Sommario: 1-Premessa; 2-Il progetto originario; 3-Il periodo fondativo; 4-Il secondo dopoguerra; 5-Conclusioni.
1-Premessa-Le facoltà di Roma e Perugia sono strettamente legate per quanto riguarda le loro rispettive genesi . Quella romana è stata la prima Facoltà di Scienze politiche istituita in Italia nel 1925( il Cesare Alfieri di Firenze era, infatti, dal 1875 “solo” un Istituto superiore con percorso triennale). Il Commissario straordinario, che ha tenuto a battesimo la Regia Facoltà fascista di Scienze politiche dell’Università di Perugia, è stato,com’è noto, Sergio Panunzio, che dal 1927 divenne ordinario di Dottrina generale dello Stato nella Facoltà di Scienze politiche romana. Una simile circostanza ha favorito forti interrelazioni personali e di metodo fra le due istituzioni, ma non ha evitato le differenziazioni. Nel periodo del secondo dopoguerra si è avuta,invece, una divaricazione: mentre la Facoltà romana ha mantenuto molti elementi di continuità rispetto al passato, quella perugina- dopo una lunga soluzione di continuità- ha subito una vera e propria rifondazione ed un sostanziale occultamento di un passato considerato scomodo per la sua natura militante.
La celebrazione dell’Ottantesimo anniversario della fondazione fornisce,dunque, a tutti noi perlomeno due possibilità:
a- ripercorrere passaggi strategici delle nostre origini, liberati da imbarazzi oramai inattuali;
b- riflettere sul progetto originario, che ha portato alla istituzione delle Facoltà di Scienze politiche, per valutarne l’adeguatezza e le trasformazioni nell’ambito di un contesto globalizzato,internazionalizzato e con governance multilivello.
In questo intervento mi occuperò,in maniera ovviamente sintetica, non solo del periodo degli anni Venti e Trenta e dei rapporti tra le due facoltà, ma introdurrò (senza alcuna ambizione di svilupparlo) il tema del rapporto continuità e rinnovamento tra il progetto del periodo liberale e quello fascista e tra la fase del Regime e quella successiva democratico-repubblicana, alla luce del dibattito tra “modello delle scienze politiche” e “modello della scienza politica”.
2-Il progetto originario- Le facoltà di scienze politiche risultano collegate con il pieno sviluppo dello Stato moderno e contemporaneo, ed in particolare con la forma tipica dello Stato nazionale accentrato ottocentesco.
La discussione sulla istituzione di particolari corsi di studio che superassero l’impostazione meramente legalistica impartita nelle Facoltà di Giurisprudenza iniziò sia in Germania sia in Francia nei primi decenni del secolo XIX. Il consolidarsi del pubblico e la necessità di fornire nuovi funzionari per lo Stato accentrato, capaci di servirlo all’interno ed all’esterno dello stesso, si sposò con la esigenza di formare una classe dirigente adeguata alle nuove esigenze .
Il problema della formazione delle classi dirigenti si pose concretamente non soltanto nella Prussia humboldiana delle riforme, ma anche nel Wuerttenberg e nella Baviera. Dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana Emile Boutmy affrontò esplicitamente,anche, in Francia la questione di come selezionare e preparare la classe dirigente di alto livello in maniera che la stessa potesse servire per l´amministrazione dell´interno e dell´esterno. Un simile problema si pose anche il Messedaglia già nel 1851, quando insegnava ancora a Padova, poi nella sua nuova sede universitaria di Pavia, ed,infine, a Roma, nell’impellente desiderio di riformare le facoltà di Giurisprudenza, poiché egli riteneva che una preparazione finalizzata solo al foro giudiziario per avvocati e magistrati non risultasse più adeguata per le esigenze dell’amministrazione interna ed estera dello Stato.
In questa prospettiva le Scienze dell’amministrazione dovevano divenire il punto centrale della preparazione della classe dirigente. Messedaglia , che non era solo uno statistico, ma anche uno storico (la statistica nell´Ottocento era materia interdisciplinare così come la Scienza politica), fece sì che Padova diventasse sede della prima Facoltà politico-giuridica, riprendendo il progetto austriaco,bavarese e alto-tedesco di Facoltà sostanzialmente politico-amministrative.
