazionale di dottrina dello Stato, Milano,La nuova Europa,1967.

[56]V. G. Amato, Una repubblica da riformare : il dibattito sulle istituzioni in Italia dal 1975 a oggi,Bologna,Il  Mulino,1980.

[57]V. G.Miglio(a  cura  di),Verso una nuova costituzione, Ricerca promossa dal CESES su “Costituzione vigente e crisi del sistema politico: cause ed effetti”,Milano,Giuffrè,1983,2 voll..

[58]V.A.Rinella, La forma di governo semi-presidenziale : profili metodologici e circolazione del modello francese in Europa centro-orientale,Torino , G. Giappichelli, [1997

 

[59]V. S. Ceccanti- O. Massari- G. Pasquino, Semipresidenzialismo :analisi delle esperienze europee ,Bologna,Il  Mulino,1996; A.Giovannelli (a  cura di),Il semipresidenzialismo : dall'arcipelago europeo al dibattito italiano,Torino,giappichelli,1998; A. Canepa,Il sistema semipresidenziale aspetti teorici e di diritto positivo,Torino,Giappichelli,2000.

 

LA  TRANSIZIONE ITALIANA  E  LA QUARTA  FASE   NEL RAPPORTO  CON  LE  ISTITUZIONI  FRANCESI DELLA QUINTA REPUBBLICA

di

Fulco Lanchester

 

Sommario:0-Ringraziamenti;1-L’occasione ed  il taglio   del   Convegno – 2-Francia – Italia: le  radici di  un  rapporto   sempre  presente; 3-Il  periodo  delle  tre Costituenti e la  vicenda della   IV Repubblica; 4-Le  due  linee; 5- La   dinamica  cinquantennale della  V  Repubblica  e   la  revisione  del  2008-; 6-Le  tre  fasi    dell’interpretazione  italiana;7-Conclusioni: la    transizione  italiana  e  la  quarta  fase  nel  rapporto  con  le  istituzioni  francesi.

 

0-Ringraziamenti-   Mio  compito   è  quello  di  introdurre  in  maniera  sintetica  i  lavori  di  questo  Convegno. A  questo  fine, prima  di  tutto,   sono  tenuto     ,   anche  a   nome  dei  rispettivi  Centri  che  hanno  promosso  la presente iniziativa ,   ad   operare     ringraziamenti  non  formali nei  confronti  del   Presidente  della  Camera  dei    Deputati  on.  Gianfranco  Fini  per  la  Sua  presenza attiva  e  per  la  concessione  di  questa   prestigiosa  Sala   del Refettorio  come  sede    del   Convegno .

Ringrazio   e  saluto,       inoltre,  i  relatori (stranieri  ed  italiani)     e  tutti  i   partecipanti    a  questo   Convegno,  che  impegna  specialisti   di  differenti discipline(ma  soprattutto  costituzionalisti)  in  una  riflessione  corale  sulle  istituzioni  francesi  della  V Repubblica anche  alla  luce  delle  recenti  innovazioni   costituzionali  del  2008.

 Cercherò,dunque,   di  spiegarne in  maniera   sintetica    le  ragioni  ed  il  taglio.

1- L’occasione ed  il taglio   del   Convegno – A   cinquanta  anni  dalla   promulgazione  della  Costituzione   francese  del   1958  e  in  occasione   di  quello  che  deve  essere   considerato   come  l’importante,   ma  non  stravolgente,     maquillage  costituzionale  dell’anno  scorso, la  nostra    odierna riflessione assume  aspetti  di  originalità  e    si  inserisce    in    un  biennio  di  anniversari  importanti   per  gli  ordinamenti  francese, tedesco,spagnolo  ed  italiano. Non  soltanto   l’anno  scorso  si  sono  commemorati   i  sessanta  anni  della  promulgazione  della  Costituzione  repubblicana ,  i  cinquanta   di  quella   della  quinta  repubblica  francese e  i  trenta  di  quella  spagnola,  ma   quest’anno  ci  accingiamo  a   ricordare   i  novanta   della Costituzione   weimariana,  cui  il  Centro  di  Teoria  dello  Stato  prevede  di  dedicare  uno  specifico Convegno nel  prossimo  ottobre,  ed  i  sessanta  del  Grundgesetz  di  Bonn.  L’incrocio   Francia,  Germania,Italia e  Spagna    costituisce-  com’è  noto-  oramai   un  classico  della  riflessione  costituzionalistica  e  politologica e  non  ha  bisogno  di  essere  giustificato, perché  apparirà  sullo  sfondo  di  tutto  il  Convegno. Esso viene   utilizzato  non   soltanto  per  comparare   i   singoli  rendimenti   istituzionali ,ma   soprattutto  per  verificare  le  capacità  delle  singole  classi  dirigenti     e   dei rispettivi  ceti  politici  di  individuare   in   maniera   più  o  meno  autonoma  assetti   istituzionali  capaci  di  rispondere alle  domande   materiali  ed  immateriali   delle  società  civili  di  riferimento.

   

 Ciò  che   desidero  sottolineare    è, soprattutto ,  il  taglio  dell’iniziativa  odierna.    Essa   non  vuole  ripetere     l’angolazione  tradizionale   di  altre  importanti  iniziative  francesi  ed  italiane , che   hanno  adottato    almeno  ufficialmente gli  occhiali  di  Oltralpe  per  valutare   l’esperienza  e  le  novità   dell’esperienza  costituzionale    gaullista.

La  prospettiva   da  noi  adottata    assume   esplicitamente   un   taglio   storico-critico, in  cui  il   dibattito ed  rendimento   istituzionale  francese   viene   valutato  nella  prospettiva   della  prassi   e  della  dinamica  politico-costituzionale  italiana  nel  cinquantennio  trascorso, anche sulla  base  delle  posizioni del   ceto  politico  e  della  dottrina  istituzionalistica(  in  cui  comprendo  giuspubblicisti  e  scienziati  della  politica) .

 

2-Francia-Italia: le  radici di  un  rapporto   sempre  presente -Le  radici  problematiche  che  giustificano  questo  Convegno   sono quelle  già segnalate    da  Armando  Saitta     nel  1952  e  ricordate  da  Guglielmo  Negri  nel  1958  ossia   “la  consapevolezza   di  un  intimo parallelismo  fra  la   situazione  [francese]  e  quella  dell’Italia”[1], almeno  dal  secondo  dopoguerra.  Sotto   il  profilo  più  ampio  e, a  mio  avviso, più  proficuo  della  storia  costituzionale  e  di  storia  della  cultura  istituzionale  un  simile  elemento,    per  analogia   e  per  contrasto,   ha  caratterizzato   la  vicenda   degli  ultimi  due  secoli  di  entrambi  gli  ordinamenti. L’interesse-invero  asimmetrico-, che  ha  caratterizzato   le classi  dirigenti (  ed  in  particolare  ceto   politico  e  dottrina  istituzionalistica)   per  origini  e  svolgimento  dei  reciproci   assetti  istituzionali,      costituisce  un   filo  di  Arianna  per  la  comprensione   dei  rispettivi  avvenimenti ed  una  bussola   per  le  discussioni  più  recenti.

L’asimmetria   in  questo  specifico  campo   è  fornita   dalla  storia. Il  periodo  rivoluzionario  francese  e   le  vicende  napoleoniche  hanno  inciso  profondamente  sullo  sviluppo  del   nostro  costituzionalismo  e  sulle  nostro   istituzioni,  come  ben  ha  dimostrato Carlo   Ghisalberti.[2] Dal  punto  di  vista  della  cultura  giuridico – costituzionale, come  ci ha  ricordato –invece-    Mario Galizia[3], la   prima  cattedra  italiana   di  Diritto   costituzionale  (cispadano e giuspubblico universale)    venne  istituita  per  Giuseppe   Compagnoni   nel   marzo 1797  presso  l’Università  di  Ferrara, seguita   da  quelle   di   Pavia  per  l’Alpruni e  di  Bologna  per  l’Algerat,  promosse  dal  ciclo  costituzionale importato  in  Italia. D’altro  canto,   non  bisogna   dimenticare   che   la  prima   cattedra  di  Diritto   costituzionale   istituita  in  Francia nel  1834     fu  attribuita  da   François Guizot, allora ministro  della  Pubblica  istruzione,  a  Pellegrino  Rossi, un  intellettuale  europeo   ed  un  precursore  delle  scienze  politiche, con  cui aveva   avuto  esperienze   comuni  ginevrine e  che   non  ultimo  fra  i  giuspubblicisti  venne   assassinato,com’è  noto,  in  questa  città  il  15  novembre  di   centosessant’anni  fa.

Lo  stesso   Statuto  albertino, prodotto   nell’ambito  del  Consiglio  di  conferenza del  Regno  di  Sardegna,  era   stato  profondamente  influenzato   dal  modello  costituzionale   della  Restaurazione   francese[4] (si  potrebbe  aggiungere  che  venne   redatto  in  francese, lingua della  classe  dirigente   piemontese)[5]. E’  questo   un  dato  di  fatto  che  spiega   l’acuto interesse   della  dottrina   italiana  per   le  prime   esperienze  parlamentari  d’Oltralpe  ed  in  fatto  che   ad  es.  un costituzionalista  come  Leopoldo  Elia, di  cui affettuosamente sentiamo  tutti  la  mancanza,  si  sia  laureato  nel  1947  con  Vincenzo  Gueli ed una   tesi  su  l’avvento   del  regime  parlamentare  in  Francia  tra  il  1815  e  il  1830 o  che,alla  metà  degli  anni  Ottanta,  gli  schemi  interpretativi  di  Antonio Baldassarre   e Carlo  Mezzanotte( anche  Lui  recentemente  scomparso)  per  giudicare   la  dinamica  della  Presidenza  della  Repubblica  nella  recente  storia  italiana  derivassero   da  quel  periodo preciso, previa ovvia  reinterpretazione[6].

 D’altro  canto    tutto  il  periodo  liberale  oligarchico  unitario    ha  avuto   come  protagonista   la  tensione    tra  l’archetipo(empirico)  britannico  e  il  parlamentarismo    rappresentato  in  maniera  tipica  dall’esempio  francese, cui  una  parte   della  classe  dirigente  e  del  ceto  politico  propendevano  nella  prassi.[7]  La  stessa   espressione  parlamentarismo, anche  con  il  suo  significato  valutativo  negativo, ha –d’altro  canto- le  sue  origini  nella   Francia     della seconda   repubblica  e  nella  contrapposizione, sottolineata  da  Victor  Hugo nei  primordi  della  società  di  massa  basata  sul  suffragio  maschile, tra   libertà  della   tribuna   e  personalizzazione  cesaristica  del   potere[8] . Si  tratta  del  tornante, ben  descritto  da Carl  Schmitt,  in  un’opera  scarnificante  degli  anni  Venti, tra  epoca   classica  delle  istituzioni  parlamentari e  politica  di  massa[9],  che  ancora  oggi  mantiene una  sua  validità.

Le  dinamiche  istituzionali   e  sociali  della  III  Repubblica  e  dell’Italia   successiva  all’avvento al  potere  della   Sinistra storica   avevano analogie     già  ampiamente  riconosciute    da  Abbot  Lawrence Lowell nei due  volumi     Governments and Parties in Continental Europe [10]  alla  fine  del  secolo  XIX, mentre e vicende  degli  anni  Venti  del  secolo  XX   rafforzarono  l’interesse  per  le  analisi   dei  percorsi  tedesco  ed   italiano, due   liberal-democrazie  che    in  poco  tempo  implosero  in  avventure    autoritarie   o  totalitarie. Emilio  Crosa[11]   e   Amedeo   Giannini[12]– il  primo  sulla  base  delle  suggestioni  di un  costituzionalista  come  Robert  Redslob,  fortemente  influenzato   dalle  suggestioni  di un  assertore  dell’Impero   liberale  come   Prevost Paradol, il  secondo     dalle  analisi   comparatistiche   della  coppia   Boris Mirkine  Guétzevitch[13]  e Georges  Burdeau[14]–  affrontarono  in maniera  tipica  i  problemi  dell’instabilità    degli  assetti  delle  liberal-democrazie   nel  primo  dopoguerra,  accompagnando  la   riflessione   che  giuspubblicisti   non  formalisti  come  Luigi  Rossi[15]  e   Costantino  Mortati[16]  portavano  avanti    sul  tema  dell’elasticità  della  Costituzione o  del rapporto  tra  Costituzione  formale  e  costituzione  in  senso  materiale.

Il  dibattito  francese   sulla  terza   Repubblica  e  la  necessità  di  innovazioni  adeguate   fu  sempre   presente  in  ambito  italiano,  nonostante  la  divaricazione   del  periodo   fascista. Il  ceto   politico  e   la  dottrina,    che  operavano  all’interno  dell’ordinamento   fascista,   trovavano  nelle  convulsioni  della  terza  Repubblica  , caratterizzata  da  spinte  contraddittorie, da  persistente  instabilità  e  richieste   di riforma  che  rafforzassero  l’Esecutivo( basti  pensare all’azione   e  all’opera  di  Leon  Blum) conferme  sulla   bontà  della  soluzione italiana,  mentre  il  fuoriuscitismo    concentrato   soprattutto  Oltralpe viveva quotidianamente  i  dibattiti della  stessa.

Anche  dopo  il  crollo  francese   nel  giugno   del  1940 e  l’assunzione   del  potere  da  parte  del  Maresciallo  Petain    l’interesse  per gli  avvenimenti  francesi  non   si  placò, se   è  vero  che  negli appunti  Mortati  sono  recuperabili  tracce   di  una  relazione  dell’amministrativista  Mario  Nigro  sul  progetto  di  Costituzione   petainista.

 

 3-Il  periodo  delle  tre Costituenti e la  vicenda della   IV Repubblica- Durante   il  periodo  di  ricostruzione  democratica,che  seguì  il  dibattito  interno  alla  Resistenza[17],  caratterizzato  dalla   due  costituenti  francesi  e  da  quella italiana,  come   è  stato  osservato  dallo  stesso  Saitta (ma  anche   successivamente  in   maniera analitica   dallo  stesso  Ugo  De  Siervo[18]), le  vicende  costituzionali  francesi  del  secondo  dopoguerra influenzarono  profondamente     il  dibattito  italiano  e  le  soluzioni  prescelte   dai  soggetti   politicamente   rilevanti . I  tempi  della  ricostruzione    istituzionale italiana    si  sono- com’è  noto-   incrociati   con  la  prima  e  la  seconda  Costituente    francese   tra  il  1945 e  il  1946[19], mentre   la  vita  tormentata    della   IV  Repubblica   ha  costituito  un  costante    riferimento    per  i  primi  anni  della   refrigerata   esperienza  costituzionale  repubblicana.