Nel periodo successivo agli anni Sessanta sempre Messedaglia collegò questo progetto a quello più generale della destra storica, che aveva bisogno di una classe dirigente adeguata alle esigenze del nuovo Stato unitario . Non costituisce,dunque, un caso che la temporanea trasformazione del regolamento delle Facoltà di Giurisprudenza sia stata attuata nel 1861-62 , modificato nel corso degli anni Sessanta con Coppino e poi nei primi anni Settanta con Bonghi.
Il progetto francese di Boutmy , anche esso frutto di un rivolgimento politico incisivo(la citata sconfitta nella guerra franco-prussiana con il crollo del II impero), si trasferì in Italia dal punto di vista privatistico con la fondazione dell’Istituto fiorentino “Cesare Alfieri”, mentre Messedaglia continuò la propria azione nell’ambito della Commissione nominata da Bonghi presso la Facoltà romana di giurisprudenza.
Con la sconfitta della destra storica il progetto Messedaglia venne,quindi, sostanzialmente messo da parte. Tra il 1878 e il ´79 ci furono,infatti, dei cambiamenti nei progetti di trasformazione delle Facoltà di Giurisprudenza .Quella di Roma era praticamente nuova: non era più quella pontificia e nel 1876 dovette essere sciolto per legge l’Istituto Vaticano, che gli faceva con successo concorrenza. Tra i docenti vi erano Luigi Palma per il Diritto costituzionale e poi Augusto Pierantoni per il diritto internazionale. In questo nucleo intellettuale sopravvisse con onore la Scuola economico-amministrativa o il corso di specializzazione, diretta dal Messedaglia e poi da un costituzionalista pavese come Livio Minguzzi.
Nel 1902-1903 la Scuola venne chiusa, in stretta connessione con l´arrivo presso la Facoltà di Giurisprudenza, cui la Scuola era appoggiata, di Alfredo Codacci Pisanelli e Vittorio Emanuele Orlando, i massimi cultori della scuola positiva del diritto pubblico, che di scienze politiche, di storia, di filosofia e di economia poco volevano sentire parlare nell’ambito di una facoltà giuridica. I paradigmi dello Stato unitario non potevano che essere i paradigmi dello Stato-persona e quindi paradigmi giuridici,capaci di neutralizzare i conflitti tra Monarchia e Parlamento, e considerati come strumento adeguato per la formazione della classe dirigente . L’impostazione dei cosiddetti pre-orlandiani( da Orsetti Mantovani, maestro di Luigi Rossi che poi sarà uno dei fondatori della Facoltà di Scienze politiche di Roma), di Arcoleo,di Arangio Ruiz ,di giuristi antiformalisti come Mosca, che si era nutrito nel corso economico-amministrativo di Roma con il Palma) veniva vista con sospetto, nonostante i risultati della stessa stessa fossero ampiamente utilizzati.
Proprio in quel periodo fu a Perugia che si agglutinarono figure interessanti dell’antiformalismo giuspubblicistico nella locale Facoltà di Giurisprudenza : per esempio Ferracciù, Siotto Pintor e Miceli, il quale- lo dico come nota- può essere considerato il fondatore del Diritto parlamentare italiano.
In sostanza, nel periodo liberale oligarchico la prospettiva formalistica del diritto pubblico non poteva permettere lo svilupparsi di Facoltà di Scienze politiche ed il consolidarsi di progetti simili a quelli che si stavano sviluppando anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America. Il “Cesare Alfieri” continuava la sua azione Firenze, ma, per esempio, è significativo che un costituzionalista come Domenico Zanichelli, non fosse mai riuscito a vincere una cattedra, perché si interessava troppo di storia. Mosca, costituzionalista antiformalista, fondava il suo metodo politologico sulla storia e solo con difficoltà riuscì ad ottenere la cattedra a Torino verso la fine del secolo XIX, mentre Giuseppe Maranini scioglierà alla fine degli anni Trenta il Diritto costituzionale nella storia, perchè il suo maestro Solmi di Pavia, aveva significativamente considerato strettamente legata la scienza politica alla storia.
3-Il periodo fondativo-La crisi dello Stato liberale, successiva al I conflitto mondiale, si produsse anche sulla base del suffragio maschile e dell’introduzione di un sistema elettorale in senso stretto non maggioritario . Nel breve periodo liberal-democratico tra 1919-1922 si comprese che l’ ideologia giuridica dello Stato persona non funzionava più e che bisognava adeguare l’ideologia, le strutture dello Stato e le stesse istituzioni di formazione universitaria alla nuova situazione. Se ne discusse in maniera più o meno confusa, ma non si arrivò a nulla. In coerenza con il crollo dell´ordinamento liberal-democratico nel 1922, l’anno successivo venne-invece- introdotta la cosiddetta riforma Gentile e fu proprio Giovanni Gentile che, nell´ambito romano, con Gioacchino Volpe, sviluppò l´idea di una Scuola di Scienze politiche presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma .
Rinvio per la trattazione analitica di questa fase(ma anche delle precedenti ) ai saggi di Mario d´Addio, Emilio Gentile e Mario Caravale e altri, che evidenziano in modo chiaro come al tradizionale progetto liberale relativo alle Facoltà di scienze politiche se ne stesse affiancando un altro, con finalità militanti.
La Facoltà romana di Giurisprudenza non fu,invero, molto favorevole ad una simile iniziativa,anche se nel primo periodo l’amministrò. Nella Facoltà di Giurisprudenza ( dove Mosca, era stato chiamato nel 1922, per la Storia delle istituzioni e delle dottrine politiche) si riunirono a caposaldo gli esponenti del mondo liberale,al di là della posizione metodologica, mentre nella Scuola, e poi nella Facoltà di Scienze politiche, si agglutinarono i “riformatori” .
La prima Facoltà di Scienze politiche nacque in sostanza nel segno della continuità e della rottura con il mondo liberale , prima come Scuola nel 1924 e poi nel 1925 come Facoltà autonoma. I primi tre ordinari della Scuola (Alberto De Stefani, Alfredo Rocco e Luigi Rossi) furono in sostanza imposti ai colleghi per decisione del Ministro,come riconobbe lo stesso preside della Facoltà giuridica Giorgio Del Vecchio. Un simile complesso rapporto si evidenzia già nel 1924.L’attività della Scuola venne considerat non essere sufficientemente militante da settori importanti del fascismo. Sull´ “Impero” uscirono degli scritti contrari a questa Scuola ancora troppo “giuridichese” e nella quale insegnavano troppi giuristi liberali . E’ significativo, ad es., che Gaetano Mosca venisse escluso dall’insegnamento , perché considerato troppo liberale, la materia sospesa e poi affidata a Rodolfo de Mattei, un giovane studioso di tendenze nazionaliste, come d’altro canto una buona parte dei docenti della nuova Facoltà. D’altro canto anche la stessa Scienza politica ebbe serie difficoltà a penetrare nell’ordinamento didattico della nuova Facoltà. Si ipotizzò addirittura che dovesse insegnarla Santi Romano, che oramai Presidente del Consiglio di Stato , non arrivò mai nella nuova Facoltà di Scienze politiche, ma venne chiamato dalla Facoltà di Giurisprudenza dal 1928.
Riguardo i rapporti endogamici tra Roma e Perugia, va sottolineato che il momento militante della rottura rispetto alla continuità liberale, che esiste- ma in maniera più attenuata- anche Roma, viene rappresentato da personaggi che vengono anche da Perugia, per esempio, Sergio Panunzio senior, Maurizio Maraviglia, Vincenzo Zangara, tutti docenti che fanno parte anche della storia della Facoltà di Perugia,fondata com’è noto nel 1927.A Sergio Panunzio, chiamato nel 1927 a Roma per insegnare la Dottrina generale dello Stato , ma rimasto Commissario della Facoltà perugina per circa un lustro, bisognerebbe dedicare un una specifica sezione. Si tratta, con Carlo Costamagna (ma forse più di Costa magna) della personalità culturale del regime più estrema nel sottolineare la rottura con gli stessi paradigmi gentiliani e quindi con la continuità del liberalismo autoritario. La sua opera militante nella formazione degli operai dello Stato è stata documentata da Alessandro Campi con la pubblicazione dei documenti e dei rapporti di attività della sua permanenza perugina. A Perugia,sulla base di una libertà di azione fornita da una normativa specifica e di un appoggio diretto da parte dello stesso Mussolini, Panunzio potè raccogliere un gruppo di docenti, che costituì (come a Pisa la gentiliana Scuola di Scienze corporative) un vero e proprio think tank del Regime. La Facoltà perugina nella concezione di Panunzio doveva essere ,infatti, un seminario del Regime,un reparto mobilitato della rivoluzione delle camicie nere, capace di ispirare fede dogmatica religiosa.