In  entrambi  i  casi    vi  fu  una  comune  riflessione    sulle  cause    della    crisi  delle  democrazie liberali  nel  primo  dopoguerra, sugli  effetti  dell’intervento  delle  masse  sugli  assetti  istituzionali, sui  pericoli  dell’instabilità  e  della    debolezza   governativa, sulla    necessità  di  allargare  e  rendere  operanti  le    dichiarazioni  formali   relative   ai   diritti  sociali  in  un  mondo  caratterizzato  da  una  divisione   di   potenza  bipolare.  In  entrambi   gli  ordinamenti, sulla  base  del  panorama  politico  esistente  e  degli  interessi   conflittuali  risultanti, simili  furono   i  risultati,  anche  se  ben  più  esplosivo  fu    per  l’ordinamento   francese  il  problema  esterno  della  decolonizzazione,  che  ne  provocò  l’implosione.

Non    è  quindi  fortuito   che     il  mondo  politico  e  la  stessa  dottrina  costituzionalistica   siano  stati sempre   molto  attenti  in  quegli  anni  al  caso  francese.  Non    mi  riferisco  solo    alle  posizioni  di  Calamandrei  durante  il  periodo   Costituente  in  cui  le  suggestioni  azioniste    nei  confronti  del  modello  presidenziale in  realtà  si  sovrapponevano  alla  esigenza   di  recuperare   compattezza  sul piano   programmatico  di  governo[20],  ma  alla  implicita    recezione   di  molte  soluzioni  ed   ai  continui  riferimenti  che   gli  stessi  esponenti dei   grandi  partiti  di  massa  italiani  facevano   alla  situazione   francese .

Nell’ambito  dottrinario   le  analisi    successive  alla  grande  spaccatura   dell’alleanza  antifascista      collegarono  tra   loro  le  esperienze   francese,tedesca  ed  italiana( penso  a  Guarino[21], a  Biscaretti[22],a  Amorth[23],a Amedeo  Giannini,[24]a Ferri[25],a  Pierandrei[26],a Cuocolo[27]), ma  l’interesse   per  il  caso   tedesco  rimase   più  concentrato  su  Weimar (penso in  maniera  esemplare a  Mortati[28] ), per   la  peculiarità  della  ricostruzione  istituzionale  tedesca   condizionata  in  modo  esplicito   dall’influenza  esogena  delle  forze  occupanti.

 La  ripresa  dell’instabilità  ministeriale  in  Francia, ma  soprattutto  l’esistenza  di  partiti  considerati   se  non  anticostituzionali  sicuramente  antisistema,  fece  si  che    ceto   politico  e  dottrina  italiana  guardassero  con   grande  attenzione   alle   vicende  della   Quarta  Repubblica.  La  stessa  strategia  istituzionale   delle   maggioranze  di  Governo  nei  due  paesi  risultò  caratterizzata   dalla  necessità  di   rafforzare   l’area  centrale  del  sistema   sulla  base    della  manovra  elettorale  che  in  Francia  generò  la  cosiddetta  loi  scélérate  ed  in   Italia  la  cosiddetta  legge  truffa,  la  cui  ratio    istituzionale   venne  in  maniera  esemplare  giustificata  da   Alfonso  Tesauro[29],allora  senatore  democristiano, mentre   Carlo Lavagna  provvedeva  in  più  interventi   a  sottolineare   non  soltanto  le  posizioni della  specularità  sostenute  dalla  sinistra   non  integrata[30],  ma  –  successivamente –  una  linea  di  sviluppo  per  l’integrazione  difficile.[31]

La  critica  alla   partitocrazia,secondo  il  neologismo  inventato da Giuseppe  Maranini  nel  1949[32]  e supportato  implicitamente   dalle  analisi  di  Giacomo Perticone[33],  non  faceva   che  riflettere   la  polemica  contro  lo  strapotere  dei  partiti  che   costituiva  il  filo  della  posizione  gaullista  già   nei  grandi  discorsi  di  Bayeux e  di   Epinal  dell’estate  1946  e  che   porteranno  al  1958.   L’Italia post-fascista   si  era, invece,   ricostruita  sulla  base  di  partiti   di  massa   ben  più  strutturati  e   con  una  convergenza  valoriale   superiore di  quelli  francesi . I moti  peristaltici  e   l’agonia  della  Quarta  Repubblica  vennero, dunque,  visti  con  molta  preoccupazione, soprattutto  dopo il fallimento  della cosiddetta  legge  truffa   in  Italia e  la  incapacità  della réformette     costituzionale   francese  del  1954    di  invertire  la   tendenza  involutiva[34] .

D’altro  canto   la  Quarta   Repubblica, che  come  sostenne  icasticamente   Raymond Aron alle  soglie   degli  anni Cinquanta , poteva  durare  ma  non  innovare,  crollò  sulla  base  di    crisi  esogene rappresentate   dal  processo  di  decolonizzazione  prima   vietnamita  e  poi  algerino.   Mentre  in  quegli  anni  in  Italia   la  crisi  dell’alleanza   centrista   portava  alla  riscoperta  della  strategia  della  Costituzione   come  strumento   per  l’integrazione   delle  forze  antisistema  – da  un  lato-   e   per  l a  trasformazione  pacifica  dell’ordinamento  dall’altro, il  sistema  francese   giunse  nella  primavera   del  1958  al  punto  di  non  ritorno.

 

4-Le  due  linee- Due   linee     si  posero      in  quegli  anni  in  singolare  alternativa  nei  due  rispettivi  ordinamenti, tanto  da   poter  essere   tra   loro  strettamente  collegate  nei  giorni    dell’implosione  della   Quarta   Repubblica.  Esse  sono  rappresentate     in  maniera  significativa   da  un  lato   da   Michel    Debré,  dall’altro  da     Lelio  Basso  .

Nel settembre   del   1957  Michel  Debré  pubblicò   un  pamphlet    intitolato  Ces  princes  qui  nous  gouvernent[35],  in  cui si   auspicava     la  fine   dell’ordinamento  impotente   ed  oligarchico  rappresentato  dalla  IV  Repubblica.  Si  tratta  di  un’opera  polemica ,  ma  con una significatività   simile  a   quella  del  volumetto  di  Arrigo  Solmi  sulla riforma    istituzionale  italiana   del  1924[36], che  però  accompagnava  e  non  precedeva  il  procedimento  di  innovazione delle  istituzioni  statutarie.

Debré sosteneva  che  la  Francia  aveva   bisogno  di  un  Parlamento,  ma  che  questo    non  doveva   governare  e   che  il   Governo  non  poteva  che  situarsi  attorno   al Capo  dello  Stato, eletto  da  un  collegio  allargato. Il  Governo  ed   il  Primo  Ministro   dovevano  essere   responsabili  davanti  al  Capo  dello  Stato  e  la  loro  responsabilità  nei  confronti  del  Parlamento  doveva  essere  fatta  valere  solo  in   condizioni  eccezionali. Debrè aggiungeva  alla  lista  degli interventi  l’incompatibilità  tra  mandato  parlamentare  e   ministeriale  e  l’adozione  del  sistema  maggioritario  ad  un  turno  solo[37].

Lelio  Basso, preoccupato   per   il  degenerare   della  situazione  anche   per  l’ordinamento   italiano, svolse invece  una  critica  serrata   alla debolezza  delle  forze  politiche  della  Quarta  Repubblica  in  tre  lunghi  saggi   pubblicati  su  Problemi  del  socialismo    nel  secondo  semestre   del 1958[38], mentre  nel  novembre   dell’anno  precedente   aveva  concluso   il  volume   Il principe  senza scettro – Democrazia e   sovranità  popolare  nella  Costituzione[39]. Nella  appendice   all’ultima  puntata   del  saggio  sugli  avvenimenti  francesi Basso  non  aveva  potuto  che  ribadire  la   strategia    prospettata   nel  volume   bilancio  del  primo  decennale  della  Costituzione repubblicana .Egli  sosteneva   infatti che “nelle  condizioni   attuali   del  nostro  Paese, la  Costituzione ,anche  non   attuata, [era]  una  forza   che  i  lavoratori    d[ovevano]  adoperare, perché  essa  offr[iva]      nella  lotta   per  l'attuazione     del  suo  contenuto   politico  e  del  suo  contenuto  sociale, il  terreno   su  cui  po[tevano] cominciare   a  realizzarsi   quegli  incontri ,quelle alleanze e  quelle  convergenze   che  [erano]   indispensabili   a  una  politica  di  alternativa”[40].