Dal punto di vista del percorso didattico nella Facoltà perugina vennero introdotti cinque percorsi di studio col decreto regio del 1928: politico-amministrativo, politico-sindacale- corporativo, politico- consolare- diplomatico, politico- coloniale e politico- giornalistico. Ed è evidente che , attraverso l’influenza di personaggi come Maranini e altri docenti che ci hanno trasportato al post-fascismo, come la prospettiva panunziana abbia influenzato, in un sistema pluralistico, la riforma della Facoltà di Scienze politiche della fine anni Sessanta del secolo scorso. E’ bene però sottolineare ancora una volta la novità militante dell’impostazione.Giuseppe Maranini, allievo di Solmi a Pavia e che aveva ottenuto prima l’incarico e poi la nomina ad ordinario per chiara fama nella Facoltà perugina, nel 1937 ne “La rivoluzione fascista nel diritto e nell´economia”, saggio poi riprodotto nel 1968 ne “I Principi generali del diritto e del diritto pubblico” con Silvio Basile, sosteneva significativamente la posizione panunziana. Cito testualmente, per evidenziare clima e taglio interpretativo: “lo sforzo scientifico in tutti campi attinenti alla politica deve essere presidiato da una visione della vita, da una determinata fede; la nostra fede è il fascismo, che non è solo un regime politico ma prima di questo e più di questo è una visione della vita, una particolare spiritualità”. Da questo estratto si individua che il nucleo paradigmatico è costituito dal politico e che attraverso questo vengono orientate le varie interpretazioni disciplinari giuridiche, economiche, politologiche.
E’ evidente che una simile impostazione non poteva essere replicata in una Facoltà come quella romana. Lo stesso Panunzio, nonostante l’indubbio peso politico ed intellettuale, vide la propria azione attenuata e diluita in ambito romano ,entrando in una Facoltà molto nazionalista e molto statualista.
Durante il Fascismo nella Facoltà romana ,fondata – come si diceva- sulla base della confluenza tra il progetto liberale e quello militante del nascente Regime, furono presenti personaggi notevoli (penso a Luigi Rossi,già ministro della Giustizia nel Governo Facta; a Alfredo Rocco,anche lui ,dopo la Presidenza della Camera per circa sette anni Ministro della Giustizia; a Giuseppe Bottai,ministro dell’Educazione Nazionale; a Sergio Panunzio,componente del Gran Consiglio del Fascismo; a Alessandro Lessona ,ministro delle Colonie; e a Vincenzo Zangara,vice-segretario nazionale del PNF ). Tuttavia,proprio durante gli anni Venti e Trenta, la Facoltà scontò il grande dibattito dell´epoca fascista sulle riforme incrementali, tra i radicali e i moderati, tra i nazionalisti-istituzionalisti e coloro che volevano andare oltre l´ostacolo, come Panunzio e Costamagna.
Gli scritti di Panunzio del 1932 e quelli successivi della conferenza di Firenze del 1942 evidenziano la grande deriva del periodo. In un ordinamento autoritario a tendenza totalitaria le facoltà di scienze politiche non potevano divenire scuole di partito se non si faceva una scuola di partito. Come sostiene Comparato, il progetto liberale non diventato divenne fascista, perchè l´ordinamento costituzionale italiano non riuscì a divenire totalitario nel periodo fascista, checché ne dica il collega Emilio Gentile .Il Regime fu nella sua esperienza concreta un regime autoritario a tendenza totalitaria,che per quanto riguarda la formazione degli operai del regime non poteva riuscire a conformare i soggetti per la relativa autonomia dei sottosistemi societari,almeno fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
4-Il secondo dopoguerra- Nel periodo successivo alla fine del fascismo tutte le Facoltà di Scienze politiche furono ibernate, se si esclude il Cesare Alfieri di Firenze ( ma anche il Maranini venne posto, come altri, sotto procedimento di epurazione).Mentre la Facoltà perugina scomparve, la Facoltà romana venne commissariata sino alle soglie degli anni Cinquanta.. Il preside Vassalli della Facoltà di Giurisprudenza assolse il ruolo di facente funzione, mentre Gaspare Ambrosini, diresse l´Istituto di diritto pubblico e di legislazione sociale .
Nonostante alcuni miei colleghi “conservatori” sostengano che il periodo degli anni Venti e Trenta sia stato il più bel periodo della Facoltà romana di Scienze politiche, io sostengo che il periodo più interessante, collegato a quello liberale, è stato-invece- quello degli anni Cinquanta e Sessanta, dove vi era un collegamento tra politica da un lato e scienza di vario tipo, dall´altro.I nomi di alcuni personaggi giustificano questa affermazione:Ciasca Valsecchi per gli storici, Mortati, Tosato e Esposito per i giuristi, Amoroso e Di Nardi per gli economisti. Il ventennio in questione si ricollegava all´impostazione liberale ed era caratterizzato da un preparazione severa, ma organica. E’ un periodo d’oro, che prefigura il momento della crisi più generale dell’Università ed in particolare di mega-atenei come “La Sapienza”.
Dare un giudizio sulla situazione odierna della Facoltà romana necessità inquadrare la stessa nella dinamica generale dell’istruzione superiore e nella peculiarità de ‘ “La Sapienza”. Significa anche distinguere .Proprio negli anni Cinquanta e Sessanta il rapporto tra “La Sapienza” e il mondo politico-istituzionale era divenuto sempre più intenso, maggiore di quello avutosi sia durante il periodo liberale sia durante quello fascista .
Se si analizza la composizione delle Facoltà, solo nella parte finale del periodo liberale gli esponenti universitari con cariche politiche di rilievo fecero parte dei ruoli universitari romani (penso,ad es., a Salandra, a Luzzatti e ad Orlando per i presidenti del Consiglio , ma non posso tacere sui ministri della Pubblica Istruzione Bonghi e Boccelli, che tanto influirà sul destino del Policlinico), mentre intenso era il legame tra docenti e vertici delle strutture amministrative e culturali .
. Nel decennio 1953-1963,se si segue la relazione del Rettore del periodo Giuseppe Ugo Papi, vi fu un forte incremento dei posti dei professori di ruolo (circa il 35% in media) con picchi del 144% , dell’88% e del 41% per Scienze statistiche, per Scienze politiche ed Economia e commercio rispettivamente e di solo 4% per Giurisprudenza. Alle soglie degli anni Sessanta le Facoltà giuridico, economico politiche si riempirono, però, di esponenti politici. Nomino solo quelli di primo piano : Antonio Segni e Giovanni Leone a Giurisprudenza ; Amintore Fanfani e Giacinto Bosco ad Economia e Commercio; Aldo Moro e Giuseppe Medici a Scienze politiche, escludendo ad esempio esponenti della Facoltà di Medicina come Gaetano Martino ,che diverrà Rettore di quest’università nel 1966-67. Allo stesso modo nelle Facoltà era altissima la presenza-in continuità con il passato- di docenti che agivano in strutture giurisdizionali o amministrative di tipo strategico.
A Scienze politiche i legami con il Ministero degli Affari esteri (in cui per anni operarono proprio Moro e Medici ) erano intensissimi,come certificavano le figure di Ago,di Monaco e di Toscano;così come erano strette le relazioni con l’Istat ,in cui agivano amoroso e D’Addario ;o con la Banca d’Italia ed il suo ufficio studi con Di Nardi.
La contestazione, che dal 1968 investì le Università italiane in via di completa massificazione, fece de “La Sapienza” il luogo dove il potere politico-sindacale veniva attaccato assieme al cosiddetto “potere baronale” . Il rapimento Moro e poi l’assassinio Bachelet costituirono un elemento quasi esemplare dell’attacco al potere del partito Stato, mentre l’espulsione di Lama non significò solo la rottura all’interno della sinistra , ma anche un segnale sull’impossibilità di proseguire una collaborazione tra i partiti verso l’integrazione completa del maggior partito d’opposizione .
Per la specifica situazione universitaria non ci furono provvedimenti strutturali, ma meri interventi sul personale. Il DPR 382 del 1980 si limitò ad integrare stabilmente nei ruoli, senza risolvere i problemi del settore, il cosiddetto personale precario e provvide , in maniera sintomatica, a troncare progressivamente i rapporti tra Università e politica, anche attraverso l’incompatibilità tra insegnamento e mandato parlamentare.