Non  era   quella   l’unica  opportunità in  un  ordinamento   che   dal  1953  era  in  crisi  di   transizione   e  che   era  oramai  caratterizzato  da governi    senza  maggioranze  organiche. Il  caso   francese   evidenziava, indubbiamente,    opportunità  e  pericoli differenti  per  i diversi  partners e  si  pose-  perlomeno  sino  alla caduta   del  Governo  Tambroni   nel  luglio  del  1960-  come  un  vero  e  proprio  spauracchio.

Durante la  crisi francese di  maggio  il  ceto  politico italiano  fu   impegnato  nella  preparazione   delle  elezioni  politiche  generali del  1958, che  si  tennero   il  25  maggio, e, durante   il  mese   di  giugno,  nelle  trattative  difficili  per  la  formazione  di  un bicolore  tra  DC  e  socialdemocratici . Gli  avvenimenti  francesi vennero,   quindi,   commentati  in  maniera  istituzionale     solo  nel  corso  del dibattito   sulla fiducia   al   II Governo  Fanfani    nel  luglio  successivo, ma   vennero  utilizzati  come  memento   per  l’elettorato   in  campagna  elettorale  . Su  ciò che  era  accaduto  in  Francia  si  soffermarono  significativamente  alla  Camera   dei  deputati    De  Marsanich, Nenni  e  Togliatti.   De  Marsanich  sottolineò  come     il  Presidente  del  Consiglio  non  avesse   detto  parola  sul  caso  francese, nonostante  la  centralità  di quel  Paese   per  l’Europa  e  che     in  Francia   si era “dissolto   un   sistema  politico basato  sulla  partitocrazia, che  non  era  davvero  peggiore   di  quello  vigente  nel  nostro  paese.[41]

 Nella  seduta  del  16  luglio   Pietro  Nenni ammise  che  “ negli  eventi  francesi [vi era] un  insegnamento  e  un  monito”,ossia “ che  in  Parlamento   [era] pericoloso    giocare  al  massacro    ministeriale  quando  non  si  [avevano] altre  soluzioni  da  offrire;  che   la   vita  democratica   parlamentare  imputridi[va]  se  i partiti   e  gli  uomini  si   istalla[va]no  nel  compromesso   ad  esso  sacrificando   gli  interessi  e  gli  ideali dei  qual i  sono  portatori[42].

Togliatti    due  giorni  dopo   affermò  che   in  Francia  era  stato  dato “un  colpo  mortale   al  regime  parlamentare”, che  non  esisteva  in  essa “ancora   oggi …un  regime   fascista”, ma “un  regime    di  dittatura  personale  fondato  essenzialmente  sopra  un  apparato  militare”  e  che   si  erano  “ però  create  molte   delle  condizioni  perchè  si  giung[esse] a  un  regime   apertamente  fascista”. La  sua  conclusione   fu  che, “mentre  il  Parlamento  francese  scompare  dalla  scena  politica  europea…. noi  abbiamo  il  dovere   di   affermare    la  nostra  fiducia ,come  partito  comunista, nel   regime   parlamentare   e  nel  regime   dei  partiti  politici ,  come   base  di  democrazia  politica a  cui   nel  nostro  paese  non  si  può  e  non  si  deve  rinunziare”[43].

Come   è  stato   sottolineato  da  molti,  fu  proprio  la   forte  strutturazione  del  sistema  dei  partiti   italiani  che  garantì la  persistenza  dell’ordinamento  e  diede  la  possibilità  allo  stesso   di  evitare   gli  scogli  dello Stato  amministrativo tambroniano, un  classico  della  proposta  conservatrice su  linea  sonniniana[44].  Il  sistema  si  sviluppò  dunque,dopo  le  incertezze  della  transizione  al   centro-sinistra  sulla  linea   dell’applicazione  del  dettato  costituzionale  e   dell’integrazione  delle  forze  politiche   presenti  nell’arena.

 

5- La   dinamica  cinquantennale della  V  Repubblica  e   la  revisione  del  2008-   La  dicotomia tra   integrazione   e  riforma e  poi   il tentativo  di  superarla      giustifica  ampiamente   la  prospettiva   assunta  dal  Convegno , che   viene   sintetizzata  dalla  prima  parte  dello  stesso, sia  dai  relatori  francesi  che  da  quelli  italiani.

I  relatori  francesi,  le  cui  relazioni  sono  state  distribuite, mettono  in  evidenza   la  coppia  fondamentale   istituzioni –partiti. In  particolare, la  prof.ssa  Anne-Marie  Le Pourhiet  descrive  in   maniera  lucida  i  mutamenti   avvenuti  sia  dal  punto  di  vista   formale  che  sostanziale  nell’assetto  costituzionale  francese  di  questi   ultimi  cinquanta  anni  e  lo  fa  con  una  alta sensibilità  storico-politica.  Non  soltanto  Le  Pourhiet evidenzia   come  nel  tempo  vi  siano  state  profonde   modifiche   nella  concezione   presidenziale dopo  l’uscita   di  scena  di  de  Gaulle (ma  la  secolarizzazione investe  anche  lui sia  nel  1965  che  nel  1969),  ma  sottolinea   come nell’ordinamento siano   penetrati   sempre   più      Stato   di  diritto, Europa  e     nuovi  diritti. 

Sul  lato   della  sociologia  politica   Marc  Lazar   sottolinea  con  forza  come  l’ordinamento semipresidenziale   francese   non  sia  privo  di  partiti,  ma   come   anzi  gli  stessi  lo  caratterizzino   fortemente   nelle  varie  fasi   della   sua  vicenda  storica. L’interazione   tra   sistema  istituzionale  e   sistema  dei  partiti  diventa  dunque   fondamentale   per  comprendere     non  soltanto   la  dinamica, ma  quello  che   personalmente  definisco  come  il  successo  del  modello  francese.  Da  un  lato  i  partiti  vengono  attratti  dalla  forza  di  gravità  delle  istituzioni semipresidenziali, dall’altro   essi  sono  divenuti  sempre  più  indispensabili  per  i  candidati  alla  massima  carica dell’ordinamento.

Simili  osservazioni  non  nascondono  le  debolezze  della  Costituzione   e  gli  effetti (contraddittori) che  la  presidenzializzazione  ha  avuto  sui partiti. Le   Pourhiet   sottolinea  come  la  Costituzione   sia  stata “eretta  a  strumento di  comunicazione  del  Presidente  della  Repubblica” e  in  questa  dimensione   parla  di   bougisme, concetto  che  potrebbe   essere  tradotto  con  movimentismo o con  il  più  napoletano “fare  ammuina”  istituzionale.  Un  simile  giudizio  visto  da  citramontani  è  forse  troppo  severo  e  svuota   gli  elementi   di   riequilibrio  che   sono  stati  introdotti  all’interno  del  sistema  nel  tempo, ma  nello  stesso  tempo  li  relativizza.

Le osservazioni  di  Marc  Lazar sugli  effetti   positivi  che  la  presidenzializzazione  ha  avuto    sulla vicenda  del Union pour un Mouvement Populaire (UMP)[nato  nel  2002  dalla  confluenza dei neogollisti dell'RPR (Rassemblement Pour la République), dei liberali di DL (Démocratie Libérale), e di una parte dei centristi dell'UDF (Union pour la Démocratie Française)] e  su  quelli  negativi  che  ha provocato  nel  Partito  socialista  e  nelle  formazioni  minori  sono-  a  mio  parere-   della  più  alta  significazione  per l’analisi  del   dibattito  italiano  .

  La     parte  del   Convegno   dedicata  all’esame    delle innovazioni  francesi  del   2008  viste   da  alcuni  studiosi  italiani penso  confermerà   il   giudizio  che  si  tratti  di  un  maquillage,  anche  attraverso    l’esame dei lavori  della  commissione  Balladur  e  di   quelli  parlamentari. Personalmente   ritengo  che  la parte più rilevante   degli  interventi  sia quella  relativa   ai contropoteri dell’opposizione e all’apertura alla giustizia costituzionale. Sono questi gli elementi caratterizzanti di un intervento che ha alla sua base l’esigenza di dare un senso all’azione ed una legittimazione alle assemblee parlamentari francesi, che vengono generalmente considerate non reattive. E’ questa una condizione che unisce tutti gli ordinamenti considerati stabili di democrazia d’investitura con strutture di partito forti o con forme di compensazione di un’eventuale debolezza partitica sul piano della forma di governo. In determinate circostanze le forme di governo presidenziali (e tutti facciamo riferimento al Congresso degli Stati Uniti) possono possedere   assemblee reattive, ma la letteratura internazionale – sia di tipo politologico che costituzionalistico  è concorde nel ritenere le forme di governo parlamentari di tipo monistico (razionalizzate o  naturalistiche che siano) come caratterizzate da parlamenti deboli. In questa prospettiva sia laFrancia della V Repubblica, sia la Gran Bretagna di Brown sono caratterizzate da parlamenti deboli.

 

6-Le  tre  fasi    dell’interpretazione  italiana- L’analisi  delle   recenti    revisioni   del  2008   è  preceduta   da  una    valutazione  di  come   il  dibattito  politico  e  dottrinale  italiano  ha  giudicato   la  dinamica   e  l’eventuale  importazione  dell’assetto  istituzionale   della  Quinta  Repubblica. Essa   è  articolata  in  una  periodizzazione in    tre  precise  fasi, collegate  con  la  dinamica  politico –  istituzionale francese   ed  nazionale,  che  si  sono  riflesse   sul  giudizio  complessivo   della  manovra  gaullista  del  1958   e  sugli  stessi singoli   elementi  istituzionali.In  tutti e  tre  i  periodi  i  piloni  fondamentali   della  cura  da  cavallo  gaullista che  nel 1958 investì partiti  politici, sistema  elettorale, politica   delle  fonti, rapporti  governo-parlamento, poteri   del  Governo  e  del  Presidente  della   Repubblica  sono    stati    analizzati  e  trattati  in  maniera  differenziata, ma   sempre  più  laica, nell’ambito  del  dibattito  italiano[45].

 

La  prima fase, sintetizzata  con  il  termine   avversione     ha  coperto   perlomeno  il primo  ventennio   di  storia della  Costituzione    gaullista e  si  è  collegata  con   la  fase  di  transizione  italiana   al  centro-sinistra  ed  al   periodo successivo  alla  crisi  dello  stesso.  E’  evidente   che   l’atteggiamento  dei  soggetti    è  stato   differente   nel  primo  decennio  (  se  si  vuole   nei  primi   sette  anni  fino  alle    prime  elezioni  presidenziali  dirette   del  1965) caratterizzato  dal  potere  carismatico di   De  Gaulle   rispetto   al  secondo,  dove,soprattutto  con  la  presidenza  Giscard,  vi  è  stato  un   primo  addolcimento   del  nuovo  regime.   Le  forze  politiche  italiane  favorevoli  alla riforma  francese  furono- com’è noto-   da  un  lato il MSI  e  ,dall’altro,     il  movimento  per  una  Nuova  Repubblica  di   Randolfo  Pacciardi[46]. La  dottrina     giuspubblicistica,  sostanzialmente  collegata  con   la  posizione   del  ceto  politico, ebbe  poche  eccezioni nella  sua  avversione .  Serio  Galeotti e  Fausto  Cuocolo   espressero   forti  e  preoccupati dubbi   sui  rivolgimenti  francesi(  sostanzialmente  convergenti   con  quelli  di  Elia  e –più  tardi- di  un  giovane Bassanini), mentre   Gugliemo  Negri , alla  fine  del   suo  Verso  la  quinta repubblica,  sostenne-invece-   che  nel 1958 francese  non    ribolliva    “l’avventura  totalitaria”,  ma si   profilava “  la  sagoma  di  nuove  strutture,di  nuovi  istituti,di  cui  nel  diritto  costituzionale  contemporaneo,  in  rapidissima  evoluzione, quasi  esiste  il  presentimento”[47].  Una  simile  apertura  costituì, tuttavia,    una  sostanziale  eccezione (tipica  di  alcuni  settori  repubblicani) nel  panorama intellettuale   del  periodo.

 In  questa  sede   vorrei  ricordare  invece (  e  pour cause  in  questo  triste  giorno  di  distacco)  come  tipico della  fase  dell’avversione, perché  non  viene   mai  citata  in  questo  contesto,     la  posizione  di  Sergio  Fois   nel  suo   volume   La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali [48], segnalandolo  anche come  estensore  delle classiche  sintesi  di Mortati   su Le   forme  di   governo [49]che  così  profondamente  hanno  inciso  sulla  posizione  della  dottrina  costituzionalistica. Per  Fois    era, infatti,  la  violazione   della  centralità  parlamentare   nella   produzione  normativa  l’oggetto di  maggiore   preoccupazione  e  direi  di  scandalo. 

C’è  da  dire  che il  giudizio  sulla  riforma gaullista  in  sé   e  quello   sulla  sua   applicabilità   per  l’Italia  si  modificarono  e  anche   rapidamente  nel  corso   dei  tre  lustri  successivi. In  questa  prospettiva    la edizione  finale    del    volume  di Mortati, che   è  del  1973,  evidenzia     la   stabilizzazione  del  giudizio  sull’evoluzione  del  sistema  francese,  con  il  riconoscimento   di  un  parco  di   poteri  “più  vasti    di  quelli  dello  stesso  Presidente  nordamericano”, ma  anche   che   alla  base     “della  formula  costituzionale”  si   poneva   la  “presenza   di  una  forte  maggioranza  parlamentare   favorevole  alla   politica  presidenziale”[50].La  chiusa di  Mortati     su “la  soddisfazione    diffusa    nel  paese  in  considerazione   della  stabilità  di  indirizzo   che  esso  assicura e  che  si  rivela  benefico, così  da  non   fare  rimpiangere    il  precedente  regime  parlamentare,di  tipo  ottocentesco,del  tutto   inidoneo  a  soddisfare  le  esigenze di   uno  Stato   interventista   nei  rapporti  economici”[51],  evidenzia   quel  mutamento  di  prospettiva  che   nella  seconda  metà  degli  anni  Sessanta  e   nei  primi  anni  Settanta   una  parte  della classe  dirigente, tra  cui  parte  della   dottrina   giuspubblicistica  evidenziarono in  relazione   alla  situazione  di  stallo  e  di  persistente  crisi  sistemica,  successiva  al  fallimento  dell’alleanza  di  centro-sinistra.