Una simile soluzione,che a detta di molti non sarebbe mai stata accettata da Aldo Moro che individuava la stretta connessione tra insegnamento e attività parlamentare, in ambito romano significò il convogliamento di gran parte del ceto politico-accademico nel reticolo di atenei privati sostanzialmente finanziate con personale statale.
Già negli anni Settanta la non controllabilità de “La Sapienza” aveva, d’altro canto, contribuito alla decisione di un gruppo di imprenditori, guidato da Umberto Agnelli di rilevare la Libera università internazionale degli studi sociali pro Deo, a suo tempo fondata da Felix A. Morlion , e di istituire la Luiss ,con lo scopo di formare classe dirigente non più producibile (a detta ovviamente dei promotori) nelle statali.
Negli anni Ottanta e Novanta,nonostante l’attività riformatrice di Antonio Ruberti e la battaglia per l’autonomia universitaria di Giorgio Tecce, la gemmazione di due altre università statali e la costituzione di una miriade di istituzioni private ha completato il disinvestimento, mentre molti hanno avuto la sensazione,dopo il 1994, che “La Sapienza” venisse abbandonata e nello stesso tempo la stessa si cullasse nel passato o nel piccolo cabotaggio.
5-Conclusioni – Le Facoltà di Scienze politiche hanno vissuto due fasi: quella formativa e quella dell´introduzione delle scienze sociali negli anni ´60. Mentre la Facoltà di Scienze politiche di Roma è stata protagonista della prima fase dal liberalismo al fascismo, nella seconda fase è stata molto più conservatrice e molto più tradizionale delle altre facoltà, perché ad es. , nonostante la riforma Scaglia introdotta dopo circa sei anni dalla sua approvazione , non ha accettato l´indirizzo politico-sociale, che ha dato origine alle facoltà di Sociologia e di Scienze della comunicazione. Per questo motivo la Facoltà di Scienze politiche de “La Sapienza” possiede un profilo collegato con la presenza delle materie tradizionali di impianto storico istituzionale,delle economico e giuridico.Si tratta di un profilo che permette agli studenti di affrontare in maniera efficace tradizionali percorsi professionali.
In un dibattito nel 1996 in occasione del trentesimo anniversario della facoltà ,cui appartiene professor Gianfranco Pasquino, sostenni la definizione di “political sciences- faculty”, invece di “political science – faculty”. I colleghi della sede bolognese non furono d’accordo sulla base della loro storia e della metodologia che essi sostenevano. E’ una situazione che si è ripresentata anche di recente,quando, in occasione del premio Brentano di cui sono stato membro nel settembre scorso, quando i colleghi tedeschi hanno cercato di interpretare l’espressione “politische wissenschaften” come “scienza politica”.
Le Facoltà di Scienze politiche fondate nel secondo dopoguerra a livello internazionale ed italiano sono molto più influenzate dallo statuto della scienza politica di quanto non lo siano le più antiche.
E questa una realtà che si riflette sulle composizioni del personale delle singole sedi. Ad es. a Bologna i docenti dei settori sps sono il 56,80 % dell´intera facoltà ,mentre e politica quelli del SSD Sps04 sono venticinque rispetto a quelli romani, che sono solo tre.
Dopo il decreto ministeriale 509, si è verificata la relativa perdita di omogeneità delle Facoltà di Scienze politiche , con pericolosi sbandamenti di identità. Molte Facoltà di scienze politiche hanno istituito corsi di laurea in scienze della comunicazione, in sociologia, in storia, in lingue. La sede di Firenze aveva, qualche anno fa, una presenza intensa di studenti nel corso di laurea in Scienze della comunicazione. Chi parla,invece, ritiene ancora che le classi di laurea che la nostra Facoltà può attivare con successo siano quelle tradizionali in Scienze politiche e relazioni internazionali e in Scienze dell’amministrazione. Nel passaggio al DM 270 il pericolo della dispersione e le esigenze dei requisiti minimi stanno facendo ritornare sul progetto originario che ha dato vita alle nostre Facoltà, nell’ambito della persistenza dello Stato nazionale e del complicarsi dei fenomeni di integrazione sovranazionale, di globalizzazione e di internazionalizzazione.E’ per questo motivo che è importante confrontarsi con le nostre radici e valutarle sulla base dello scorrere del tempo. Per l’occasione odierna ringrazio gli organizzatori del Convegno.