Il  noto  duplice dibattito  tra  giuspubblicisti  sulla  rivista   Gli  Stati, coordinato da  Franco  Cangini, evidenziò  da  un  lato   la  consapevolezza   della  acutezza  della  crisi,dall’altro  l’impossibilità  di  recepire   le  suggestioni  nordamericane  o  quelle  francesi, ma il riconoscimento   che   la  soluzione   francese   era  oramai  legittimata e  sgombra  da  ambiguità  autoritarie.  Il  rafforzamento  dell’asse Corpo  elettorale,maggioranza, Governo, Presidente  del  Consiglio  veniva  ipotizzato  con  la  recezione   di  innovazioni    sul   piano  della  forma  di  governo  e  del  sistema  elettorale.  Il  processo  di  omogeneizzazione  delle  forze   politiche e  sociali   stava   per   convincere    esponenti  della  dottrina   costituzionalistica  dell’opportunità  di  intervenire  anche     sul  lato   dei  meccanismi  elettorali  selettivi . Ricordo  in  questa   prospettiva  non  soltanto     il  commento di  Mortati  all’art. 1  della  cost.  nel  Commentario Banca[52],  ma  anche   le  notazioni  reperibili   nelle varie   edizioni del  manuale   di  Lavagna[53].     

Su   tutto   questo,all’interno  della  prima  fase  della  transizione  infinita   che   ha  caratterizzato  il  sistema  politico- costituzionale  italiano   interverrà  Mauro  Volpi,   che –  sul  limite   estremo  del  periodo-  pubblicò   un  volume  su La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e quinta  repubblica francese[54].

Con  ogni  probabilità  egli  ha  cambiato  parere  su  alcuni  elementi  dell’analisi    da  lui allora  operata,  ma  proprio  questo   favorirà  la  comprensione  del  mutamento  di  prospettiva  intervenuto.  [55]Ma  avevano cambiato   parere  anche  altri   tra  i soggetti  che   intervennero   in  questo  periodo. Ricordo   tra  gli  altri ,ovviamente,   Serio  Galeotti, della  cui  evoluzione   parlerà   Rino  Casella concentrandosi  sul momento  di  svolta   del  1966  al  Convegno  di Dottrina  dello Stato di  Trieste, o    Guglielmo  Negri e  Fausto  Cuocolo, ma  anche  Leopoldo  Elia  e   di  Franco  Bassanini,  che  seguirono   con  attenzione   l’evoluzione  francese  nel  tempo,  mentre   già  durante   gli  anni  Sessanta     alcuni autori  avevano   incominciato  a  recuperare   alcuni  pezzi  della  riforma  gaullista   sul  piano  del  sistema  elettorale(  penso  in  particolare  a   Domenico  Fisichella o  a  Giovanni  Sartori in   chiave  di  selezione  delle  opposizioni  antisistema).

 

La  seconda  fase   intitolata   con   il  termine  la  recezione (meglio  sarebbe  stato dire  il  tentativo  di  recezione)   è   stato  affidato  a  Giuliano  Amato, i  cui  interventi  istituzionali  sin  dal  1976  avevano animato   la  discussione  istituzionale[56].  La  proposta    di   adozione  di  un  “semipresidenzialismo”  souple   operata  a  Trevi,   al  fine   di  riaggregare anche  attraverso  la  riforma  del  sistema  elettorale il  sistema   politico  italiano, costituì  un  significativo  sdoganamento  di  alcuni  aspetti   del  sistema  francese, che   dopo la  riforma  costituzionale  giscardiana del  1974, stava  addolcendo  il suo  carattere  maggioritario  e   che –  dopo  il 1981- con  la  vittoria mitterandiana    aveva  assunto   una  significazione  differente  rispetto  al   passato.  Le  ragioni  sistemiche    e  nello  stesso    partigiane   della    proposta     ve  le  spiegherà  Lui  in  alternativa  con  le  suggestioni  del  Governo  di   legislatura  di  Gianfranco Miglio[57],abbracciato  dalla  dirigenza  democristiana o  al  recupero- senza  traduzione-  del  modello  francese, che    veniva  suggerito  soprattutto  dal  MSI.

In  quegli  anni – cui Marco  Gervasoni  dedica   nel  suo  intervento   interessanti   riflessioni –  il  blocco  del  sistema  politico  italiano   vide –  al  di  là  delle  macrodiscussioni culminate   nella  Commissione   bicamerale  presieduta  da  Bozzi- il  tentativo  di   adottare   riforme  infrasistemiche  che  potessero  smontare  il  meccanismo  consociazionistico  che  il  periodo  degli  anni   Settanta aveva   costruito.   In  quest’ambito  tutti  i  pezzi   dell’assetto  francese  entrarono  in  gioco  e  vennero   tradotti   in  italiano   nel    dibattito   infinito  delle   riforme  istituzionali. Dal  sistema  elettorale  maggioritario  a  doppio  turno  che    verso  la  fine  degli  anni  Ottanta  verrà  sposato  da   esponenti  del   maggior  partito  di  opposizione, fino  ad  arrivare   alle  innovazioni   relative  alla  politica  delle   fonti  di  cui  è  pervasa  la  legge   n. 400  del  1988.

 

La  terza fase   è   stata  definita   come  l’impossibile  adozione è     affidata  ad  Oreste   Massari,  che   sostituisce  da  par  suo  Augusto  Barbera, trattenuto  in  quel di  Zola  Predosa  dalla  selezione delle  candidature  a  sindaco  di  quel comune  della cintura  bolognese.

Massari,  che  non   è  come    Barbera  un  cultore   del  duvergismo,    dovrebbe  analizzarla  alla  luce    di  un  percorso,  che-   dopo  il  successo  dei  referendum del  1991 e  del  1993-   ha  visto  –  a seguito della  crisi   di  regime-  importanti  interventi   sull’assetto  costituzionale  nell’ambito  di   un  riallineamento  epocale  del   sistema  partitico.  Il  suo  intervento  si  concentrerà  sul  tornante   della  Commissione   D’Alema  e   sulla   adozione  del   cosiddetto  semipresidenzialismo nel  grande  gioco  della  transizione   infinita. Negli  anni  Novanta     i  nuovi   partiti   apparsi   nell’arena    recepirono  le  suggestioni  francesi. AN  non  aveva   bisogno di  stimoli, il Polo delle  libertà   lo  propose nel  programma, il  Governo  Berlusconi   si  lasciò  aperta   l’alternativa  tra  premierato  e  semipresidenzialismo,  mentre   i  costituzionalisti  stimolati  dall’ondata  costituzionale  nei  paesi  dell’est europeo   scoprirono  il  semipresidenzialismo, alcuni  identificandolo tout court   con  il modello  francese[58], altri  più  cautamente    con  una   forma  di  governo  a  possibilità  multiple[59]

 

 

7- La  conclusione    della  transizione  italiana  e  la  quarta  fase  nel  rapporto  con  le  istituzioni  francesi.

Passo  rapidamente  alle  conclusioni. Le  più  recenti   innovazioni  costituzionali  francesi  saranno esaminate anche  nella   prospettiva  italiana  da   Beniamino Caravita(Esecutivo), da  Paolo  Ridola (Legislativo) e  da Alfonso Di  Giovine( Controlli). La   loro  analisi  e  quelle  delle  comunicazioni   di  settore (penso  in  particolare  all’intervento  sullo  Statuto  dell’opposizione  di  Stefano  Ceccanti,  ma  anche  ai  lavori  di  Paola  Piciacchia  e   Simone  Benvenuti) forniranno  indicazioni     precise   sul  giudizio  della  dottrina  italiana  sulla  più  recente  evoluzione francese, mentre  la  tavola  rotonda  finale esprimerà  l’opinione  di  esponenti  qualificati  del ceto  politico.

Personalmente penso  che  la   prospettiva   di  una quarta  fase   nel  rapporto  con  le  istituzioni  francesi  lasci spazio alla eventualità  di  una possibile   adozione di  alcuni  elementi   delle  stesse. E’  questo  un  giudizio   che   non  coinvolge  altri  che  chi  parla, ma   è  bene   dirlo in  maniera esplicita.

Vorrei, a  questo  proposito, sottolineare  quattro  punti fermi:

1.      Questo  convegno  vuole  esaminare  laicamente  il  modello  francese, traendolo fuori  da  anatemi  anacronistici  o  dall’esclusivismo   particolaristico  della elezione  diretta  del  Capo  dello  Stato.

2.       La  capacità  di  reazione  alle  sfide   dell’ultimo     cinquantennio   della   Costituzione   del  1958    ha  evidenziato  che   la  cura   istituzionale  gaullista  ha    sostanzialmente   funzionato.

3.        La  suggestione   istituzionale  francese   è  stata   incrementale      ed   è   forte  in  Italia, ma  bisogna  guardarsi  dal  decontestualizzare  gli  interventi.

4.      La  forma     di  governo  parlamentare  razionalizzata   a  tendenza  presidenziale   pare   più  elastica    ed  adattabile  del   premierato   rigido sostenuto  dagli  emuli  di  Duverger.

Evidenziati   questi  punti,   si  può  anche  dire, in maniera  sintetica, che   nelle  democrazie   di  massa  contemporanee    i  meccanismi  istituzionali servono,  ma  sono necessari   anche  i  partiti e  che  entrambi  devono  essere  adeguati   alle  esigenze   dei  contesti  di  riferimento.  Istituzioni  senza  partiti strutturati  e animati  da  una  partecipazione   democratica    portano  al  pericolo plebiscitario, partiti  pervasivi e  frammentati  senza  istituzioni forti  conducono  all’instabilità  e  all’occupazione  personalistica   e/o  correntizia   delle   strutture  statuali.

 La  Francia   della  V  Repubblica, anche  alla  luce  delle  recenti  revisioni  costituzionali  degli  ultimi  anni,   non  sta-dunque-  perdendo  le   proprie  caratteristiche, le  sta  solo  adeguando-    come  ha  ribadito   Fillon l’anno  scorso  in  Parlamento  in  singolare  continuità  con  le  posizioni  di  Debré –  alle  esigenze  di  equilibrio  tra  gli  organi  costituzionali  ed  i  soggetti  in  campo.

La     ristrutturazione  del  sistema  politico-istituzionale  italiano   dura, invece,  da  troppi  anni e  non  evidenzia  scelte   sufficientemente  coraggiose.  Il  riallineamento  partitico ha  prodotto  nel  2008 forti  cambiamenti,  ma    esso  non  si  è ancora     definitivamente   consolidato. Mancano  i  partiti, manca  la  partecipazione  politica, manca  la  coerenza  nel  disegno  istituzionale complessivo. Manca  in  sostanza   l’equilibrio.

 Come  in  Francia la  maggioranza  di  Governo  sembra   rafforzata  dalla  vittoria  elettorale,  ma   l’incoerenza  dei  meccanismi  elettorali e   la reazioni della  Opposizione  alla  sconfitta  e  la  persistente disomogeneità   della  maggioranza rischiano  di  indebolire  i  due  maggiori  soggetti   e ritardare   la  conclusione  di    un  processo  che   le  sfide  della  crisi   richiedono  in  maniera  urgente.

Abbiamo  celebrato  nell’ultimo  triennio  il  sessantennale   della  Costituzione  repubblicana,  che  oramai   è affidata  alle  nuove  forze  politiche  del  post-1993  e  ai  cittadini.  Costituzionalisti  come   Leopoldo  Elia  e Valerio  Onida,  sulla  base  delle  suggestioni  di  Giuseppe Dossetti    a  Monteveglio , radicano  la  Costituzione     su  piastri   oramai  esogeni (  le  quattro  libertà  di Roosevelt  e  l’Europa).  Il rischio   di  una  riscrittura  del   patto    è  molto  alto, mentre la  sua   rilegittimazione   stava  alla  base  della  proposta  della  Commissione  bicamerale  del   1997. L’appello  alla  responsabilità  dei  partners   è  sempre   più necessario al  fine  di   adeguare   le  strutture  della casa  comune   in  un  periodo in  cui  la  coesione  sociale   verrà  messa  in  pericolo.  La  speranza   è sempre   quella  che  si  raggiunga  un   compromesso efficiente  tra  i  soggetti  politicamente rilevanti, quello   che  Mortati   auspicava  già  nel  corso  dei  lavori  della  Commissione  Forti.



[1]V.  A. Saitta, Costituenti  e  costituzioni  della  Francia  moderna,Torino,Einaudi,1952,p.9; G.  Negri , Verso  la  Quinta  Repubblica.L'evoluzione   costituzionale  contemporanea   in   Francia, Pisa,Nistri-Lischi,1958,p.5.

[2]C. Ghisalberti,Le costituzioni giacobine (1796-1799) ,Milano, Giuffrè,1957

 

 

;idem,Dall'antico regime al 1848 : le origini costituzionali dell'Italia moderna,Bari,Laterza,1987.

   

 

[3]M.Galizia,Diritto  costituzionale(profili storici),in  “Enciclopedia  del  diritto”,vol.XII,p.962.

[4]Idem,p.964.

[5]V. D. Zanichelli(a  cura  di ), Lo Statuto di Carlo Alberto secondo i processi verbali del Consiglio di conferenza dal 3 febbraio al 4 marzo 1848,Roma,Dante alighieri,1898,  ma  v.  anche G. Negri-S. Simoni,Lo statuto albertino e i lavori preparatori,roma,Colombo,1989.

[6]V. A. Baldassarre-C.Mezzanotte, Gli uomini del Quirinale : da De Nicola a Pertini, Roma -Bari, Laterza, 1985.

[7]V. per  questo riassuntivamente E.A. Albertoni,La teoria della classe politica nella crisi del parlamentarismo,Milano,Cisalpino,1968.

[8]V. F. Lanchester,La  rappresentanza  in  campo  politico  e  le  sue  trasformazioni,Milano,Giuffrè,2006.

[9]V. C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus,Berlin,Duncker& Humblot,19262.

[10]V. A.L.Lowell, Governments and Parties in Continental  Europe , London, Longmans, Green, 1896(2  voll.)

   

 

[11]V.E.Crosa, Lo Stato parlamentare in Inghilterra e in Germania,Pavia,Facoltà  di  Scienze  politiche,1929

[12]V.A.Giannini, Tendenze costituzionali,Bologna,Zanichelli,1933.

[13]V. B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendances du droit constitutionnel,Paris,Giard,1931

[14]V. G. Burdeau, Le regime parlementaire dans les constitutions europeennes d'apres guerre, Paris, Editions  internationals,1932.

[15]V.L. Rossi, La “elasticità” dello Statuto italiano,in “Scritti  giuridici in onore  di  Santi Romano”,Padova,Cedam,vol.I,1940,pp.25 ss..

[16]V.C.Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano, Giuffrè, 1940.

[17]V. riassuntivamente B. Mirkine- Guetzévitch, Le  Costituzioni  europee,Milano,comunità,1954,pp.39 ss.

[18]V. U. De  Siervo,Le  idee  e  le  vicende  costituzionali   in  Francia  nel  1945 e 1946   e  la  loro  influenza  sul  dibattito  italiano ,  in  “Scelte   della  costituente  e  cultura  giuridica.I :  Costituzione  italiana  e  modelli  stranieri”, a  cura  dello  stesso,Bologna,Il  Mulino ,1980, pp.293  ss.

[19]V.S.Guerrieri,Due  Costituenti   e  tre  referendum.La  nascita  della  Quarta  Repubblica  francese,Milano,Franco  Angeli,1998

[20]V.  F.  Lanchester, I  partiti e  il  sistema  elettorale   nel  pensiero  di  Piero  Calamandrei ,in  “Piero  Calamandrei.Ventidue  saggi  su  un  grande  maestro”,a  cura   di  P. Barile,Milano,Giuffrè,1990,pp.417 ss.n 22  saggi  su  un  grande  maestro

[21]V.G.Guarino, La  stabilità  del  governo   e  la  garanzia   dei  diritti  delle  minoranze  nei  dibattiti  costituzionali  in  Francia, in  “Rassegna  di  Diritto  pubblico,” 1946,pp.150  ss .  e  poi G. Guarino,Lo  scioglimento  delle  assemblee  parlamentari,Napoli,Jovene,1948.

[22]V.Biscaretti  di  Ruffia,Cronaca  costituzionale   straniera, in  “Rivista   di  diritto  pubblico” ,1947.

[23]V.A.Amorth,Corso di diritto costituzionale comparato : (Stati Uniti d'America, Inghilterra, Svizzera, Unione Repubbliche socialiste sovietiche, la nuova costituzione della Francia),Milano,Giuffrè,1947.

[24]V.A.Giannini, La  Costituzione  francese  del  1946,in  “Rivista  di  diritto  pubblico”,1948,I,pp.210 ss.

[25]V.G.D.Ferri, Trasformazioni  e  incertezze  costituzionali,in  “Annali  di  diritto   pubblico”,XXV,1950,pp.137  ss

[26]V.F.  Pierandrei, La  costituzione  della  IV Repubblica francese, in “Rivista trimestrale di  diritto  pubblico”,1951,pp.713 ss.

[27]V.F. Cuocolo ,Il  difficile   cammino  della  costituzione  francese,in  “Civitas” ,1954,luglio

[28]V.  C.  Mortati(a  cura  di),  La  Costituzione  di  Weimar,  Firenze,Sansoni,1946.

[29]A. Tesauro,Il  sistema  parlamentare   nell'ordinamento  inglese  ed  in  quello  francese  ed  italiano, in “Rassegna  di  diritto  pubblico”,1952,I,pp.121 ss.

[30]V. C. Lavagna, ll sistema elettorale nella Costituzione italiana, in “Rivista trimestrale  di  diritto  pubblico”,1952,pp. 849 ss..

[31]V. C. Lavagna, Considerazioni sui caratteri degli ordinamenti democratici,in  idem,1956,pp. 392 ss..

[32]V. G.  Maranini, Governo parlamentare e partitocrazia, Lezione inaugurale dell'Anno Accademico dell'Università di Firenze 1949-1950,Firenze,Ed. universitaria,1950.

[33]V.G. Perticone, La torre di Babele : Italia 1949,Roma-Firenze,Leonardo-Sansoni,1949.

[34]V.  per  questo F. Cuocolo ,Il  difficile   cammino  della  costituzione  francese,in  “Civitas” ,1954,luglio. 

[35]V.  M. Debré,Ces  princes  qui  nous  gouvernent…,Paris,Plon,1957

[36]V.A. Solmi,La  riforma  istituzionale,Milano,Alpes,1924

[37]V. M. Debré,Ces  princes  qui  nous  gouvernent…,cit.,pp.174  ss.

[38]V. L. Basso,La  crisi  della  democrazia  francese  e  le  sue  cause,

in   “Problemi  del  socialismo”,1958,n.6,pp.407 ss.; n.7,pp.487 ss.;

n.8,pp.567 ss. con  un’appendice  su  Cose  di  Francia   e   d'Italia,pp.588 ss.

 

 

[39]V. L. Basso,Il principe  senza scettro -Democrazia e   sovranità  popolare  nella  Costituzione,Milano,Feltrinelli,1958.

[40]V. L. Basso,Cose  di  Francia   e   d'Italia,in  “Problemi del  socialismo”,cit.p.599.

[41]V.III  legislatura,seduta  del 15  luglio 1958,  p.204

[42]V. III  legislatura,seduta  del 16  luglio 1958, p.307-

[43]V. III  legislatura,seduta  del   18  luglio 1958,p.425.

[44]V. F. Tambroni, Un governo amministrativo, Roma , Les problemes de l'Europe, 1960

[45]In  questa  prospettiva pare   eccessivamente  sezionale   la  pregevole trattazione    di  Carlo  Fusaro,L'Italia e il modello della Quinta Repubblica: dall'odio, all'amore… e al dubbio,in  “Forum  di  Quaderni  costituzionali”, tutta  incentrata  sulla ipotesi  dell’elezione  diretta   del   Capo  dello  Stato.

 

 [46] V. R.Pacciardi,Il Partito repubblicano fuori strada,Roma,ADE,1960 e Per una nuova repubblica,Ravenna,A.R.A.,1964.

[47]G.  Negri , Verso  la  Quinta  Repubblica.L'evoluzione   costituzionale  contemporanea   in   Francia,cit.,

[48]V. S. Fois, La riserva di legge : lineamenti storici e problemi attuali,Milano, Giuffrè, 1962.

[49]V. C. Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e comparato tenute dal prof. Costantino Mortati, raccolte dall'assistente prof. Sergio Fois,anno accademico 1957-58 / Università degli studi di Roma, Facoltà di scienze politiche, Roma, Edizioni Ricerche, 1958, pp.273-274.

[50]V.C.  Mortati, Le forme di governo : lezioni, Padova, Cedam,1973

[51]Idem,p.274.

[52]v.C.Mortati,art.1, in  “Commentario alla Costituzione : Principi fondamentali : Art. 1-12 “, a cura di Giuseppe Branca”, Bologna -Roma , Zanichelli – Soc. ed. del Foro italiano, 1975.

[53]V.C. Lavagna,Istituzioni di diritto pubblico,Torino,UTET,1973,1976,1982.

[54]V. M. Volpi, La democrazia autoritaria : forma di governo bonapartista e 5. repubblica francese,Bologna,Il  Mulino,1979.

[55]V. P.L.Zampetti(a  cura di), La funzionalità dei partiti nello Stato democratico : atti del 1. Congresso nazionale di dottrina dello Stato, Milano,La nuova Europa,1967.

[56]V. G. Amato, Una repubblica da riformare : il dibattito sulle istituzioni in Italia dal 1975 a oggi,Bologna,Il  Mulino,1980.

[57]V. G.Miglio(a  cura  di),Verso una nuova costituzione, Ricerca promossa dal CESES su “Costituzione vigente e crisi del sistema politico: cause ed effetti”,Milano,Giuffrè,1983,2 voll..

[58]V.A.Rinella, La forma di governo semi-presidenziale : profili metodologici e circolazione del modello francese in Europa centro-orientale,Torino , G. Giappichelli, [1997

 

[59]V. S. Ceccanti- O. Massari- G. Pasquino, Semipresidenzialismo :analisi delle esperienze europee ,Bologna,Il  Mulino,1996; A.Giovannelli (a  cura di),Il semipresidenzialismo : dall'arcipelago europeo al dibattito italiano,Torino,giappichelli,1998; A. Canepa,Il sistema semipresidenziale aspetti teorici e di diritto positivo,Torino,Giappichelli,2000.

 

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